Resurrezione


Maestro di Osnabrück (secolo XIV),
Pentecoste, 1380, tempera su tavola,

Colonia, Wallraf-Richartz-Museum





PENTECOSTE - «È meglio per voi che io parta», dice Gesù nel vangelo di Giovanni alludendo all’Ascensione, «perché, se non parto, non verrà a voi il Consolatore. Se invece me ne vado, lo manderò a voi» (Giovanni 16,7). Secondo Luca, prima dell’Ascensione Gesù promette agli apostoli: «Ed ecco che io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso» (Luca 24,49), cioè lo Spirito Santo, «il Consolatore» di cui parla Giovanni. In effetti, il giorno di Shavuot, una delle tre solenni festività ebraiche di pellegrinaggio a Gerusalemme, detta Pentecoste dagli ebrei di lingua greca poiché cade cinquanta giorni dopo Pasqua, ha luogo la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, nuovamente in numero di dodici grazie alla recente inclusione di Mattia in sostituzione di Giuda Iscariota, nonché sulla Madonna, presente in quell’occasione in mezzo a loro. Perché Giovanni definisca lo Spirito Santo come «il Consolatore», lo si capisce dalle parole di san Paolo: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare […]; colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Lettera ai Romani 8,26-27). I «disegni di Dio» che lo Spirito aiuta a desiderare sono esemplificati, negli Atti degli Apostoli, dal riferimento alla torre di Babele: il giorno di Pentecoste, ad ascoltare gli apostoli c’erano Giudei «provenienti da tutte le nazioni del mondo», eppure «ciascuno li udiva parlare nella propria lingua» (Atti 2,5-6). Grazie allo Spirito Santo, si ricompone così la frammentazione che si era generata ai tempi della torre di Babele, quando erano state confuse le lingue degli uomini (Genesi 11,1-9), e la nuova comunità cristiana diventa il luogo privilegiato della comunione fra gli uomini.
 
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