Capitolo IV
Alberto Moravia, Padre Cristoforo
Compare sulla scena in questo capitolo uno dei grandi protagonisti della storia, padre Cristoforo, principale modello di carità e vita cristiana in difesa dei deboli e degli umili. Si tratta sicuramente di un personaggio da annoverare tra i “buoni”, tra i “positivi”, e così la lettura critica ce lo ha sempre presentato.
Qui però vogliamo proporre una voce “fuori dal coro”, una voce critica: quella di Alberto Moravia (1907-1990), uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento, autore di tanti capolavori, a partire dal romanzo Gli indifferenti. Moravia intuisce alcuni punti deboli del personaggio di padre Cristoforo, non certo dal punto di vista morale ma da quello della credibilità letteraria e dunque della sua riuscita artistica.
Quanto a Cristoforo, prima della conversione, il Manzoni vorrebbe darcelo per un violento per natura. Purtroppo, però, più che un violento, Cristoforo ci appare come un impulsivo che è tutt’altra cosa: la violenza è una passione incoercibile dell’animo, l’impulsività appena una sfumatura dell’agire. La vera passione di Cristoforo, quale risulta dalla pagina, è invece di specie sociale, oggi richiamerebbe complesso di inferiorità. Si rese conto il Manzoni che Cristoforo sembra convertirsi non tanto per un travaglio spirituale quanto per una specie di inversione orgogliosa del complesso di inferiorità il quale, dopo averlo spinto a primeggiare con la violenza, gli suggerisce di fare lo stesso con l’umiltà? Non si direbbe, l’intenzione sembra essere di dipingerci un uomo fondamentalmente buono ma violento e fuorviato. Da questo non risolto rapporto tra l’autore e il personaggio, nasce l’insoddisfazione che ci ispira la figura di Cristoforo prima e dopo la conversione.
Date queste premesse, ossia data la insufficiente motivazione e ricostruzione della malvagità dell’Innominato1 e della violenza di Cristoforo, non è sorprendente che le conversioni di questi due personaggi ossia la trasformazione dei due “birboni” in “santi” non siano del tutto convincenti.
Tra le due conversioni, la più accettabile, benché scarsamente ispirata da sensi veramente religiosi, ci sembra quella di Cristoforo. Essa ci è descritta dal Manzoni come un fatto piuttosto sociale che spirituale: la sua stessa repentinità appare motivata non tanto da un’illuminazione improvvisa quanto dalla pratica necessità in cui si trova Cristoforo di uscire al più presto dal vicolo cieco nel quale si è cacciato. Questa conversione di Cristoforo, insomma, pur con il suo carattere controriformistico e barocco, appare plausibile se non ammirevole. E la scena della volontaria umiliazione di Cristoforo di fronte ai parenti dell’ucciso è un’assai bella pittura di maniera nello stile di analoghe scene secentiste dell’episodio della Monaca di Monza.2
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Altro personaggio di specie positiva del realismo manzoniano è Cristoforo dopo la conversione: abbiamo dovuto spezzarlo in due figure distinte per comodità della nostra dimostrazione. Esso rassomiglia molto al Cardinale Borromeo.3 tanto è vero che ci viene mostrato in situazioni molto simili a quelle del Cardinale (dialogo tra Padre Cristoforo e Don Rodrigo, dialogo tra il cardinale Borromeo e Don Abbondio), e che si potrebbero facilmente mettere in bocca al Cardinale le prediche del frate e viceversa; ma gli è inferiore come riuscita artistica proprio perché la sua azione, estendendosi a tutto il libro, ne rivela l’immobilità oratoria, mentre quella del cardinale è limitata a un breve e circoscritto episodio. Padre Cristoforo è il personaggio nel quale il realismo cattolico del Manzoni fa la sua prova meno felice. Il paragone con il quale incomincia il capitolo VII: “Il padre Cristoforo arrivava nell’attitudine d’un buon capitano che, perduta, senza sua colpa, una battaglia importante, afflitto ma non scoraggiato, sopra pensiero ma non sbalordito, di corsa e non in fuga, si porta dove il bisogno lo chiede, a premunire i luoghi minacciati, a raccoglier le truppe, a dar nuovi ordini”, brutto e quasi ridicolo, in maniera rara in un autore come il Manzoni il quale è forse secondo soltanto a Dante per la bellezza, originalità e appropriatezza delle immagini, dà la misura dell’esteriorità agghiacciante nella quale cade il creatore di figure vivissime come Don Abbondio o Gertrude.4 allorché applica le norme del realismo cattolico. Padre Cristoforo sarebbe forse stato diverso, senza il realismo cattolico? No, non sarebbe stato diverso, sarebbe semplicemente scomparso dal romanzo in quanto Padre Cristoforo deve la sua esistenza a una specie di sottrazione operata dal Manzoni, per i motivi del realismo cattolico, ai danni del personaggio di Renzo. In altri termini: Padre Cristoforo fa delle prediche,cioè non fa niente, oppure fa le cose che dovrebbe fare Renzo se quest’ultimo fosse stato sviluppato fino in fondo: si erge contro Don Rodrigo in luogo di Renzo; muove a Renzo i rimproveri cristiani che Renzo dovrebbe muovere a se stesso; prende sulle sue spalle una parte delle persecuzioni destinate in realtà a Renzo. Esso è un intermediario in saio, superfluo come tutti gli intermediari, il quale permette al Manzoni di non lasciar niente all’iniziativa personale del protagonista e di correggerne la condotta in senso precettistico ogni volta che si renda necessario. È la coscienza di Renzo, confiscata a favore della Chiesa e incarnata in un personaggio della Chiesa. E non neghiamo affatto che nel secolo decimosettimo, in Lombardia, si verificassero situazioni simili, con due innocenti perseguitati che si mettono sotto la protezione di un frate; diciamo che il personaggio di Padre Cristoforo rivela piuttosto la levigatezza della propaganda che la rugosità della realtà.
1 L’Innominato è un personaggio dalla straordinaria personalità, un “eroe del male” che si convertirà in “eroe del Bene”. Sarà protagonista nei capp. XIX-XXIII, centrali del romanzo, e svolgerà un ruolo fondamentale nella trama della storia.
2 La Monaca di Monza è figura religiosa femminile dal carattere ambiguo e suggestivo, la cui storia verrà narrata ai capp. IX-X. Interverrà in modo decisivo nella vicenda personale di Lucia. Il suo nome prima della monacazione è Gertrude, e così ricorre spesso nel testo di Manzoni (e qui di Moravia).
3 Il Cardinale Federigo Borromeo è personaggio storico inserito da Manzoni nel romanzo come modello assolutamente positivo di carità e di fede cristiana. Il suo operato in aiuto di Lucia occupa la parte centrale del romanzo, nei capp. XXII-XXVI.
Alberto Moravia, L’uomo come fine e altri saggi, Bompiani, Milano 1964; pp. 317-322