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Gruppo di ragazzine di Ayntap, 189. Museo del Genocidio armeno - Istituto Collection.
Pare che Hitler, nel 1943, durante una conversazione a tavola abbia detto: «Chi ricorda più il massacro degli armeni?». In effetti, le violenze compiute contro gli armeni durante il 1915 solo in tempi recenti sono state oggetto di studio analitico da parte degli storici, per quanto le autorità turche abbiano opposto mille difficoltà e di fatto, ancor oggi, neghino che il massacro abbia realmente avuto luogo. L’obiettivo primario del governo ottomano era quello di liberare l'Asia Minore da un potenziale nemico: un’area decisiva sotto il profilo strategico, ai confini del nemico russo e situata nel cuore stesso dell’impero. In effetti, se gli armeni si fossero ribellati (come avevano in precedenza già fatto, nell’Europa sud-orientale, i greci o i serbi), per il sultano di Istanbul sarebbe stata la fine. Una donna armena in viaggio, con il suo bambino sulle spalle.
È difficile dire fino a che punto il massacro degli armeni del 1915 fosse stato programmato in anticipo: su questo punto, la discussione storiografica è, a dir poco, incandescente. Il dato certo è che la morte di massa degli armeni avvenne in concomitanza con una vasta operazione di trasferimento forzato; la catastrofe fu l’esito e la conseguenza estrema di questa deportazione, che in larga parte fu condotta in modo del tutto improvvisato e quindi era fin dall’inizio, comunque, destinata a risolversi in catastrofe. Per molti aspetti, la deportazione degli armeni assomiglia all’operazione di liquidazione dei kulaki condotta da Stalin negli anni 1930-1931. Ovviamente, dobbiamo precisare che i contadini sovietici (sprezzantemente chiamati kulaki, cioè sfruttatori) non erano una nazione, un’etnia, bensì un gruppo sociale, una classe, nel linguaggio comunista del tempo. La procedura, però, fu per molti versi analoga: arresto in massa di intere famiglie, deportazione in zone periferiche e del tutto impreparate alla ricezione dei nuovi arrivati, morte di massa per colpevole negligenza delle autorità, che si disinteressarono completamente di quanto accadeva ai deportati. Un funzionario turco dà del pane agli armeni.
Il trasferimento coatto degli armeni fu effettuato nei mesi di giugno e luglio del 1915. Gli spostamenti forzati si svolsero secondo procedure molto diverse, a seconda dei casi e delle circostanze, cioè dei luoghi e dei funzionari che si incaricarono di eseguire i vaghi e ambigui ordini che provenivano dalla capitale. In alcune regioni, le autorità turche si comportarono in modo relativamente corretto e pacifico, permettendo, ad esempio, l’uso di carri per lo spostamento verso i centri di raccolta. In altre situazioni, invece, i funzionari del governo ottomano procedettero innanzi tutto alla fucilazione dei maschi adulti e di tutti coloro che avrebbero potuto organizzare un movimento di resistenza. Bambini armeni attendono di partire per l’America.
Molte delle colonne di deportati furono oggetto di attacchi e razzie. A volte, gli autori di queste azioni di saccheggio e rapina erano le guardie stesse, incaricate di scortare gli armeni; le violenze più sistematiche, tuttavia, provennero dalle tribù curde, quando le colonne dei deportati attraversavano i territori di cui esse, di fatto, erano le uniche signore e padrone, perfino in tempo di pace, taglieggiando tutti i viaggiatori. In tutte queste circostanze, le donne furono il principale bersaglio dei predoni, che praticarono sistematicamente lo stupro, oppure si impadronirono di donne e ragazzi, che a volte erano venduti dai soldati di scorta ai curdi e agli altri rapinatori. Sotto questo profilo, il dramma che colpì il popolo armeno nel 1915 è molto diverso dal processo di sterminio degli ebrei, ai quali i nazisti, senza concedere alcuna opportunità di conversione religiosa, non lasciarono alcuna via di scampo, fino al punto da sprecare completamente le opportunità che lo sfruttamento del loro lavoro avrebbe offerto allo sforzo bellico. Inoltre, poiché le relazioni sessuali tra ebrei e ariani erano formalmente vietate dalla legislazione del Terzo Reich, nel caso della Shoah il numero di violenze carnali fu decisamente esiguo, mentre gli stupri furono compiuti in numero elevatissimo a danno delle donne armene deportate. Bambini rimasti orfani dopo il genocidio delle loro famiglie sono imbarcati su una nave, Armenia.
Il tragico epilogo dell’intera vicenda del trasferimento coatto degli armeni si svolse nei deserti della Siria, ove centinaia di migliaia di deportati furono condotti in campi del tutto privi di strutture di accoglienza oppure furono eliminati con esecuzioni di massa. È impossibile fornire una cifra precisa delle vittime della tragedia che colpì gli armeni durante la prima guerra mondiale. Secondo gli studiosi turchi, che in genere tendono a minimizzare l’accaduto, i morti non superarono i 300 000; gli storici armeni ed occidentali sono concordi solo nel ritenere tale cifra ampiamente inferiore alla verità. A giudizio di G. Lewy, il numero dei decessi può essere stimato in 642 000 (pari al 37% della popolazione armena prebellica, che lo studioso americano valuta in 1 750 000); secondo altri storici, che naturalmente innalzano in genere anche il numero degli armeni residenti in Anatolia prima della catastrofe, le vittime furono molte di più: la cifra di 1 200 000, ad esempio, è accettata e riportata da numerosi studiosi nelle loro ricostruzioni di un «genocidio non-industriale» e per molti versi improvvisato, che lo storico americano Jay Winter ha efficacemente definito «l’anello di congiunzione tra Ottocento e Novecento».