Lussu, l’assalto frontale

Emilio Lussu partecipò alla grande guerra come ufficiale di complemento. Combatté con la brigata Sassari sull’altopiano di Asiago, in Trentino. Il suo libro-testimonianza, Un anno sull'altipiano, fu pubblicato nel 1938: un racconto crudo e ironico, che descrive efficacemente la tragedia della guerra. Particolarmente impietoso, nel racconto di Lussu, è il ritratto dei generali, descritti come uomini freddi e insensibili, del tutto indifferenti al valore delle vite sacrificate, spesso inutilmente, negli assalti.

Il capitano Bravini aveva l’orologio in mano, e seguiva, fissamente, il corso inesorabile dei minuti. Senza levare gli occhi dall’orologio gridò: «Pronti per l’assalto!» Poi riprese ancora: «Pronti per l’assalto! Signori ufficiali, in testa ai reparti!» […] Gli occhi dei soldati, spalancati, cercavano i nostri occhi. Il capitano era sempre chino sull’orologio e i soldati trovarono solo i miei occhi. Io mi sforzai di sorridere e dissi qualche parola a fior di labbra; ma quegli occhi, pieni di interrogazione e di angoscia, mi sgomentarono. «Pronti per l’assalto!» Ripeté ancora il capitano. Di tutti i momenti della guerra, quello precedente l’assalto era il più terribile. L’assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove? Le mitragliatrici, tutte, sdraiate sul ventre imbottito di cartucce, ci aspettavano. Chi non ha conosciuto quegli istanti, non ha conosciuto la guerra. […] «Savoia!» gridò il capitano Bravini. «Savoia!» ripeterono i reparti. E fu un grido urlato come un lamento ed un’invocazione disperata. La 9a [la 9a compagnia], tenente Avellini in testa, superò la breccia e si lanciò all’assalto. Il generale e il colonnello erano alle feritoie. […] La 10a, la 11a e la 12a seguirono di corsa. In pochi secondi tutto il battaglione era di fronte alle trincee nemiche. Che noi avessimo gridato o no, le mitragliatrici nemiche ci attendevano. Appena oltrepassammo una striscia di terreno roccioso ed incominciammo la discesa verso la vallata, scoperti, esse aprirono il fuoco. Le nostre grida furono coperte dalle loro raffiche. A me sembrò che contro di noi tirassero dieci mitragliatrici, talmente il terreno fu attraversato da scoppi e da sibili. I soldati colpiti cadevano pesantemente come se fossero stati precipitati dagli alberi. Per un momento, io fui avvolto da un torpore mentale e tutto il corpo divenne lento e pesante. Forse sono ferito, pensavo. Eppure sentivo di non essere ferito. I colpi vicini delle mitragliatrici e l’incalzare dei reparti che avanzavano alle spalle mi risvegliarono. Ripresi subito conoscenza del mio stato. Non rabbia, non odio, come in una rissa, ma una calma completa, assoluta, una forma di stanchezza infinita attorno al pensiero lucido. Poi anche quella stanchezza scomparve e ripresi la corsa, veloce. Ora mi sembrava di essere ridivenuto calmo, e vedevo tutto attorno a me. Ufficiali e soldati cadevano con le braccia tese e, nella caduta, i fucili venivano proiettati innanzi, lontano. Sembrava che avanzasse un battaglione di morti. Il capitano Bravini non cessava di gridare: «Savoia!» […] I difensori non erano nascosti, dietro le feritoie. Erano tutti in piedi e sporgevano oltre la trincea. Essi si sentivano sicuri. Parecchi erano addirittura dritti sui parapetti. Tutti sparavano su di noi, puntando calmi, come in piazza d’armi. […] D’un tratto, gli austriaci cessarono di sparare. Io vidi quelli che ci stavano di fronte, con gli occhi spalancati e con un’espressione di terrore quasi che essi e non noi fossero sotto il fuoco. Uno, che era senza fucile, gridò in italiano: «Basta! Basta!». «Basta!» ripeterono gli altri, dai parapetti. Quegli [quello] che era senz’armi mi parve un cappellano. «Basta! bravi soldati. Non fatevi ammazzare così». Noi ci fermammo, un istante. Noi non sparavamo, essi non sparavano. Quegli che sembrava un cappellano, si curvava talmente verso di noi, che, se io avessi teso il braccio, sarei riuscito a toccarlo. Egli aveva gli occhi fissi su di noi. Anch’io lo guardai. Dalla nostra trincea, una voce aspra si levò: «Avanti! soldati della mia gloriosa divisione. Avanti! Avanti, contro il nemico!» […] Dalla trincea nemica, una voce di comando gridò alta, in tedesco: «Fuoco!» Dalla trincea partirono dei colpi. […] Tutti ci buttammo a terra, fra i cespugli, e ci riparammo dietro gli abeti. L’assalto era finito. Io ho impiegato molto tempo a descriverlo, ma esso doveva essersi svolto in meno d’un minuto.

E. Lussu, Un anno sull’altipiano, Einaudi, Torino 1966, pp. 121-127

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L'assalto frontale