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CorpoBambini affacciati a una piccola finestra di una baracca alla periferia di Milano; si legge la scritta "W Togliatti, Capo del Partito Comunista Italiano". Fotografia del 1945.
Il 10 dicembre 1945, divenne Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, segretario della Democrazia Cristiana (DC), l’organizzazione politica dei cattolici che, nel 1942-1943, era risorta dalle ceneri del Partito Popolare, disciolto dai fascisti nel 1926. A questo primo governo De Gasperi, parteciparono ancora i principali partiti di sinistra (vale a dire il Partito d’Azione, i socialisti e i comunisti). Il leader comunista Palmiro Togliatti, che svolgeva l’incarico di ministro della Giustizia, era convinto che in Italia non ci fossero assolutamente le condizioni per procedere ad un moto rivoluzionario, che sarebbe stato schiacciato dall’esercito alleato, come quello scoppiato, nel 1944, in Grecia. Togliatti, pertanto, impose al suo partito una linea politica di cautela e moderazione, che prese il nome di democrazia progressiva. In alternativa alla rivoluzione, tale impostazione proponeva la realizzazione di una serie di significative riforme in campo sociale e politico: nelle intenzioni di Togliatti, esse avrebbero inciso profondamente sulle condizioni di vita delle masse e permesso una loro maggiore partecipazione alla gestione dello Stato, in un’ottica autenticamente democratica.
Milano, 18 aprile 1948: alcune donne, contraddistinte dal simbolo cattolico del "bianco fiore", leggono i risultati elettorali che segnano il trionfo della Democrazia Cristiana.
Il 2 giugno 1946 ebbero luogo il referendum istituzionale (per decidere se l’Italia dovesse restare una monarchia o trasformarsi in repubblica) e le elezioni per l’ Assemblea Costituente, chiamata comunque a modificare l’ormai screditato Statuto albertino. In questa occasione, per la prima volta, andarono alle urne anche le donne. La consultazione elettorale risultò favorevole alla Repubblica, con uno scarto di circa due milioni di voti: 12 718 641 (54%) contro 10 718 502. Quanto alle elezioni per la Costituente, si deve dire che esse videro l’affermazione dei tre grandi partiti di massa: Democrazia Cristiana (35%), Partito Socialista (20%) e Partito Comunista (19%). I grandi sconfitti, furono i liberali (cioè i protagonisti della vita politica italiana nel periodo precedente il fascismo) e il Partito d'Azione, incapace di conquistare il consenso sia dei lavoratori (legati per tradizione ai due partiti di orientamento marxista, oppure al partito cattolico), sia dei ceti medi (attratti soprattutto dalla DC). Riunitasi per la prima volta il 25 giugno 1946, l’Assemblea Costituente procedette innanzi tutto ad eleggere un nuovo capo dello Stato, che sostituisse il deposto sovrano. La scelta cadde sul senatore Enrico de Nicola, incaricato di svolgere le funzioni di Presidente della Repubblica fino a quando non fossero entrate in vigore le norme della nuova Legge fondamentale. La stesura materiale del testo costituzionale fu affidata a una commissione di 75 membri, incaricata di elaborare e discutere i vari articoli, prima che essi fossero sottoposti all’assemblea per la loro definitiva approvazione. Il 1 gennaio 1948, la nuova Costituzione entrò in vigore.
Militanti comunisti verso un comizio, 1948.
Nel maggio 1947, De Gasperi considerò chiusa la fase politica che necessitava della presenza dei comunisti nell’esecutivo, e procedette alla formazione di un nuovo governo senza le sinistre. Del resto, nel settembre 1947, in risposta alla grande offensiva politica ed economica condotta dagli Stati Uniti (enunciazione della Dottrina Truman e Piano Marshall), l’URSS organizzò il cosiddetto Cominform (= Ufficio d’informazione dei partiti comunisti), una sorta di nuova Internazionale comunista, finalizzata a sostenere gli interessi e la politica dell’Unione Sovietica in Europa. Per il Partito Comunista Italiano, l’adesione al Cominform significò la perdita di ogni autonoma iniziativa politica, un vero e proprio allineamento alle direttive di Mosca e un pesantissimo irrigidimento ideologico, di cui il culto di Stalin era una componente fondamentale. Si prenda, ad esempio, il titolo con cui l’Unità, il 6 marzo 1953, annunciava la scomparsa del dittatore sovietico: «È morto l’uomo che più ha fatto per la liberazione del genere umano». Parallelamente, vi fu una decisa radicalizzazione ideologica anche sul versante cattolico.
Papa Pio XII, fin dalle elezioni per la Costituente, era intervenuto pubblicamente nella contesa politica italiana, raccomandando agli elettori di non orientare il loro voto in direzione dei partiti di sinistra; la presenza politica della Chiesa, tuttavia, raggiunse il proprio vertice in occasione delle prime elezioni politiche dopo l’entrata in vigore della Costituzione (1 gennaio 1948), previste per il 18 aprile 1948.
Manifesto di propaganda delle forze moderate durante la campagna elettorale del 1948.
Per tutta la campagna elettorale del 1948, i cosiddetti Comitati civici, fondati e diretti da Luigi Gedda, esponente di primo piano dell’Azione Cattolica, svolsero una capillare opera di propaganda finalizzata a orientare il voto degli italiani in direzione della DC.
L’avversario comunista venne, per così dire, demonizzato, cioè presentato come un pericolo mortale per tutti i valori più cari alla tradizione cristiana, primi fra tutti quelli relativi alla famiglia. Al contrario, la vittoria della DC veniva presentata come la prima tappa nella direzione di una società autenticamente cristiana, pacifica e ordinata perché sottoposta alla paterna guida sociale e politica della gerarchia ecclesiastica.
Le elezioni del 18 aprile 1948 si svolsero dunque in un contesto emotivo esasperato: l’attenzione degli elettori non venne focalizzata su concrete e realistiche proposte e prospettive di ricostruzione del Paese; al contrario, il voto venne richiesto su due visioni del mondo, presentate come opposte, alternative e inconciliabili: quella cristiana e quella comunista.
Manifesto politico per le elezioni del 1948: Fronte democratico popolare. W il Fronte democratico? Capovolgi e vedi la frode.Le forze moderate, così come i partiti del Fronte popolare si impegnarono con ampia profusione di mezzi in questa operazione che fu spesso di una estrema pesantezza verbale.
Durante la campagna elettorale del 1948, un ruolo propagandistico decisivo fu svolto dall’arrivo degli aiuti economici americani (176 milioni di dollari nei primi tre mesi del 1948), che venivano consegnati nel contesto di solenni cerimonie. In ognuna di queste occasioni, il rappresentante del governo statunitense ribadiva che un’eventuale vittoria comunista avrebbe comportato l’imimagesto arresto delle sovvenzioni statunitensi all’Italia. Socialisti e comunisti si erano alleati e avevano dato vita al cosiddetto Fronte popolare. Per fare colpo sull’immaginario della gente comune, e presentarsi come veri rappresentanti della nazione italiana, i dirigenti delle sinistre scelsero di non presentare come simbolo elettorale la tradizionale falce e martello, bensì il volto di Garibaldi, l’eroe democratico del Risorgimento più amato e più conosciuto. I nemici delle sinistre ebbero buon gioco nel rispondere, e poterono sfruttare il colpo di stato che avvenne a Praga il 25 febbraio 1948. La Cecoslovacchia era l’ultimo dei paesi occupati dall’Armata rossa nel 1945 che avesse potuto mantenere, fino ad allora, un regime democratico: la vittoria elettorale dei comunisti, tuttavia, aveva cancellato anche a Praga la democrazia. Pertanto, nella propaganda anti-comunista del 1948, se si girava il volto di Garibaldi, compariva quello di Stalin, per ammonire che la vittoria del Fronte popolare avrebbe aperto la strada, anche in Italia, ad una dittatura guidata da Mosca.
Giovannino Guareschi (1908-1968), creatore di Don Camillo.
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Tra il 1944 e il 1956, un numero elevatissimo di scrittori e di intellettuali italiani aderì con entusiasmo al Partito Comunista, ne diffuse con passione il messaggio ideologico e ne sostenne convinzione le posizioni politiche.L’adesione nasceva da un sincero e diffuso desiderio di rinnovamento, nato durante gli anni della Resistenza e della guerra antifascista, di cui le Brigate Garibaldi e l’Armata Rossa parevano aver portato il peso maggiore. Sul versante opposto, invece, una delle figure più influenti fu Giovannino Guareschi, ideatore (in occasione delle consultazioni del 18 aprile 1948) di uno degli slogan più efficaci del tempo: «Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no!». Il capolavoro letterario di Guareschi è la saga che ha come protagonisti il prete di un paese della Bassa (don Camillo), il sindaco comunista del medesimo villaggio (Peppone) e il Crocefisso della chiesa parrocchiale, che in numerosi racconti dialoga con il sacerdote, gli offre consigli o lo sgrida per i suoi comportamenti poco ortodossi. I racconti di Giovannino Guareschi uscivano su Candido un giornale di satira politica pubblicato a partire dal dicembre del 1945. La rivista era dichiaratamente schierata in senso conservatore, cioè assunse come proprio bersaglio tutte «le innovazioni rivoluzionarie quali la riforma agraria, le aberrazioni dello statalismo, l’istituzione delle regioni, la riforma dell’onestà, l’eliminazione del pudore, la soppressione della dignità personale e nazionale e la parificazione dei diritti fra galantuomini e manigoldi» (5 gennaio 1946). Nell’imimagesto dopoguerra, tuttavia, lo spazio maggiore fu riservato alla denuncia – in forma ironica, ma al tempo stesso puntuale, sistematica e feroce – dello stillicidio di uccisioni che vennero perpetrate in Emilia Romagna e, più in generale, sull’intero territorio nazionale.
Il manifesto elettorale della DC per le elezioni del 1948 in cui, parodiando il titolo del famoso film hollywoodiano "Via col vento", si invita al voto contro il Fronte popolare, rappresentato da Nenni e Togliatti.
La polemica condotta da Guareschi contro il comunismo era dura, aspra, violenta; in particolare, veniva attaccata la disciplina di partito, o meglio l’ottusità e il fanatismo con cui – secondo i loro avversari – i militanti comunisti obbedivano alle direttive di Togliatti e di Stalin. Nei racconti della saga di don Camillo, il giudizio di condanna sul movimento è identico; tuttavia, Guareschi riesce più volte a guardare anche agli uomini e ai loro valori, alle loro aspirazioni di giustizia, che il prete condivide a livello etico, pur non approvando i mezzi (la rivoluzione armata e violenta) e pur rifiutando a priori i presupposti atei del marxismo. La figura di Peppone, in particolare, è impregnata di una profonda umanità, cosicché i due personaggi principali della saga – il parroco e il sindaco comunista – si stimano, si completano e si cercano, in un rapporto di profonda amicizia, che sa superare le radicali divergenze e le inconciliabili posizioni politiche.
Manifesto elettorale della Democrazia Cristiana.
Le elezioni videro una clamorosa affermazione della DC, che ottenne alla Camera 12 741 299 voti, pari al 48,5% del totale; il Fronte Popolare (la coalizione delle sinistre, che riuniva comunisti e socialisti in un’unica lista) ottenne invece solo 8 137 047 suffragi, corrispondenti al 31% del totale. Le cifre appaiono ancora più straordinarie non appena vengono confrontate con quelle delle elezioni del 1946, per la Costituente: la DC guadagnò infatti quasi cinque milioni di voti, mentre la coalizione delle sinistre perse circa un milione di suffragi. Per le sinistre fu una vera doccia fredda: Togliatti e gli altri dirigenti comunisti si aspettavano una netta vittoria del Fronte Popolare e non nascosero mai il loro ottimismo.Il segretario del partito pensava che i suffragi in Lombardia e nel nord sarebbero rimasti sostanzialmente stabili, ma sperava di poter aumentare notevolmente la presa elettorale al Sud. In un messaggio inviato a Mosca, fu ipotizzato che lo schieramento guidato dal PCI avrebbe ottenuto non meno del 45-48% dei voti. Matteo Secchia, il 14 aprile, si spinse fino a sostenere che il Fronte avrebbe conquistato il 48% dei seggi alla camera e il 52% di quelli del senato.
Certificato elettorale della contadina Giuditta Vacca, nata a Castelpetroso, residente nell'agro di Isernia per le elezioni del 1948 ancora provincia di Campobasso. Le operazioni di voto si effettueranno presso il liceo Onorato Fascitelli di Isernia.
Le conseguenze del voto del 18 aprile 1948 per la storia dell’Italia repubblicana furono importantissime; in primo luogo, la vittoria della DC significò la definitiva collocazione dell’Italia nello schieramento dei paesi occidentali, caratterizzati dall’esistenza di un’economia di mercato e di un’autentica democrazia parlamentare. D'altro canto, la violenza dei toni utilizzati da entrambe le parti durante la campagna elettorale ebbe pesanti ripercussioni per diverso tempo.Il 14 luglio 1948, un giovane esaltato sparò quattro colpi di pistola a Togliatti. Nei giorni imimagestamente seguenti, si ebbero scioperi, disordini e scontri armati in tutta l’Italia centrale e settentrionale (quella che aveva vissuto l’esperienza della lotta partigiana: il sud, non a caso, restò immobile). La direzione del PCI, consapevole del fatto che un’ insurrezione popolare non avrebbe avuto alcuna possibilità di riuscita, si affrettò a richiamare i propri militanti all’ordine e alla calma. Un analogo appello venne lanciato ai lavoratori anche dal sindacato CGIL (Confederazione generale italiana del lavoro), che a quell’epoca era un’organizzazione unica, in cui militavano sia comunisti che socialisti e cattolici.
Si sparge la notizia dell’attentato a Palmiro Togliatti, segretario del PCI. Luglio 1948.
Il 26 marzo 1948, Stalin emanò una direttiva molto chiara e precisa, rivolta ai comunisti italiani, e ordinò esplicitamente di non attuare in Italia un’insurrezione armata per nessuna ragione. Questo esplicito divieto (emanato ancor prima delle elezioni del 18 aprile) spiega perché, anche dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio, i dirigenti comunisti si affrettarono a placare gli spiriti più bellicosi, che avrebbero voluto tentare la via della rivolta armata, approfittando dell’ondata di sdegno suscitata dal ferimento del leader comunista. Probabilmente, la decisione di Stalin di vietare qualsiasi avventura rivoluzionaria in Italia fu influenzata da considerazioni di politica internazionale. In Germania (scenario ben più importante dell’Italia, agli occhi dei sovietici) stava maturando la prima crisi di Berlino: il blocco del settore occidentale sarebbe scattato in giugno. Nello stesso mese, sarebbe giunta anche la rottura sta Mosca e Belgrado, cioè con quella Jugoslavia che Togliatti, nella sua domanda formulata in marzo, ipotizzava invece che potesse svolgere un importante ruolo di sostegno militare ai comunisti italiani in caso di guerra civile. Per Stalin l’Italia – per altro strettamente inserita nel blocco americano e, dopo le elezioni, saldamente guidata da un governo anticomunista – era ormai uno scenario privo di importanza, da tenere tranquillo, ai margini della grande politica.
Un poliziotto ferito durante i disordini dei giorni dell’attentato a Togliatti. La reazione del Ministro degli Interno sarà durissima, con retate, arresti e repressione violenta; il bilancio degli incidenti in tutto il paese sarà di 14 morti e circa 200 feriti. Luglio 1948.
In un primo momento, i dirigenti sindacali comunisti avevano approvato l’idea che lo sciopero generale, bandito in occasione dell’attentato a Togliatti, non fosse solo una dimostrazione di sdegno e di solidarietà, ma si trasformasse in uno strumento di pressione per ottenere le dimissioni del governo. Di conseguenza, non appena fu tornata la calma, i cattolici diedero vita a un proprio sindacato, denominato CISL (Confederazione Italiana Sindacati Liberi); i socialisti e i socialdemocratici, a loro volta, nel 1950 diedero vita ad un proprio sindacato, la UIL (Unione Italiana del Lavoro). Negli anni seguenti, la tensione sociale rimase altissima; a causa dell’elevatissimo numero di disoccupati (1 740 000 nel 1949; più di due milioni nel 1951), si ebbero numerosissimi scioperi, manifestazioni di piazza e occupazioni di fabbriche e di terre. Queste azioni di protesta si concludevano regolarmente con l’intervento della polizia (la cosiddetta Celere) e con vere e proprie battaglie fra lavoratori e forze dell'ordine. Nel Nord Italia, il più grave di tali scontri provocò sei morti fra gli operai, a Modena, il 9 gennaio 1950; al sud, invece, tre contadini furono uccisi dalla polizia a Melissa, in Calabria, il 29 ottobre 1949.
Cupa espressione di un militante comunista che nei pressi della redazione dell’Unità a Roma segue lo spoglio delle schede delle elezioni. Aprile 1948.
Nel luglio 1949, un esplicito divieto del Sant’Uffizio proibì ai cattolici di «iscriversi a partiti comunisti o dare a essi appoggio», nonché di «pubblicare, diffondere o leggere libri, periodici, giornali o fogli volanti, che sostengano la dottrina o la prassi del comunismo, o collaborare in essi con scritti». Alla fine degli anni Quaranta, numerosi alti esponenti della Chiesa cattolica sognavano ancora uno stato integralmente cattolico e non nascondevano le proprie simpatie per la Spagna franchista. Su questo sfondo cattolico, che non era ancora del tutto in sintonia con i principi fondamentali di uno Stato moderno - laico, liberale e democratico - risalta notevolmente la figura di De Gasperi. All’indomani del clamoroso successo elettorale del proprio partito, il segretario della DC decise di costituire un governo di coalizione, a cui partecipassero (oltre, ovviamente, ai democristiani) anche repubblicani, liberali e socialdemocratici. Questi ultimi, guidati da Giuseppe Saragat, si erano staccati il 9 gennaio 1947 dal Partito Socialista, in quanto non accettavano di collaborare con i comunisti ed erano fortemente critici nei confronti del regime sovietico. De Gasperi, dunque, scelse di governare l’Italia insieme a un gruppo di partiti laici, alquanto diversi - per tradizione e valori di riferimento - rispetto al partito cattolico. Tale scelta era il segno di un netto rifiuto, da parte del segretario della DC, di trasformare l’Italia in un regime integralmente cattolico, sebbene a più riprese egli avesse ricevuto forti pressioni ecclesiastiche in questa direzione. De Gasperi, per quanto fervente cattolico, era pur sempre un uomo di formazione e di cultura liberale, fermo sostenitore, dunque, del principio secondo cui tutte le fedi e le opinioni dovevano poter circolare liberamente, senza che allo stato fosse lecito farne propria nessuna in particolare.
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Cattolici e comunisti in Italia nel 1948
Conflitti del dopoguerra, tra Novecento e Duemila