La battaglia di Pavia

Scuola di Patinir, Battaglia di Pavia. Vienna, Kunsthistorisches Museum.

La battaglia di Pavia (24 febbraio 1525) segna uno dei momenti decisivi della contesa che, tra la fine del ‘400 e la metà del ‘500, impegna l’Impero e la Francia per il controllo degli stati italiani. Già a quei tempi, in realtà, l’impero germanico era un organismo politico sorpassato, destinato a perdere del tutto l’antica importanza. Il caso volle però che, in quel momento, l’imperatore Carlo V fosse al tempo stesso arciduca d’Austria – il più importante degli Stati tedeschi – e sovrano di Spagna e di tutti i possedimenti spagnoli in America. L’impero viveva, insomma, un’ultima stagione di splendore, che coincideva con la forza politica, economica e militare della Spagna e dell’Austria. La battaglia di Pavia, che termina con la sconfitta francese, segna una tappa fondamentale del percorso che porterà all’egemonia spagnola in Italia. L’importanza della battaglia deriva, però, anche da un’altra circostanza: siamo infatti di fronte al primo grande fatto militare in cui l’utilizzo delle armi da fuoco risulta decisivo.

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Hans Schäufelein, Battaglia di Pavia, post 1525. Incisione. Monaco, Staatliche Graphische Sammlung.

La posta in gioco era il ducato di Milano, che nel 1516, in seguito battaglia di Marignano, era stato conquistato dai mercenari al servizio del re di Francia. I francesi, però, avevano dovuto abbandonare il campo dopo appena cinque anni (1521), quando le truppe imperiali erano intervenute a sostegno del duca Francesco Sforza, desideroso di tornare sul suo trono. Deciso a risolvere definitivamente la questione, Francesco I tornò in Italia nel 1524, alla testa di 18 000 uomini. Inizialmente, l’impresa parve avere successo. Dopo aver conquistato rapidamente Milano, però, le truppe di Francesco I dovettero confrontarsi con l’imprevista resistenza di Pavia, difesa da truppe spagnole e tedesche. La città venne assediata per alcuni mesi ma, per quanto pesantemente provata, non si arrese. Finché non arrivò in suo soccorso un grosso esercito imperiale (20 000 uomini), pronto ad affrontare i francesi in campo aperto.

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Carlo V nella Battaglia di Pavia.

La battaglia ebbe luogo il 24 febbraio 1525 e iniziò con uno scontro di cavalleria, durante il quale i reparti imperiali furono dispersi. I cannoni francesi iniziarono allora a bersagliare la fanteria nemica, mettendola in seria difficoltà. Convinto di avere la vittoria in mano, Francesco I sferrò quello che riteneva essere il colpo finale, lanciando la propria cavalleria sui fanti tedeschi. Fu un grave errore: il re di Francia non si era reso conto che il nemico era riuscito a concentrare un elevato numero di archibugieri (circa 3000), pronti a sparare e a resistere all’assalto. In pochi istanti, le sorti dello scontro si ribaltarono: la cavalleria francese venne respinta e poi travolta dal contrattacco tedesco. Per i francesi, il bilancio della battaglia fu disastroso: Francesco I fu catturato e almeno 6000 dei suoi soldati restarono morti sul campo, a fronte dei mille caduti dell’esercito imperiale.

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La battaglia di Pavia, arazzo. Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte.

Nel 1531, in occasione dell’arrivo di Carlo V a Bruxelles, dove doveva tenersi l’assemblea degli stati generali, la città donò all’imperatore sette arazzi in cui era veniva celebrata la vittoria degli imperiali. La serie, eseguita probabilmente tra il 1528 e il 1531, è oggi conservata a Napoli, al museo di Capodimonte.

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La battaglia di Pavia, arazzo. Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte.

Nella storia militare, la battaglia di Pavia segna un momento cruciale: è infatti la prima volta che le armi da fuoco si rivelano decisive per gli esiti di uno scontro. Cambia, in quel momento, il modo di fare la guerra e, con esso, cambia un’epoca. Diminuisce l’importanza del valore personale, che viene ridimensionato dalla possibilità, per le armi da fuoco, di colpire da lontano. Anche il più umile dei fanti, ormai, ha l’opportunità di prevalere sul più prode e nobile dei guerrieri, senza misurarsi con lui nel corpo a corpo. Da un certo punto di vista, si può affermare che, con la battaglia di Pavia, ha termine l’età dei cavalieri e dei riti cavallereschi.

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Archibugiere seicentesco in una incisione conservata a Vienna.

La mentalità europea impiegò parecchio tempo prima di accettare le armi da fuoco. A lungo, chi le produceva e le impiegava sul campo di battaglia fu accusato di frode: un’espressione che richiama il gioco sleale e l’alterazione delle regole, in una società in cui la guerra era concepita come uno scontro in cui la vittoria spettava ai più valorosi.

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Truppe spagnole del XVI secolo, decorazione ceramica murale.

L’arma simbolo della battaglia di Pavia è l’archibugio: la prima arma da fuoco individuale e portatile. Inizialmente, questo tipo di arma sembrò inferiore all’arco lungo della tradizione militare inglese. Il suo tiro arrivava al massimo a 50 metri, mentre l’arco lungo riusciva a colpire un bersaglio a 200 metri; inoltre, l’archibugio aveva una cadenza di tiro molto inferiore, 1-2 colpi al minuto, contro i 10-12 dell’arco inglese; senza contare la scarsa precisione e il peso dell’archibugio (anche 15 chili), certo non paragonabili alla leggerezza ed efficacia dell’arco. In realtà, però, anche l’archibugio aveva i suoi punti di forza, a partire dalla facilità con cui un soldato poteva apprenderne l’utilizzo, quando, al contrario, l’uso dell’arco richiedeva anni di apprendistato ed esperienza. La corda dell’arco lungo, inoltre, per essere tesa, necessitava di notevole forza, che, per ovvie ragioni, tendeva a venir meno con il prolungarsi della battaglia.

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Doppia bombarda con martelletto fisso, XIV secolo.

A lungo, l’invenzione delle armi da fuoco è stata attribuita a un monaco tedesco, Berthold Schwarz, che avrebbe scoperto le proprietà della polvere pirica per caso, mentre compiva degli esperimenti di alchimia. Oggi, la maggioranza degli studiosi dubita di questa versione, al punto di negare l’esistenza stessa di frate Schwarz. Molto più probabilmente, la polvere esplosiva arrivò dalla Cina, in anni in cui il dialogo culturale e commerciale con l’estremo oriente era attivo e dinamico. Le prime testimonianze scritte sulle armi da fuoco in Europa risalgono al 1326: in un manoscritto inglese di quell’anno, infatti, troviamo un disegno che raffigura un primitivo cannone; si sa inoltre che, nel medesimo anno, due magistrati fiorentini ricevettero l’incarico di acquistare bombarde e munizioni destinati a difendere la città.

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