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La parola del canto
 

Donna


La Divina Commedia è un poema segnatamente «al maschile», cioè un’opera in cui prevalgono in modo e in misura eclatante personaggi e riferimenti maschili: Dante incontra quasi esclusivamente spiriti di uomini, mentre i valori e le questioni trattate si inquadrano in una società, in un dibattito in cui il ruolo e la presenza della donna sono sicuramente defilati. Per questo la presenza e la centralità della donna in questo canto, proprio all’origine del viaggio oltremondano di Dante e Virgilio, acquisisce un rilievo e un significato tutto speciale.
Sono qui infatti presenti e attive, con funzione di assolute protagoniste, le figure femminili fondamentali nell’esperienza intellettuale e spirituale di Dante: la donna amata, Beatrice, e la donna della Fede, la Vergine Maria. Il poeta trasferisce sul piano letterario il sentimento amoroso esistenziale per la prima, e il culto religioso per la seconda, facendo di loro non solo dei tradizionali motivi ispiratori (ma annotiamo comunque che qui, ai vv. 7-9, si legge una breve ma intensa «invocazione alle Muse»), esaltandone piuttosto il ruolo di attive e principali artefici del suo progetto di salvazione: sono infatti loro a riconoscere per prime lo smarrimento del poeta nella selva del peccato, e a intervenire in suo aiuto, chiarendo implicitamente l’eccezionalità e la provvidenzialità del viaggio che sta per intraprendere. A loro, si unisce la terza donna benedetta, quella santa Lucia cui Dante era particolarmente devoto e che interverrà direttamente anch’ella per aiutarlo nel cammino (nel canto IX del Purgatorio, infatti, la santa solleverà in volo Dante e Virgilio fino alla porta del secondo regno).
L’accento posto nel canto sulla donna ha anche una evidenza «statistica» ed espressiva: il termine infatti compare quattro volte (vv. 53 - 76 - 94 - 124), su un totale di dieci occorrenze in tutto l’Inferno.
Il vocabolo, che nell’italiano del Trecento tende a unire il significato dei termini latini domina (signora, padrona), femina (femmina) e mulier (donna), assume nel canto tre accezioni fondamentali: quella di «persona di sesso femminile» con implicito valore amoroso e simbolico (Beatrice, simbolo nella Commedia della Teologia), «signora» di superiore dignità e autorità nel caso della vergine Maria, e «santa», «beata», riferita in modo specifico a Lucia.
Nella Commedia sono naturalmente presenti altre donne «reali» e terrene, ma quasi sempre Dante si limita a indicarle da lontano, e quasi tutte sono comunque segnate dal loro comportamento affettivosessuale: sono donne tradite o traditrici, lussuriose pentite o svergognate. In effetti, le figure femminili con cui Dante entra in diretto rapporto dialettico sono davvero poche, e forse anche per questo restano fra le più note del poema: ricordiamo Francesca da Rimini nel canto V dell’Inferno, Pia de’ Tolomei e Sapia Sanese rispettivamente nel VI e nel XIII del Purgatorio (oltre alle figure simboliche di Matelda e delle virtuose donne del Paradiso terrestre nelle ultime sequenze di questa seconda cantica), Piccarda Donati e Cunizza da Romano rispettivamente nel III e nel IX del Paradiso (oltre naturalmente alle donne sante assise nell’Empireo).

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