Il genocidio degli armeni

Un gruppo di ragazzine armene fotografate ad Ayntap, 1897

Le tragedie provocate dalla prima guerra mondiale sono state innumerevoli. Una di queste, però, è rimasta a lungo nascosta, quasi dimenticata: si tratta del massacro degli armeni, verificatosi tra il 1915 e il 1916 in Turchia. L’Armenia si trova nell’area caucasica meridionale, tra il bacino del Mar Nero e quello del Mar Caspio. A lungo, nel corso della storia, la popolazione armena ha subito la dominazione di potenti vicini stranieri: dai romani ai bizantini, dagli arabi ai persiani. Ultimi, in ordine di tempo, i turchi ottomani, la Russia zarista e, in anni ancora più recenti, l’Unione Sovietica.  Al tempo dell’eccidio, l’area occidentale dell’Armenia era soggetta al dominio della Turchia, appena entrata in guerra a fianco di Germania e Austria contro la Francia, l’Inghilterra e, soprattutto, l’impero zarista, confinante con l’impero turco proprio lungo la catena del Caucaso, in corrispondenza dell’Armenia.

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In un campo di concentramento, un funzionario turco distribuisce pane a un gruppo di prigionieri armeni.

Già nell’ottocento, così come era accaduto a molti popoli europei, gli armeni avevano cominciato a nutrire ambizioni di indipendenza, sognando di sottrarsi al controllo turco e, in qualche caso, dando luogo a episodi di aperta ribellione, che gli ottomani avevano represso con estrema violenza, preoccupati anche da un possibile intervento della Russia zarista, determinata ad allargarsi verso il Mediterraneo e, proprio per questo, interessata a sostenere i sentimenti antiturchi degli indipendentisti armeni. A partire dallo scoppio della prima guerra mondiale, però, gli armeni non avevano dato alcun segno concreto di slealtà, e si erano anzi stretti intorno alla bandiera turca, partecipando al conflitto con lo stesso slancio mostrato dalle altre popolazioni soggette all’autorità del sultano.

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L’esodo di un gruppo di donne armene, fotografate sulle alture dei monti Tauro.

A scatenare l’eccidio fu il timore che gli armeni potessero improvvisamente ribellarsi, creando nell’impero una ferita di cui le potenze nemiche – in particolare la Russia – avrebbero potuto facilmente approfittare, costringendolo alla sconfitta. A far cadere il sospetto su di loro, al punto da farne dei “nemici oggettivi”, era la loro “diversità”: non erano di etnia turca, parlavano una lingua che i turchi non comprendevano, ed erano, inoltre, in maggioranza cristiani, come i nemici russi, laddove la popolazione turca era, invece, di religione musulmana. Come salvare la Turchia, se gli armeni avessero tradito? E come impedire che ciò potesse accadere?

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Una donna armena deportata con il suo bambino sulle spalle.

È difficile dire se il massacro degli armeni sia stato programmato in anticipo: su questo punto gli storici continuano a discutere, faticando a trovare un accordo. Certo è che il primo passo verso l’abisso fu causato dalla decisione, presa dalle autorità turche, di trasferire l’intera popolazione armena in zone periferiche dell’impero, lontane dal fronte che divideva l’esercito ottomano da quello zarista. Fu questa gigantesca deportazione, paragonabile a quelle praticate anni dopo nella Russia stalinista, a dare il via al massacro.

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Bambini armeni rimasti orfani vengono imbarcati su una nave.

Gli spostamenti forzati si svolsero secondo procedure molto diverse, a seconda dei casi e delle circostanze. In alcune regioni, in un primo tempo, le autorità turche si comportarono in modo relativamente corretto, permettendo, ad esempio, l’uso di carri per lo spostamento verso i centri di raccolta. In altre situazioni, la tragedia iniziò fin da subito. In molti casi, infatti, al fine di prevenire il rischio di eventuali rivolte, i funzionari ottomani incaricati del trasferimento procedettero alla fucilazione di tutti i maschi adulti loro affidati. Anche chi arriverà a destinazione incolume, in ogni caso, andrà incontro a un tragico destino, fatto di fame, malattie e nuove violenze.

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Ufficiali turchi accanto ai cadaveri di un gruppo di armeni uccisi o morti per fame.

Durante il loro estenuante viaggio forzato, molte colonne di deportati furono oggetto di attacchi e razzie. A volte, gli autori di queste azioni di saccheggio erano le guardie incaricate di scortare i prigionieri; più frequentemente, le violenze vennero praticate da predoni curdi, che attaccarono sistematicamente i deportati che attraversavano i loro territori, senza che le autorità facessero nulla per fermarli. La violenza contro le donne, inoltre, fu un fenomeno costante.

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Uno dei campi di concentramento in cui vennero rinchiusi gli armeni, nel deserto siriano.

Il tragico epilogo del trasferimento coatto degli armeni si svolse nei deserti della Siria, ove centinaia di migliaia di deportati furono condotti in campi di concentramento del tutto privi di strutture di accoglienza. Qui morirono di stenti o, in altri casi, furono eliminati mediante esecuzioni di massa. Fornire una cifra precisa delle vittime del genocidio armeno è molto difficile. Secondo gli studiosi turchi, che in genere tendono a minimizzare l’accaduto, i morti non furono più di 300 mila. I numeri forniti dagli storici occidentali e da quelli armeni sono, invece, molto superiori. A giudizio di Günter Lewy, il numero dei morti può essere stimato in 642 mila (pari al 37% della popolazione armena prebellica). Secondo altri, le vittime furono ancora di più: diversi studiosi parlano infatti di un milione 200 mila morti.

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