Durante il loro primo incontro, il principe di Salina e il nipote Tancredi parlano del sovrano borbonico chiamato con l’appellativo di «Franceschiello» (I). Com’è noto si tratta di Francesco II (1836-1894), succeduto al padre Ferdinando II il 22 maggio 1859, e rimasto sul trono fino al febbraio 1861. Francesco di Borbone, ultimo re del Regno delle Due Sicilie, era molto riservato, assai incerto nelle scelte politiche. Il soprannome di Franceschiello gli venne dato in senso dispregiativo per la debolezza mostrata durante l’impresa dei Mille, confermata nel film dalle parole dello stesso Tancredi. Non ebbe infatti un atteggiamento fermo e deciso: in un primo tempo cercò un accordo con il Piemonte – non dimentichiamo che era un parente stretto dei Savoia, sua madre era Maria Cristina di Savoia, ovvero la figlia di Vittorio Emanuele I –; poi concesse una Costituzione, il 23 giugno del 1860. Perse comunque il regno, si rifugiò a Gaeta dove cercò di opporre una certa resistenza all’ondata garibaldina, poi a Roma dal Papa, ma ben presto scelse la via dell’esilio fuori dai confini italiani.
A lui, anche nel dialogo tra Tancredi e lo zio, si oppone un altro re, ovvero Vittorio Emanuele II (II), re di Sardegna dopo che il padre Carlo Alberto ebbe abdicato nel 1849, ma soprattutto primo re d’Italia dal 17 marzo 1861. Vittorio Emanuele fu definito il «re galantuomo», per la sua apertura verso le riforme e in particolare per aver mantenuto lo Statuto Albertino una volta giunto al potere. Il principe di Salina tuttavia non crede nel cambiamento che gli prospetta Tancredi. Per lui il «re galantuomo» non sarà meglio di Franceschiello: «dialetto torinese invece che napoletano, tutto qui».
Per dare maggiore realismo ai combattimenti per le vie, sulle barricate, davanti a portoni e chiese, il regista Visconti cercò di effettuare le riprese nei luoghi in cui si svolsero effettivamente gli eventi.
Con l’aiuto degli scenografi, Visconti trasformò questi luoghi per renderli più credibili dal punto vista storico, ispirandosi anche alle fotografie dell’epoca. In particolare, la collezione del fotografo Eugenio Sevaistre costituì un’utile fonte iconografica per appurare come e dove soldati e cittadini si disposero per le strade, durante gli scontri.
Un’altra fonte importante fu il quadro di Giovanni Fattori, Garibaldi a Palermo (1860-1862), opera che il pittore toscano dedicò agli scontri palermitani.