Arthur Conan Doyle
Barbaglio d’Argento
Quattro giorni più tardi Holmes e io eravamo nuovamente in treno diretti a Winchester per assistere alla corsa per la Coppa Wessex. Avevamo dato appuntamento al colonnello Ross, il quale infatti ci attendeva all’uscita della stazione, e nella sua vettura ci dirigemmo all’ippodromo. Il viso del colonnello era serio e i suoi modi estremamente freddi.
– Finora del cavallo non ho avuto nessuna notizia.
– Se lo vedeste, lo riconoscereste subito? – gli chiese Holmes.
Il colonnello s’infuriò: – Vivo da vent’anni sui campi di corse, e questa è la prima volta che mi si rivolge una domanda simile! – esclamò – Anche un bambino saprebbe riconoscere Barbaglio d’Argento dalla stella bianca in fronte e dalla chiazzatura delle zampe anteriori…
– I numeri sono già usciti! – esclamai.
– Ci sono tutti e sei.
– Tutti e sei? Allora corre anche il mio cavallo! – esclamò il colonnello in preda alla più viva agitazione. – Ma non lo vedo. Ne sono passati soltanto cinque. Deve essere questo. Ma quello non è il mio cavallo! – gridò il disgraziato proprietario – Quella bestia non ha neppure un pelo bianco. Che cosa diamine mi avete combinato, signor Holmes?
– Calma, calma, vediamo come se la cava…
Come giunsero sul rettilineo, i sei cavalli erano talmente vicini l’uno all’altro che una coperta avrebbe potuto avvolgerli tutti, ma a metà corsa la scuderia Capleton passò in testa. Prima però di giungere all’altezza del punto dove noi eravamo, lo slancio di Desborough fu superato, e il cavallo del colonnello, lanciato a tutto galoppo, oltrepassò il traguardo di sei buone lunghezze sul suo rivale.
– Nonostante tutto ho vinto la corsa… – balbettò il colonnello passandosi una mano sugli occhi – Confesso che non ci capisco un’acca. Non vi pare di aver fatto abbastanza il misterioso, signor Holmes?
– Sì, colonnello, avete ragione. Adesso vi dirò tutto. Ma andiamo prima a dare un’occhiata al cavallo tutti assieme. Eccolo lì, – continuò, mentre entravamo nel recinto – non avete che da lavargli il muso e le zampe con un po’ d’alcol e vedrete che è sempre lo stesso Barbaglio d’Argento di prima.
– Mio caro signor Holmes, avete compiuto meraviglie. Il cavallo ha l’aria di star benone, anzi direi che non è mai stato meglio in vita sua. Vi devo mille scuse per aver dubitato della vostra capacità. Mi avete reso un servizio immenso facendomi ritrovare il mio cavallo, ma me ne rendereste uno ancor maggiore se riusciste a mettere le mani addosso all’assassino di John Straker.
– Già fatto. – rispose Holmes con la sua solita calma.
Il colonnello e io lo fissammo strabiliati. – Lo avete preso? Ma dov’è, dunque?
– Qui.
– Qui? Dove?
– In questo momento in mia compagnia.
Il colonnello arrossì di collera. – Riconosco di avere molti obblighi verso di voi, signor Holmes, – disse – ma devo considerare ciò che avete detto ora o uno scherzo di cattivissimo genere o un insulto.
Sherlock Holmes rise. – Vi assicuro che non ho la benché minima intenzione di associarvi al delitto, egregio colonnello. – disse.
– Il vero assassino si trova esattamente alle vostre spalle!
Fece un passo indietro e posò una mano sulla lucente criniera del purosangue.
– Il cavallo! – gridammo a una voce il colonnello e io.
– Sì, il cavallo, e la colpa è diminuita dal fatto che il poverino ha agito per legittima difesa, perché quel John Straker era un individuo del tutto indegno della fiducia di cui voi lo onoravate. Devo ammettere che le congetture che in un primo momento avevo architettato in base alle cronache dei giornali erano completamente errate. Ma a poco a poco i miei sospetti sono caduti su Straker. Non avrete certamente dimenticato lo strano coltello ritrovato in mano sua una volta morto. Come ci ha confermato il dottor Watson, si tratta di un coltello usato soltanto in delicatissime operazioni chirurgiche. Voi certamente non ignorate, colonnello Ross, che è possibile eseguire una leggera intaccatura nei tendini della coscia di un cavallo, per via sottocutanea, in modo da non lasciare traccia. Un cavallo così trattato rivela a poco a poco una zoppaggine che viene attribuita a eccesso di moto o a un attacco reumatico, ma mai a una manipolazione disonesta e criminosa.
– Mascalzone! Farabutto! – gridò il colonnello.
– Ma l’esame delle sue carte mi permise di scoprire non soltanto il metodo del suo crimine, ma anche i motivi che lo avevano indotto a tentarlo. Per quanto voi possiate essere generoso con i vostri dipendenti, non credo che con il suo solo stipendio il vostro allenatore potesse permettersi di fare un regalo a sua moglie spendendo venti ghinee per un abito da passeggio da signora. Per questo ho capito che Straker di notte aveva portato il cavallo lontano dalla stalla e, per fare luce con una candela in modo da vedere dove tagliare i tendini, aveva acceso un fiammifero, ma la bestia, spaventata da quel bagliore improvviso, e con lo strano istinto degli animali che li avverte sempre di un pericolo imminente, si era messa a scalciare, e lo zoccolo d’acciaio aveva colpito in pieno Straker alla fronte. Per compiere quella delicata operazione, egli, incurante della pioggia, si era tolto il mantello e così, nella caduta, il coltello gli aveva trapassato la coscia. Sono stato chiaro?
– Fantastico! – esclamò il colonnello – Fantastico! Si direbbe che siate stato presente alla scena…
– Riflettei che un uomo astuto come Straker non avrebbe intrapreso la delicata recisione di un tendine senza fare prima un po’ di pratica. Su chi dunque aveva potuto esercitarsi? I miei occhi caddero sulle pecore, e feci una domanda che, con mia sorpresa, mi dimostrò, con la risposta del suo garzone, che la mia ipotesi era esatta.
adatt. da Arthur Conan Doyle, Le avventure di Sherlock Holmes, Mondadori