ERODOTO MAGAZINE - VOLUME 1
UNITÀ 13 - LA REPUBBLICA ALLA PROVA DELLE ARMI
  
                            

FONTI
UN RITO DI GUERRA: LA DEVOTIO


Il passo seguente, tratto dalla Storia di Roma di Tito Livio, in cui si racconta della campagna militare che Roma intraprese contro i Latini nel 340 a.C., si sofferma in particolare su una pratica rituale che è al tempo stesso eroica e terribile: la devotio. Con questo sacrificio dedicato alle divinità degli inferi, il comandante dell’esercito si immolava sperando di garantire la vittoria al proprio esercito.

Nella confusione del momento, il console Decio1 urlò a Marco Valerio queste parole: «Valerio, ci serve l’aiuto degli dei! Suvvia, pubblico pontefice del popolo romano, dettami la formula perché possa immolarmi per le legioni». Il pontefice gli ordinò di indossare la toga pretesta2 e di pronunciare queste parole con il capo velato, con una mano sotto la toga fino a toccare il mento e stando in piedi sopra un giavellotto: «O Giano, o Giove, o Marte padre, o Quirino, o Bellona, o Lari, o dei Novensili, o dei Indigeti, e voi dei Mani, che tutto potete su noi e sui nostri nemici, vi prego e vi supplico, vi chiedo e sono certo di ottenere la grazia, che accordiate propizi al popolo romano dei Quiriti3 potenza e vittoria e che rechiate terrore, spavento e morte ai nemici del popolo romano. Come ho dichiarato con le mie parole, così offro in voto agli dei Mani e alla Terra le legioni e le milizie ausiliarie dei nemici insieme con me a favore della repubblica del popolo romano, dell’esercito, delle legioni, delle milizie ausiliarie del popolo romano».
Dopo aver pronunciato questa preghiera ordina ai littori4 di recarsi da Tito Manlio5 e di riferire subito al collega che egli si era offerto in voto per l’esercito. Cintasi poi la veste con il cinto gabino6 balzò armato a cavallo, e solo marciò in mezzo ai nemici: a entrambi gli eserciti apparve con un aspetto alquanto più maestoso di quello umano, quasi fosse mandato dal cielo come vittima che esprimesse tutta l’ira degli dei, per allontanare la rovina dai suoi riversandola sui nemici. Così, tutto il terrore e il panico che egli portava con sé scompigliò dapprima le avanguardie dei Latini, e poi si diffuse per tutto lo schieramento nemico. Era manifesto che, ovunque si dirigesse col cavallo, i nemici venivano presi dalla paura, come se fossero colpiti dall’influsso di una stella maligna; quando poi fu abbattuto coperto dai dardi, di là le coorti dei Latini, indubbiamente prede del terrore, fuggirono lasciando per largo tratto dietro di sé il deserto. Nello stesso tempo i Romani, liberato l’animo dal timore religioso, diedero di nuovo battaglia, come se allora fosse dato per la prima volta il segnale d’attacco.

Fonte: T. Livio, Storia di Roma - Libro VIII, 9, 1-13.

NOTE
1 Publio Decio Mure è il console che si immolerà per garantire la vittoria ai Romani.
2 Toga ornata con una striscia color porpora che veniva indossata dagli alti magistrati.
3 Quirites è il nome che presero i Romani nei rapporti civili dopo la loro unione con i Sabini. Può essere considerato come un attributo solenne.
4 Ufficiali che accompagnavano i magistrati portando i fasci, simboli del loro potere.
5 L’altro console.
6 Si trattava di un modo particolare di cingere la toga, utilizzato in alcune cerimonie religiose.


COMPRENSIONE
TESTO

- Da quale opera è tratto il documento e chi ne è l’autore?
- Prima di procedere al sacrificio, quali azioni compie il console?
- Quali sono le reazioni che il console suscita quando marcia in mezzo ai nemici?
- Quali sono invece le reazioni tra le file dei Romani?

CONTESTO
- Chi erano gli aruspici e quale funzione avevano?
- Quando si svolgono gli avvenimenti narrati nel documento?
- Perché Roma combatteva contro i Latini?
- Qual era il rapporto tra l’uomo e gli dei della religione romana?


                            


  Editrice La Scuola © Tutti i diritti riservati