Il golfo di Napoli è un’insenatura del Mar Tirreno meridionale compresa tra i vulcani flegrei, a nord-ovest, e la penisola sorrentina, a sud-est.
I vulcani flegrei comprendono i Campi Flegrei continentali e le isole di Ischia e Procida.
L’attività di questi vulcani ha dato luogo a un paesaggio costituito da numerosi edifici vulcanici e da un elevato volume di rocce piroclastiche. In particolare, le eruzioni più importanti hanno prodotto il tufo verde a Ischia, il tufo grigio campano (ignimbrite campana) e il tufo giallo napoletano nei Campi Flegrei.
L’itinerario propone la visita del Tunnel Borbonico a Napoli, che consente di comprendere le caratteristiche tecniche e la rilevanza del deposito di tufo giallo su cui poggia la città, e l’escursione all’area marina protetta di Gaiola, in cui si trovano alte falesie di tufo giallo.
Il tufo giallo napoletano costituisce il basamento su cui è costruita buona parte della città di Napoli.
Inoltre, la leggerezza, la resistenza a compressione e taglio, la facile lavorabilità e la diffusione nell’area, hanno fatto di questa roccia un ottimo materiale da costruzione, con cui sono stati realizzati la maggior parte degli edifici di Napoli.
Il tufo giallo a Napoli è stato ampiamente usato anche come pietra ornamentale, spesso accoppiato ad altre rocce piroclastiche, come il piperno e il tufo grigio.
Nella foto, il Castel Nuovo, o Maschio Angioino, castello medievale e rinascimentale di Napoli. Una delle torri (in fondo a destra) è rivestita in tufo giallo, usato anche nelle strutture murarie e come rivestimento in scale e murature.
Immagine da satellite del golfo di Napoli, con evidenziate le principali località dell’itinerario.
L’area è molto interessante per la storia eruttiva e per l’attività vulcanica recente, nonché per le manifestazioni di vulcanesimo secondario, evidenti per esempio nella Solfatara di Pozzuoli, in cui si trova un esteso campo di fumarole. Sulla destra, il Vesuvio, vulcano attivo che domina la città di Napoli.
Il tufo giallo napoletano è una roccia piroclastica a composizione trachitica, con struttura compatta o debolmente laminata. Deriva da una delle più importanti eruzioni nella storia dei Campi Flegrei, avvenuta circa 15 000 anni fa, durante la quale sono stati emessi almeno 50 km3 di lava, attraverso un’alternanza di esplosioni magmatiche e freato-magmatiche. I prodotti di tale attività furono in prevalenza colate piroclastiche e depositi di pomici e ceneri.
L’elevata temperatura ha favorito, subito dopo la deposizione, un processo di trasformazione della pomice in cristalli di zeolite, un minerale silicato, a bassa densità a causa della struttura microporosa, dovuta all’enorme quantità di volumi vuoti all’interno dei cristalli. Questo processo ha trasformato il deposito piroclastico in una roccia compatta, caratterizzata da elevata porosità e bassa densità. La grana fine e la cementazione la rendono, inoltre, poco permeabile.
La formazione del tufo giallo napoletano raggiunge spessori superiori al centinaio di metri. Questa roccia è stata ampiamente cavata sia in sotterraneo sia a cielo aperto fin dall’epoca greco-romana. Le antiche cave a cielo aperto attualmente ospitano piazze, strade, palazzi e quartieri della città. Quelle in sotterraneo sono state utilizzate come cisterne, acquedotti, ricoveri, garage, strade. L’uso della stessa cava in molti casi è cambiato nel tempo.
Il Tunnel Borbonico, nel cuore della città, è un pregevole esempio di cavità sotterranea complessa, che ha assunto molteplici funzioni e che, come dimostra la planimetria, incrocia nel suo percorso ambienti sotterranei preesistenti, scavati nella stessa formazione rocciosa.
Il percorso che attraversa il Tunnel Borbonico è lungo circa 530 m e consente di osservare le caratteristiche del tufo giallo e l’imponenza della formazione.
Il tunnel è stato realizzato per scopi militari, su incarico di Re Ferdinando II di Borbone, dall’architetto Errico Alvino, che si occupò del progetto. Lo scavo è stato eseguito in gran parte nel tufo giallo e prevedeva un percorso da Palazzo Reale a via Morelli, da cui si iniziò a scavare nel 1853. I lavori furono interrotti nel 1855 sia per motivi economici, legati alle numerose difficoltà incontrate durante gli scavi, sia per gli sconvolgimenti politici, che culminarono con la cacciata dei Borbone e, nel 1861, portarono alla fine del Regno delle Due Sicilie.
Il tunnel rimase senza la seconda uscita fino al 1939, quando venne utilizzato come rifugio antiaereo. Durante la seconda Guerra Mondiale e fino agli anni Settanta, fu utilizzato come deposito giudiziale comunale, in cui si conservavano i beni estratti dalle macerie prodotte dai bombardamenti e, in seguito, beni recuperati da crolli, sfratti e sequestri. Tra questi, macchine e moto trasportate nel tunnel dal Comune di Napoli dopo la seconda Guerra Mondiale, che sono tuttora presenti.
Nonostante la resistenza del tufo giallo, lo scavo del tunnel provocò fenomeni di instabilità delle pareti. Per questo motivo in alcune zone si rese necessaria la costruzione di archi in muratura, come quello visibile sullo sfondo della foto.
Durante lo scavo del tunnel furono intercettati i rami attivi del seicentesco acquedotto del Carmignano e del precedente acquedotto della Bolla, già scavati nel tufo giallo. Per non interrompere la distribuzione dell’acqua alla città, le cisterne furono bypassate con la costruzione di ponti.
Nella foto, murature di tufo realizzate per chiudere i varchi con le cisterne dell’acquedotto.
Il percorso su zattera consente di navigare sulle acque incanalate della falda acquifera, percorrendo i cunicoli degli antichi acquedotti della Bolla e del Carmignano. Il percorso a piedi consente di percorrere i camminamenti ai lati delle cisterne e di osservare da vicino gli antichi acquedotti.
Nella foto, cisterna del Seicento e, in alto, un pozzo.
Nel corso dell’eruzione che diede origine al tufo giallo napoletano, si verificò lo sprofondamento della parte sommitale dell’edificio vulcanico, con conseguente formazione di una caldera. Oggi una parte del bordo della caldera è visibile solamente lungo il versante occidentale della collina di Posillipo. Tuttavia, studi eseguiti in quest’area hanno consentito di ricostruire il profilo della maggior parte del bordo della caldera, che circonderebbe un’area di circa 90 km2.
L’area marina protetta di Gaiola prende il nome dai due isolotti, entrambi di tufo giallo, che si trovano a pochi metri di distanza dalla costa di Posillipo, separati dalla terraferma da un braccio di mare largo circa 50 m.
Gli isolotti della Gaiola dividono idealmente la fascia costiera dell’area protetta in due settori: quello orientale, dove la collina degrada dolcemente verso il mare, solcata da stretti canali di ruscellamento, e quello occidentale, caratterizzato da alte falesie a picco sul mare, che cingono l’ampia baia di Trentaremi.
Nella foto, in primo piano, le falesie della baia di Trentaremi; sulla destra, gli isolotti della Gaiola; sullo sfondo, il golfo di Napoli.
L’area dei Campi Flegrei è interessata dal fenomeno del bradisismo: nei bienni 1970-1972 e 1982-1984 si è verificato un sollevamento complessivo del livello del suolo di oltre 3,5 m, lungo la parte centrale della caldera in prossimità della costa. In concomitanza si è registrata attività sismica e si è osservato un incremento dell’attività idrotermale nella zona della Solfatara di Pozzuoli.
Dopo il 1984 nell’area flegrea è iniziato un processo di lento abbassamento del suolo, mentre a partire dal 2004 l’area mostra un trend in leggero sollevamento, dell’ordine di pochi mm/anno.
Il luogo che più di tutti testimonia l’andamento del bradisismo nei Campi Flegrei nel corso dei secoli è il Tempio di Serapide (I secolo d.C.), situato in prossimità del porto di Pozzuoli. I fori lasciati dai litodomi (molluschi bivalvi che scavano fori nel calcare) a diverse altezze sulle colonne testimoniano le variazioni di quota del suolo rispetto al livello marino.
Nell’area marina protetta di Gaiola, il bradisismo è documentato dai resti archeologici sommersi e presenti lungo le falesie.
Sui fondali sono visibili resti di epoca romana di approdi, camminamenti, opere murarie, canali, cunicoli, grotte e vasche per l’allevamento del pesce.
Nella foto, le grotte di Trentaremi, frutto di secoli di attività estrattiva, iniziata molto probabilmente in epoca greco-romana. Le antiche cave di tufo giallo, ora completamente sommerse, testimoniano il lento abbassamento del fondale.
Testimone del fenomeno del bradisismo è anche la Villa degli Spiriti, villa romana i cui resti emergono dal mare lungo la costa di Posillipo.
Sia il Tunnel Borbonico sia l’Area Marina Protetta di Gaiola offrono la possibilità di visite guidate con personale specializzato. Nel caso dell’area marina, l’escursione può prevedere anche la visita al Parco archeologico ambientale del Pausilypon, che offre splendide vedute sui Campi flegrei, la costa di Posillipo e l’area di Gaiola.
Itinerario realizzato con la collaborazione di:
Mauro Antonio Di Vito
Osservatorio Vesuviano - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)