Il miracolo economico e l’emigrazione dal sud al nord Italia

Una Fiat ‘600 fotografata all’inizio degli anni '60.

Tra il 1958 e il 1963, l’Italia visse un’epoca di cambiamenti economici e industriali di portata mai vista: un progresso straordinario, che per la rapidità e la forza con cui si affermò viene oggi chiamato “boom” o, in altri termini, “miracolo economico”.  La fisionomia del Paese, in effetti, cambiò radicalmente. L’Italia, da paese agricolo, si trasformò in una grande potenza industriale. Cambiò, inoltre, la struttura della società, e si verificarono significativi cambiamenti anche nella vita delle persone.

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Uno dei primi supermercati italiani in una foto dell’inizio degli anni ‘60.

Alla metà degli anni Cinquanta, l’Italia era per molti aspetti un paese sottosviluppato: basti pensare che, nel 1951, solamente il 7,4% delle case italiane poteva disporre di elettricità, acqua corrente e servizi igienici interni. Due decenni più tardi, l’Italia sarà una delle nazioni più ricche e industrializzate al mondo, mentre i suoi cittadini raggiungeranno un livello di benessere paragonabile a quelli di Paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America.

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Una famiglia in posa accanto a tre famose vetture Fiat: la 500, la 600 e la 1500. La fotografia è stata scattata intorno alla metà degli anni ’60.

I settori industriali che trainarono la crescita produttiva del periodo 1958-63 furono numerosi e diversificati. Un ruolo particolarmente importante venne svolto dall’industria automobilistica. La Fiat 500, prodotta in milioni di esemplari a partire dal 1957, diventerà un simbolo dell’epoca. A cambiare le abitudini degli italiani – e soprattutto delle donne – contribuì, poi, l’industria degli elettrodomestici: lavatrici, frigoriferi – e anche cucine a gas – che nella maggior parte delle case fecero la loro prima comparsa proprio in quegli anni.

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Mike Bongiorno conduce Lascia o raddoppia, una delle trasmissioni simbolo del boom economico.

La migliore descrizione del miracolo economico può essere fatta attraverso i numeri: fra il 1959 e il 1963, la produzione di automobili salì da 148.000 a 760.000 unità; i frigoriferi quadruplicarono, salendo da 370.000 a un milione e mezzo, mentre le lavatrici passarono da 72.000 a 262.000. I televisori, che nel 1954 non erano più di 88.000, passarono in quattro anni a oltre 634.000, la produzione di macchine da scrivere crebbe di quattro volte, mentre la fabbricazione di materie plastiche registrò un incremento di oltre quindici volte.

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Un reparto dello stabilimento Candy di Brugherio, 1965.

Negli anni del boom, la diffusione dell’industria si estese significativamente anche al di fuori del “triangolo industriale” formato da Torino, Milano e Genova, l’area in cui, in passato, si era concentrata la gran parte degli stabilimenti. Va detto, però, che il miracolo economico fu un fenomeno essenzialmente settentrionale, dal quale le regioni del sud restarono in larga misura escluse.

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Il “treno del sole” trasporta i contadini del sud verso le fabbriche del nord Italia, 1961.

Il vorticoso sviluppo dell’industria del nord Italia si accompagnò a un vasto fenomeno migratorio, che portò centinaia di migliaia di famiglie del sud a trasferirsi nelle città del settentrione. Ad attivare questo gigantesco esodo fu la necessità, per le industrie, di reperire manodopera. Nelle regioni del sud, per contro, la disoccupazione era altissima: l’emigrazione al nord fu per molti una scelta obbligata, legata alla necessità di sopravvivere.
Le mete principali dell’emigrazione furono Milano, Torino e Genova. Soltanto nel 1958, queste città registrarono 69.000 nuovi residenti meridionali. Nel 1962, questo numero balzò a 203.800. Le regioni del sud che in termini assoluti contribuirono maggiormente al fenomeno migratorio, furono la Puglia, la Sicilia e la Campania.

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Un fotogramma del film Le mani sulla città, di Francesco Rosi, in cui si parla dell'urbanizzazione selvaggia che colpì le città del nord Italia negli anni del boom economico.

Il flusso migratorio investì le città industriali del settentrione trasformandole radicalmente. Il caso più impressionante è quello di Torino e dei comuni ad essa limitrofi, meta di immigrati provenienti soprattutto dalle province di Foggia, Bari e Reggio Calabria. La popolazione del capoluogo piemontese aumentò di oltre un terzo, passando dai 719.300 abitanti del 1951 al 1 125.000 del 1967. Ancora più impressionanti sono i dati che riguardano l’hinterland torinese. Tra il 1961 e il 1967, la popolazione dei ventitre comuni della zona circostante la città crebbe, infatti, di oltre l'80%. Un così imponente flusso migratorio non poteva non creare un’importante emergenza abitativa, cui non sempre si riuscì a fornire una risposta adeguata. L’urgenza di nuove case, in molte città, favorì un fenomeno di urbanizzazione selvaggia e incontrollata che cambiò il volto di molti quartieri, spesso deturpandone la fisionomia originaria.

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Torino, anni ’60. Due immigrati appena giunti in città camminano con le valigie tra i binari della stazione di Porta Nuova.

In un primo momento, gli abitanti delle città industriali del Nord Italia reagirono all’arrivo degli immigrati con sentimenti di ostilità e diffidenza. Messaggi del tipo “Non si affitta ai meridionali” riempivano le pagine degli annunci di tutti i grandi quotidiani del settentrione. Tra nord e sud, del resto, le differenze culturali erano notevoli. Ancora all’inizio degli anni Sessanta, il tasso di analfabetismo era molto elevato e la lingua italiana era parlata solo da una ristretta minoranza di persone. Uno dei fenomeni che concorreranno a ridurre le distanze tra nord e sud sarà proprio l’emigrazione di quel periodo. Il ruolo forse più significativo, in questo senso, verrà svolto, però, da uno dei tanti simboli dell’età del boom: la televisione, che, ancor più della scuola, contribuirà a diffondere l’uso della lingua italiana in ogni area geografica e in ogni classe sociale.

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