Dopo lo spostamento molti migranti asiatici aprono attività nelle città italiane: in questa foto, un cinese nel suo negozio di parrucchiere, 2010.
Secondo le Nazioni Unite, nell’anno 2002, i migranti nel mondo erano 175 milioni. Di questi, ben 50 milioni si trovavano in Asia. Non sempre a partire dai paesi asiatici sono soggetti poveri e disperati.Nel caso dell’India e della Cina, ad esempio, i contadini delle campagne più misere cercano lavoro nelle città e nelle aree in via di industrializzazione dei loro paesi; ad andarsene, per tempi più o meno lunghi, sono tecnici, studenti e scienziati.
Numerosi giovani indiani specializzati in informatica, ad esempio, hanno trovato occupazione qualificata e ben retribuita in California e in altre zone degli Stati Uniti. I cinesi nel mondo erano 11 milioni nel 1950; nel 2005, la quota globale era salita a 34 milioni.
Gli spostamenti portano scambi di cultura, anche culinaria. Donna marocchina con tajin, la tipica pentola marocchina, 2005.
A partire dagli anni Settanta, un numero elevatissimo di migranti asiatici (provenienti dall’India, dal Bangladesh, dal Pakistan e dallo Sri Lanka) ha trovato lavoro negli impianti petroliferi del Vicino Oriente. Negli Emirati Arabi, il numero degli immigrati è superiore a quello della popolazione locale. In Arabia Saudita, il rapporto è di 1 straniero ogni 4 cittadini locali. In Asia gli Stati non pianificano quasi nulla dei movimenti migratori, che in genere sono gestiti da soggetti privati (agenzie più o meno legali, in diretto contatto con le imprese che forniscono lavoro). Nel 1999, le rimesse – cioè il denaro spedito in patria dagli emigranti – costituiva circa l’8,2% dell’intero PIL delle Filippine e il 6,3 di quello dello Sri Lanka.
Pagina 2/7Un barcone carico di immigrati sbarca a Lampedusa il 7 marzo 2011.
Negli anni Sessanta e Settanta, come in tutti i paesi petroliferi, anche in Libia si riversarono grandi masse di lavoratori. Col passar del tempo, la Libia è diventata un trampolino di lancio dei migranti africani diretti in Europa. Spesso, il primo approdo è l’isola di Lampedusa, che in varie occasioni si è trovata in gravi difficoltà, da un punto di vista logistico. Spesso, purtroppo, i barconi sovraccarichi di immigrati clandestini affondano durante la traversata del Mediterraneo. Ogni anno, migliaia di migranti muoiono nel tentativo di raggiungere le coste europee.
Pagina 3/7Il quartiere di Chinatown a Washington.
Gli Stati Uniti sono ancora un’importante meta di emigrazione per soggetti provenienti da ogni parte del mondo. Il flusso più importante, tuttavia, non proviene più dall’Europa e neppure dall’Asia (com’era accaduto negli anni della Guerra fredda, allorché un numero elevato di persone fuggì dalla Cina comunista, dalla Corea, dal Vietnam e dalla Cambogia), ma dall’America Latina. Complessivamente, negli ultimi decenni del XX secolo, la quota dei latinos è passata dal 25 al 40 per cento del totale degli immigrati. Pertanto, da alcuni decenni, la frontiera che viene difesa e controllata con crescente preoccupazione è quella con il Messico, da cui moltissimi migranti clandestini cercano di infiltrarsi in Texas e in California. Nonostante le severe restrizioni poste dal governo, gli ispanici sono in continua crescita, all’interno degli Stati Uniti. Nel 2000 ne sono stati censiti 37 milioni, pari al 13% della popolazione globale. Moltissimi migranti espatriati da paesi dell’America Latina, però, si sono trasferiti anche in Spagna e in Italia; in linea di massima, in questi casi si tratta di donne, che abbandonano il paese d’origine da sole e cercano lavoro come badanti. Nel 2003, il totale delle rimesse (cioè del denaro inviato dagli emigranti latino-americani alle proprie famiglie, rimaste in patria) ammontava a 38 miliardi di dollari.
Pagina 4/7Operaio senegalese alla pressa, 1991.
Quasi tutti i paesi dell’Africa sub-sahariana sono terre di emigrazione.
Le cause della partenza possono essere le più diverse: miseria diffusa, carestia, instabilità politica e interminabili guerre tra fazioni rivali. In questi casi, migliaia di profughi scappano in massa e cercano rifugio in paesi vicini, ove in genere sono accolti in campi improvvisati e privi delle più elementari strutture di assistenza.
Nel 1954, un’apposita Convenzione delle Nazioni Unite sui profughi dichiarò che doveva essere considerato rifugiato chiunque, «avendo un fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui è cittadino e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del paese in cui risiedeva abitualmente non può o non vuole tornarvi a causa di tale timore». In linea teorica, tutti i Paesi membri dell’ONU sarebbero tenuti ad ospitare i rifugiati. All’atto pratico, è spesso difficile distinguere le ragioni politiche dalla semplice disperazione, che ha spinto a fuggire per evitare la morte di se stessi e della propria famiglia.
In una scuola primaria italiana un alunno di provenienza africana inizia a scrivere sulla lavagna, 2008.
Sono tra gli 8 e i 15 milioni i musulmani che vivono stabilmente in terra europea. Come scrive Stefano Allievi, «la frontiera tra i due mondi si è spostata: anzi, non c’è più. Non si può più parlare solo di rapporti tra islam e occidente: l’islam è in occidente. È storia di oggi». Se l’Europa non vuole tradire se stessa e i propri valori di fondo, non può negare a questi soggetti – molti dei quali sono già o diventeranno presto cittadini a pieno titolo dei vari stati d’Europa – i più elementari diritti dell’uomo e del cittadino, a cominciare da quello di professare liberamente il credo che si preferisce in luoghi di culto che nessuno può violare, senza incorrere nelle stesse sanzioni che la legge prevede per chi danneggia o sfregia una chiesa cristiana. Viceversa, numerosi studiosi mettono l’accento sul fatto che proprio la libertà di culto può essere lo strumento principale per educare una nuova generazione di musulmani ai valori della democrazia. Anche coloro che risiedono stabilmente ed irreversibilmente in Europa, infatti, mantengono stretti legami con i vari paesi d’origine: se sentiranno la propria religione rispettata e valorizzata, contribuiranno in modo determinante ad offrire dell'occidente un’immagine diversa da quella consueta e stereotipata che i fanatici integralisti vogliono diffondere fra le masse
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L’emigrazione dall’Africa, dall’Asia e dall’America latina