La pittura veneziana entra a far parte del panorama artistico del primo Rinascimento solo agli inizi del Quattrocento, grazie all’opera di alcuni artisti che si allontanano definitivamente dalla tradizione bizantina.
Fra questi, un posto di rilievo occupa la famiglia dei Bellini: Jacopo e i suoi due figli, Gentile e Giovanni.
Quest’ultimo, detto Giambellino, inizia a studiare disegno e pittura sotto la guida del padre, che considererà sempre un maestro e del quale custodisce gelosamente il libro di modelli.
Nei primi anni della sua attività, l’artista risente dell’influenza di Andrea Mantegna, suo cognato, ma ben presto elabora un linguaggio personale, caratterizzato dalla dolcezza espressiva delle figure, dall’atmosfera serena dei paesaggi, dalla ricchezza della gamma dei colori.
La sensibilità nel definire le tonalità cromatiche si arricchisce ulteriormente con la progressiva padronanza della tecnica della pittura a olio, che Giovanni Bellini apprende da Antonello da Messina, giunto a Venezia nel 1473.
Dal 1470 Giovanni comincia ad avere incarichi direttamente a suo nome e la sua bottega si affolla in breve tempo di discepoli, che diffonderanno i suoi insegnamenti in varie città dell’Italia settentrionale.
L’artista riceve tali e tante richieste che per sessant’anni lavora senza sosta. Purtroppo, a causa della distruzione durante un incendio delle grandiose tele a soggetto storico, dipinte per il palazzo ducale di Venezia, possiamo apprezzare Giovanni Bellini solo come autore di ritratti di dogi, di numerose Madonne col Bambino e di pale d’altare.
Agli inizi del Cinquecento, la nuova scuola Veneta di Giorgione, a capo della quale, dopo la sua morte, subentrerà Tiziano, comincia a oscurare la fama di Giovanni Bellini.
L’artista continuerà comunque a lavorare fino alla morte, forte della profonda stima di nobili e artisti; fra questi Albrecht Dürer, grande pittore e incisore tedesco, lo considera il più grande pittore di Venezia.