Un giornalista americano descrive le condizioni di vita della popolazione di colore in Sudafrica, trasformata dall’apartheid in una specie di campo di concentramento. Negli anni Sessanta del Novecento, 3,5 milioni di bianchi dominavano 12 milioni di Africani, 1,7 milioni di mulatti e 500 000 asiatici.
All’apartheid si oppose con forza in nome della democrazia il partito del Congresso Nazionale africano (anc), guidato da Nelson Mandela. Il governo sudafricano rispose con durezza mettendo fuorilegge l’anc e condannando Mandela all’ergastolo, nel 1963. Solo nel 1991 l’apartheid fu abbandonata e Mandela rimesso in libertà. Premio Nobel per la pace, Mandela nel 1994 fu eletto presidente della Repubblica sudafricana.
È vietato per lo più agli africani l’uso di ascensori o scale mobili in edifici pubblici o altrove. Sono rarissimi, per non dire inesistenti, i gabinetti pubblici per africani nei quartieri bianchi delle grandi città. I teatri e i cinematografi del centro di Johannesburg sono ovviamente preclusi ai negri e lo è ugualmente la biblioteca civica. Io non ho mai visto un africano in un albergo del Sudafrica […]. I bianchi che aspettano l’autobus nei quartieri signorili hanno la possibilità di ripararsi in una specie di chiosco alle fermate, mentre i neri devono fare la coda sotto la pioggia. Gli africani sono esclusi da quasi tutte le occupazioni qualificate. È reato per un minatore indigeno abbandonare il suo lavoro, o anche soltanto assentarsi o scioperare […]. La posizione legale odierna degli africani è tale che la polizia può arrestare qualsiasi cittadino indigeno che passi per la via di Johannesburg in qualunque ora del giorno o della notte, e qualsiasi giudice competente non può trovare difficoltà di sorta per scegliere qualche reato da imputargli. A coloro che sono arrestati nelle città per infrazioni alle leggi sui documenti […] viene offerta la scelta tra il processo o il lavoro per sei mesi in una colonia agricola […].
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Segregazione e sfruttamento in Sud Africa