Il massacro di Cholula

Bartolomeo de Las Casas fu uno strenuo difensore dei diritti degli indios. Per documentare quanto avveniva in America, scrisse una Brevissima relazione della distruzione delle Indie, che presentò all’imperatore Carlo V, re di Spagna, nel 1542. In queste righe, Las Casas descrive il massacro compiuto dai soldati Hernán Cortés nella città azteca di Cholula.

«Fra le altre stragi, gli Spagnoli fecero questa in una città chiamata Cholula. I signori della terra e i sacerdoti erano andati incontro ai cristiani in processione e con grande riverenza e li avevano alloggiati nelle case del principe e dei signori più ragguardevoli. Gli Spagnoli decisero di fare una strage, o, come essi dicono, un castigo, per seminare il terrore e la fama delle loro imprese in tutti gli angoli di quei paesi. Infatti […] questo è stato sempre il loro proposito: compiere un grande massacro per farsi temere da quelle pecorelle mansuete. Mandarono dunque a chiamare i signori e i nobili della città […] insieme con il signore principale. Quando essi giunsero alla presenza del capitano degli Spagnoli, furono presi […]. Gli Spagnoli chiesero poi 5 o 6000 indiani che portassero loro viveri. Vengono tutti subito e li fanno sedere nei cortili delle case. Suscitano compassione questi indiani mentre portano i loro carichi, ignudi, con reticelle sulle spalle, con dentro il loro povero cibo, e si siedono poi sui calcagni, come agnelli mansueti. Alcuni Spagnoli fanno la guardia al cortile; gli altri, con spade e lance, trucidano quegli uomini mansueti. Dopo giorni alcuni Indiani uscivano vivi, grondando sangue, perché si erano salvati sotto i corpi dei compagni. Piangevano e pregavano gli Spagnoli di non ucciderli. Ma gli Spagnoli non ebbero pietà e li fecero a pezzi».

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