Antoine Alphonse Montfort, L'addio di Napoleone alla Guardia imperiale, XIX secolo. Castello di Versailles. Napoleone, nel cortile del Cheval-Blanc a Fontainebleau, saluta i suoi collaboratori, funzionari e militari per recarsi in esilio.
Per quale ragione il processo politico-culturale che ha portato alla formazione del Regno d’Italia viene chiamato Risorgimento? Per capirlo, occorre pensare che per raggiungere l’Unità fu necessario superare la secolare frammentazione del paese, liberandolo, al tempo stesso, dalla dominazione austriaca. Un evento epocale, che fu sentito come una “resurrezione”: la rinascita della nazione italiana, giunta al termine di un lungo periodo di divisioni e di predominio straniero. La maggioranza degli storici colloca l’inizio del movimento risorgimentale nel 1796, nel momento in cui le truppe della Francia rivoluzionaria, guidate dal generale Bonaparte, entrarono in Italia portando una ventata di idee nuove: libertà, uguaglianza, indipendenza nazionale. Fu proprio a partire da allora, in effetti, che si cominciò a immaginare un’Italia finalmente unita e indipendente.
Pagina 1/10Napoleone sul ponte del vascello che lo porta in esilio a Sant’Elena. Dipinto di William Quiller Orchardson. Londra, Tate Gallery.
Con la caduta di Napoleone (1815) tornò il vecchio regime basato sul’assolutismo monarchico. I sovrani europei, tornati sul trono, promossero un ritorno ai valori tradizionali e a una concezione antidemocratica del potere, facendo tutto il possibile per cancellare il ricordo delle idee di libertà e uguaglianza scaturite dalla Rivoluzione francese. Proprio per questa ragione, il periodo 1815-1848 è chiamato Restaurazione: si tentò infatti di tornare al passato, ricostruendo tutto ciò che la Rivoluzione aveva inteso abbattere. L’Italia, inoltre, ancora una volta, fu costretta a subire il dominio straniero: l’impero d’Austria occupava la Lombardia e il nordest della penisola, e controllava indirettamente il Granducato di Toscana e i ducati di Parma, Modena, Massa, Lucca. In questo clima, chi aveva aspirazioni liberali e democratiche era costretto ad agire nell’ombra: molti si riunirono in misteriose società segrete, meditando progetti insurrezionali.
Pagina 2/10L'arresto del conte Federico Confalonieri, tra i fondatori del giornale letterario "Il Conciliatore" e protagonista dei moti del 1821 in Lombardia.
I patrioti aderenti alle società segrete intendevano riportare in vita gli ideali del 1789. In alcuni casi, si puntava a una nuova rivoluzione; molti, però, si sarebbero accontentati di una Costituzione di stampo liberale. Desideravano, cioè, che i sovrani e i governi accettassero di sottoporsi a una legge fondamentale in grado di garantire ai cittadini alcuni diritti fondamentali, come la libertà di stampa e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Con questi obiettivi, tra il 1820 e il 1821 scoppiarono moti in numerose città italiane. Tutte queste insurrezioni, però, furono duramente represse e portarono a molti arresti, esecuzioni e condanne al carcere duro. L’esito dei quei tentativi era, del resto, scontato: le società segrete, proprio perché clandestine, non erano riuscite a coinvolgere l’opinione pubblica, in particolare i ceti medi urbani. L’insieme dei rivoltosi si restringeva a un piccolo numero di intellettuali: troppo pochi, dunque, per nutrire la benché minima speranza di successo.
Pagina 3/10Modena, 1831. I soldati del duca Francesco IV assaltano la casa del patriota Ciro Menotti.
Nuovi tentativi di insurrezione si verificarono nel biennio 1830-1831. L’esito di questi moti fu però, ancora una volta, fallimentare. A partire da allora, tuttavia, il movimento risorgimentale cominciò a rafforzarsi. Gli artisti, in particolare, avevano preso a comporre opere ispirate al più appassionato patriottismo, offrendo un apporto fondamentale allo sviluppo della coscienza nazionale degli italiani: alla consapevolezza, cioè, di far parte di un’unica comunità, legata da vincoli storici e spirituali profondi. Scrittori come Ugo Foscolo, Alessandro Manzoni, Massimo d’Azeglio e Silvio Pellico, poeti come Giovanni Berchet e Giacomo Leopardi, autori di opere liriche come Giuseppe Verdi, daranno al Risorgimento un contributo decisivo.
Pagina 4/10Ritratto di Giuseppe Mazzini.
Moltissimi italiani desideravano l’unità e l’indipendenza italiana. Non si può dire, però, che la pensassero sempre allo stesso modo. I democratici, guidati da Giuseppe Mazzini, progettavano una rivoluzione che, oltre a realizzare l’unità e l’indipendenza, portasse a una forma di governo repubblicana. I moderati, invece – come Cesare Balbo e Vincenzo Gioberti – erano monarchici e contrari a ogni tipo di rivoluzione. Fra questi, alcuni ritenevano che il compito di realizzare l’Unità dovesse essere assunto dalla dinastia Savoia, che governava lo Stato italiano allora più forte militarmente. Altri vagheggiavano una federazione di stati italiani sotto la guida del papa. I veri “vincitori” del Risorgimento saranno i liberali “filo savoiardi”: laici e contrari alle ingerenze della Chiesa negli affari di stato, ma profondamente avversi agli ideali democratici dei mazziniani.
Pagina 5/101848. I milanesi sulle barricate nei pressi di Porta Tosa. Dipinto di Carlo Canella.
Tra il 1848 e il 1849, una grande ondata rivoluzionaria attraversò l’Italia. Sotto la pressione popolare, i sovrani italiani furono costretti l’uno dopo l’altro a concedere la costituzione. Nel Lombardo-Veneto, Milano e Venezia insorgevano cacciando gli austriaci, e anche a Roma e a Firenze i democratici riuscivano a prendere il potere. Gli insorti erano destinati a una rapida sconfitta, ma l’insurrezione di Milano (le famose “Cinque Giornate”) spinse Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, a dichiarare guerra all’Austria, con il sostegno e l’appoggio militare degli altri sovrani italiani. Iniziava la prima guerra d’indipendenza, un avvenimento decisivo, non tanto per il suo esito, che fu del tutto negativo, ma perché, da allora, la causa nazionale si legherà strettamente alle scelte e alle armi di casa Savoia.
Pagina 6/10Michele Gordigiani, Ritratto del Conte Camillo Benso di Cavour. Olio su tela. Firenze, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti.
Alla fine del ‘49, dopo il fallimento dei moti, il Regno di Sardegna era ormai l’unico Stato italiano dotato di uno statuto liberale: le costituzioni che i sovrani italiani avevano concesso nel ’48 erano state infatti ritirate ed era tornato, più forte che mai, il tetro clima della Restaurazione. Proprio per questo, il Piemonte divenne il punto di riferimento e il centro di raccolta di patrioti e rivoluzionari di ogni regione. Era considerato scontato, ormai, che il processo unitario sarebbe partito, un giorno, da Torino. Se il processo Risorgimentale trovò il successo, i principali meriti vanno attribuiti a Camillo Benso, conte di Cavour, primo ministro del regno di Sardegna a partire dal 1852. Muovendosi sullo scacchiere europeo ed esercitando le sue straordinarie capacità diplomatiche, Cavour seppe offrire alla causa italiana un importante alleato: la Francia di Napoleone III, che grazie a lui si impegnò a intervenire accanto al Piemonte in caso di guerra con l’Austria.
Pagina 7/10Plinio Nomellini, Garibaldi. Olio su tela. Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori.
Nel corso della seconda guerra d’indipendenza, l’esercito franco-piemontese sconfiggeva finalmente gli austriaci, occupando la Lombardia. Sembrava giunto il momento di invadere anche il Veneto, ma l’imperatore francese, Napoleone III, decise improvvisamente di porre fine al conflitto, firmando un armistizio col nemico. Aveva compreso, infatti, che la situazione si stava evolvendo a favore dei Savoia e non della Francia. L’imperatore non sbagliava: i cittadini di Parma, Modena, Bologna e della Toscana erano insorti, avevano formato dei governi provvisori e avevano promosso l’annessione di quei territori al Piemonte. In pochi mesi, insomma, il regno di Sardegna aveva quasi triplicato la sua estensione. La situazione, del resto, era destinata a cambiare ancora. A distanza di pochi mesi, nel 1860, i Mille di Garibaldi conquistavano il Regno delle Due Sicilie, mentre i Piemontesi occupavano le Marche e l’Umbria, sottraendole allo Stato Pontificio.
Pagina 8/1020 settembre 1870. I bersaglieri entrano a Roma attraverso la breccia di Porta Pia.
Il Regno d’Italia nasce il 17 marzo 1861. In quel momento, gli unici territori italiani non compresi nel nuovo stato sono il Veneto, il Trentino, la Venezia Giulia e il Lazio, che rimane sotto l’autorità del papa. Nizza e la Savoia, intanto, sono state cedute alla Francia, in cambio dell’aiuto fornito durante la seconda guerra di indipendenza. Il Veneto entrerà a far parte del Regno d’Italia nel 1866, al termine della terza guerra d’indipendenza, mentre Roma e il Lazio verranno conquistate ancora più tardi. Con la presa di Roma, il 20 settembre 1870, avrà termine la grande epopea risorgimentale. Il Trentino e la Venezia Giulia, per divenire italiani, dovranno attendere la fine della prima guerra mondiale (1918).
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