La propaganda di guerra durante il primo conflitto mondiale

Manifesto inglese che invita al reclutamento nell’esercito per la grande guerra.

Quando si parla di “propaganda di guerra”, si fa riferimento alle campagne pubblicitarie messe in atto dai governi dei Paesi impegnati in uno scontro militare per sostenere le ragioni del conflitto e per convincere i cittadini a impegnarsi attivamente nella lotta. Per spiegare il ruolo che la propaganda ricoprì nella prima guerra mondiale occorre, però, partire da alcune premesse, relative ai “sentimenti” delle persone che furono coinvolte in quell’evento. In tutti gli stati d’Europa, lo scoppio del conflitto venne accolto con grande euforia patriottica: la corsa alle armi fu carica di entusiasmo e quasi tutti si mostrarono convinti della necessità di sostenere il proprio Paese. Molti, anzi, sperimentarono proprio allora, per la prima volta, un senso di “patria” che fino a quel momento avevano tenuto in scarsissima considerazione. Il caso più emblematico, in questo senso, è quello dei dirigenti dei partiti socialisti europei, che con poche eccezioni scelsero di appoggiare le sorti delle proprie nazioni di appartenenza, contraddicendo quanto avevano affermato e “creduto” fino alla vigilia del conflitto, quando si erano detti internazionalisti, sostenitori dell’unione tra i lavoratori “di tutti i paesi” e sostanzialmente contrari a ogni guerra.

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Manifesto di propaganda. Roma, Museo Centrale del Risorgimento.

La riscoperta della Patria si accompagnò a un altro fenomeno: in ogni Paese, si manifestò la tendenza a dimenticare e a superare le divisioni sociali e politiche interne alle singole nazioni; divisioni che spesso, in tempo di pace, erano sembrate tanto profonde da risultare insuperabili.  Come per incanto, milioni di individui si scoprirono uniti e concordi in una comune volontà di combattere: era come se la nazione si fosse trasformata in un unico corpo proiettato verso la vittoria, le cui cellule erano i singoli cittadini, ciascuno impegnato a svolgere un compito utile alla prosecuzione della lotta. Alcuni combattevano, altri lavoravano nelle fabbriche, altri scrivevano articoli in difesa della patria: tutti, però, come un sol uomo, si muovevano nella stessa direzione. I pochi che non furono contagiati da questa ondata di sentimento patriottico vennero indicati come traditori e, nel timore che il loro “disfattismo” potesse diffondersi, furono spesso perseguitati. Per essere imprigionati, era sufficiente dichiarare in pubblico che la popolazione era stanca della guerra. Se a farlo era un soldato impegnato al fronte, poi, la condanna a morte era praticamente certa.

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Manifesto che reclamizza i prestiti di guerra.




L’ultimo elemento da introdurre, prima di affrontare il tema della propaganda di guerra, è la natura profonda del primo conflitto mondiale. Fin dal 1914, ci si accorse che la guerra in corso era molto diversa da quelle che l’avevano preceduta: gli eserciti si ingrossarono all’inverosimile; quasi tutte le industrie furono convertite alla produzione di materiale bellico; ogni risorsa economica venne investita per sostenere le esigenze della macchina militare. Si trattava, insomma, di una guerra totale, una guerra che, per essere vinta, richiedeva l’utilizzo di ogni risorsa disponibile: uomini, armi, denaro. Molti, però, nel timore della sconfitta, cominciarono a pensare che tutto questo non fosse sufficiente: per vincere occorreva fede, passione, coraggio; e occorreva essere certi della vittoria finale. Quanto a lungo sarebbe durato, però, l’entusiasmo patriottico scatenatosi tra il ‘14 e il ‘15? E non c’era forse il rischio che i “traditori della patria”, con le loro parole di pace, inducessero soldati e cittadini a non fare pienamente il loro dovere? Vennero allora organizzati degli efficienti servizi di propaganda, incaricati di produrre e diffondere messaggi e materiali pubblicitari inneggianti al coraggio, al dovere e alla vittoria.

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Manifesto che invita gli inglesi a diminuire i consumi al fine di non sottrarre risorse all’esercito, aiutando cosi, indirettamente, i tedeschi.

I mezzi utilizzati per la propaganda di guerra erano molteplici: manifesti, giornali, opuscoli, cartoline, ma non solo. Ufficiali e propagandisti di professione, selezionati per le loro capacità oratorie, percorrevano le trincee con il compito di arringare i soldati, ridestando il loro entusiasmo,  infondendo coraggio  e, nello stesso tempo, alimentando le loro paure: il nemico, immancabilmente, venne additato come un barbaro, pronto, se avesse prevalso, a commettere ogni tipo di violenza e di sopruso.

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Nell’immagine di questa cartolina postale, stampata nel 1916, l’Italia, vestita della bandiera tricolore, impartisce a un plotone di bersaglieri l’ordine di combattere e di vincere.

La didascalia recita: "Tutti sanno che sono in giuoco la sicurezza e l’onore, la vita e l’avvenire della nazione: e tutti sono pronti a qualsiasi sforzo occorra perché, in questo periodo tragico della storia umana, l’Italia scriva una pagina degna del suo passato, delle sue tradizioni e della sua missione nel mondo". Il significato di queste parole è chiaro: affermare che tutti sono pronti a fare ogni sforzo per vincere serve a fare in modo che chi non è del tutto sicuro di voler fare altrettanto, leggendo il messaggio, si senta non soltanto colpevole, ma anche solo di fronte al resto della nazione.

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