Profughi cinesi in fuga dai bombardamenti giapponesi.
In Asia orientale, la guerra iniziò due anni prima che in Europa: già nel 1937, infatti, l’esercito giapponese aveva mosso guerra alla Cina. Pechino cadeva l’8 agosto di quell’anno, mentre in ottobre-novembre venivano occupate Shanghai, Nanchino, Canton e tutte le principali città costiere. Alla fine del 1938, le truppe nipponiche avevano sottomesso un milione e mezzo di chilometri quadrati di territorio cinese, abitati da 170 milioni di persone. Per la Cina, le perdite furono ingentissime. Tra il 1937 e il 1945, i militari cinesi uccisi furono 2 milioni, mentre le vittime civili furono oltre 15 milioni, morte nella maggioranza dei casi per fame e malattie.
Pagina 1/12La costruzione della corazzata giapponese Yamato, varata l'8 agosto 1940.
Anche se la il Giappone era alleato della Germania, esso condusse una guerra diversa e parallela rispetto a quella combattuta in Europa. La guerra giapponese interessò, infatti, soltanto l’estremo oriente e l’oceano Pacifico, che i nipponici intendevano sottoporre alla propria egemonia. Se gli scontri avvenuti in Asia rientrano nell’ambito più vasto della seconda guerra mondiale, è perché gli ambiziosi progetti giapponesi entrarono in contrasto con gli interessi degli Stati Uniti, affacciati sulla sponda nordamericana dell’Oceano.
Pagina 2/12Aerei da caccia giapponesi sul ponte di una portaerei.
Il primo incidente, tra americani e giapponesi, avvenne nel luglio 1941, quando i giapponesi occuparono la regione di Saigon, che fino alla vittoria tedesca su Parigi era stata una colonia francese. Temendo che l’espansione giapponese fosse destinata a estromettere la Gran Bretagna e gli Stati Uniti dai mercati dell’Estremo Oriente, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt reagì con il sequestro di tutti i beni giapponesi negli USA, bloccando, inoltre, gli scambi commerciali con il Giappone. La provocazione, dall’una e dall’altra parte, era stata durissima. Lo scontro armato diretto si profilava ormai all’orizzonte: era soltanto una questione di tempo.
Pagina 3/12Due corazzate americane affondano a Pearl Harbor.
Il 7 dicembre 1941, l’aviazione nipponica attaccò la base americana di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii. Anche per la mancanza di una dichiarazione di guerra, gli americani furono colti di sorpresa: quel giorno era domenica e molti militari di stanza alle Hawaii erano in libera uscita. Il risultato fu che i 188 aerei americani distrutti dai giapponesi furono colpiti, per la maggior parte, mentre si trovavano ancora a terra. Per i nipponici, fu una vittoria trionfale. Il risultato dell’operazione, però, fu inferiore alle aspettative della vigilia. Furono affondate quattro navi corazzate, è vero, mentre altre dieci furono gravemente danneggiate. Al momento dell’incursione, tuttavia, le quattro portaerei appartenenti alla flotta statunitense del Pacifico non si trovavano in porto, e scamparono dunque all’attacco. Con l’attacco di Pearl Harbour cominciava una nuova fase della seconda guerra mondiale: entravano in campo gli Stati Uniti, che presto sarebbero intervenuti anche in Europa.
Pagina 4/12Aerei giapponesi utilizzati nella seconda guerra mondiale. Dall'alto: Mitsubishi A6M2 (il famoso “Zero”), Aichi D3A2, Nakajima B5N2.
Nei primi mesi del 1942, il Giappone non fece che accumulare successi, conquistando tutti i principali possedimenti inglesi e americani in Asia orientale (Hong Kong, Singapore, Filippine, Birmania). Il segreto della forza militare dei giapponesi risiedeva nella micidiale strategia di attacco, ma soprattutto nella quantità e qualità dei mezzi da guerra impiegati. Tra questi, una straordinaria flotta di portaerei, in grado di imbarcare 500 velivoli. L’attacco avveniva sempre in forze, sfruttando molte navi e numerosissimi aeroplani, secondo una tattica analoga a quella praticata sulla terraferma dall’aeronautica e dalle divisioni corazzate tedesche. Le tecnologia navale e aeronautica nipponica, allora avanzatissima, era superiore a quella di qualsiasi altro paese. Gli stessi nemici del Giappone erano d’accordo nel ritenere che il Mitsubishi A6M, noto come Zero, fosse il migliore aereo da caccia basato su portaerei al mondo: il più agile e maneggevole, e quello dotato di maggiore autonomia di volo.
Pagina 5/1218 aprile 1942. Un bombardiere B-25 decolla dalla portaerei Hornet per volare su Tokio.
Per gli americani, l’attacco di Pearl Harbour fu un colpo durissimo. Subito ci si rese conto che, per risollevare gli animi era necessario un clamoroso gesto simbolico, capace di cancellare l’umiliazione subita. Nonostante la difficoltà dell’impresa, legata all’enorme distanza che separava il Giappone dal territorio americano, si scelse allora di bombardare Tokio. Il 2 aprile 1942, la portaerei Hornet salpò dalla baia di San Francisco con a bordo 16 bombardieri. Il piano prevedeva che la portaerei si avvicinasse il più possibile al Giappone: una volta partiti gli aerei, la nave si sarebbe immediatamente allontanata, mentre i bombardieri, dopo aver compiuto la loro missione, avrebbero proseguito il volo verso ovest, atterrando in territorio cinese. La Hornet, in realtà, venne intercettata quando si trovava ancora molto distante dal Giappone. Gli aerei, però, riuscirono a decollare e tredici di essi bombardarono Tokio. I danni provocati dall’incursione, in realtà, furono estremamente modesti. Il successo dell’azione, però, celebrato negli Stati Uniti con una campagna stampa trionfale, contribuì a ridare fiducia agli americani.
Pagina 6/12Un aereo americano in decollo durante la battaglia delle Midway.
Una delle battaglie più importanti della seconda guerra mondiale fu quella delle isole Midway, nel cuore del Pacifico, combattuta tra il 3 e il 5 giugno 1942. Il successo americano, dovuto anche alle informazioni raccolte mediante un’efficace azione di spionaggio, contribuì a ribaltare le sorti del conflitto, che fino ad allora aveva visto prevalere i giapponesi. In quell’occasione, i bombardieri americani affondarono 4 gigantesche portaerei, distruggendo moltissimi aerei prima che potessero decollare.
Pagina 7/12Una squadriglia di aerosiluranti americani Grumman TBF Avenger.
Le portaerei giapponesi affondate durante la battaglia delle Midway non erano imbarcazioni qualsiasi, ma degli imponenti aeroporti galleggianti. Per il Giappone, fu la perdita di un investimento di milioni di ore di lavoro specializzato, di una quantità enorme di acciaio e, soprattutto, dei soli mezzi in grado di attaccare e distruggere la flotta americana e le basi statunitensi nel Pacifico. Ricostruire quelle navi era impensabile: sarebbero occorsi cinque anni di lavoro. Durante lo scontro, inoltre, avevano perso la vita oltre cento tra i migliori piloti da caccia. Mai l’esercito nipponico aveva subìto una sconfitta così catastrofica.
Pagina 8/12Un kamikaze giapponese si prepara all’ultimo volo.
A partire dall’autunno del 1944, i giapponesi tentarono di contrastare la crescente potenza nemica ricorrendo ad attacchi aerei suicidi: soprannominati kamikaze (vento divino), i piloti giapponesi si lanciavano sulle navi americane a bordo di velivoli imbottiti di esplosivo, accettando la morte in nome della salvezza della patria. Ciò, però, non bastò a piegare l’America, che grazie al suo straordinario apparato industriale riuscì a rimpiazzare le perdite con mezzi da guerra sempre più numerosi ed efficienti.
Pagina 9/12Filippine, giugno 1944. Bombardieri americani in volo.
All’inizio del 1945, il Giappone era ormai stremato: i due terzi della sua flotta mercantile erano stati affondati, tanto da costringere le fabbriche a fermare la produzione per mancanza di materie prime e di carbone. La popolazione, intanto, soffriva la fame. I bombardamenti sulle città si susseguivano senza quasi incontrare resistenza: l’8 marzo, in una sola incursione su Tokio, persero la vita 83.000 persone; 20.000 in più dei civili inglesi periti a causa degli attacchi aerei tedeschi durante l’intero conflitto.
Pagina 10/12Il “fungo atomico” sopra Nagasaki.
All’inizio del maggio 1945, la Germania accettava la resa. I giapponesi, invece, nonostante si trovassero in condizioni disperate, continuavano a resistere. Per questa ragione, l’amministrazione americana mise a punto un piano di invasione, ipotizzando l’impiego di almeno 5 milioni di soldati. Il presidente Truman, inoltre, sollecitò l’intervento dell’URSS. Stalin accolse la richiesta, impegnandosi a dichiarare guerra all’impero nipponico entro i primi giorni di agosto. Quando ciò avvenne, però (l’8 agosto), il piano americano di invasione era stato ormai messo da parte. Nel mese di luglio, infatti, era stata sperimentata un’arma potentissima, in grado di porre rapidamente fine alla guerra: la bomba atomica. Il 6 agosto, due giorni prima dell’intervento sovietico, un bombardiere americano sganciò la bomba sulla città di Hiroshima, mentre un secondo attacco atomico venne sferrato il 9 agosto sulla città di Nagasaki. L’effetto delle due bombe fu tanto devastante da costringere il Giappone alla resa.
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La guerra aero-navale nel Pacifico