La morale dei nomadi. Parla Gengis Khan

Nel passo qui riprodotto, il condottiero mongolo Gengis Khan esprime un severo giudizio sulla Cina e sui costumi dei suoi abitanti, affermando di aver diritto alla «dignità suprema» in nome della propria superiore moralità. È, il discorso di Gengis Khan, una chiara dimostrazione dell’estraneità tra due modi di vivere, lontanissimi tra loro: i cinesi erano una popolazione sedentaria; i mongoli erano nomadi.

Il Cielo è stanco dell’estrema arroganza e del lusso sfrenato della Cina. Io vivo nelle selvagge contrade del Nord, ove le naturali disposizioni dell’uomo impediscono il nascere della cupidigia e delle brame; torno alla semplicità e alla purezza, evito la prodigalità e mi attengo alla moderazione. Si tratti di ogni vestito che indosso o di ogni mio pasto, porto gli stessi cenci e mangio lo stesso cibo dei bovari e degli stallieri; considero il popolo come un bimbo e tratto i soldati come se fossero miei fratelli. I miei progetti vanno sempre d’accordo con la ragione; quando faccio del bene, ho sempre cura degli uomini; quando mi servo delle miriadi dei miei soldati, mi pongo sempre alla loro testa; mi sono trovato in cento battaglie, e non ho mai pensato se c’era qualcuno dietro di me; nel giro di sette anni ho realizzato una grande opera; e nelle sei direzioni dello spazio tutto è soggetto a una sola regola… Ho dunque ottenuto l’appoggio del Cielo e meritato la dignità suprema.

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