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CorpoCharles De Gaulle a Parigi nel 1944 al momento della liberazione della città.
Travolta dalla guerra lampo tedesca, la Francia si arrese il 25 giugno 1940. Il paese era frastornato e confuso dalla clamorosa disfatta, del tutto incapace di comprendere le ragioni per cui il nuovo conflitto con la Germania l’aveva vista crollare d’improvviso, al primo urto del nemico. Fu dunque una Francia disperata quella in cui l’11 luglio il maresciallo Pétain (l’eroe di Verdun, nel 1916) assunse la guida della Repubblica, dopo che 569 deputati e senatori gli ebbero conferito poteri straordinari, che lo autorizzavano a stendere una nuova Costituzione. Il 4 luglio 1940, temendo che cadesse in mano tedesca, gli inglesi bombardarono la squadra navale francese a Mers el-Kebir. Questo gesto, insieme alla convinzione che la guerra fosse finita, che la resistenza britannica sarebbe stata spezzata in tempi brevi e che occorresse al più presto adeguarsi al nuovo ordine europeo che il Terzo Reich stava imponendo all’Europa, indusse la componente più conservatrice della società francese ad offrire servizi di vario genere ai tedeschi. Il 28 maggio 1941 furono firmati i Protocolli di Parigi, un accordo che offriva ai tedeschi tre importanti concessioni militari: la Francia permetteva alla Germania di usare i propri aeroporti e le scorte militari francesi in Siria; l’uso del porto tunisino di Biserta come punto di rifornimento delle truppe tedesche impegnate in Africa del nord; una base sottomarina tedesca a Dakar. In cambio, i tedeschi concessero una piccola riduzione dei costi d’occupazione, il rilascio dei veterani francesi della prima guerra mondiale (70 000-80 000) ancora presenti nei campi di prigionia in Germania e infine alcune modifiche alle restrizioni militari imposte al governo francese. Gli inglesi, però, si affrettarono a occupare gli aeroporti in Siria, mentre Hitler, dal giugno 1941, perse interesse per la situazione francese, in quanto le sue attenzioni, da quel momento, si concentrarono quasi esclusivamente sul fronte orientale.
Il generale De Gaulle con il generale Koening, agosto 1944.
In Siria e in alcune zone dell’Africa, gli inglesi trovarono sostegno in ufficiali e reparti militari francesi che avevano aderito all’appello radiofonico lanciato dal generale Charles De Gaulle, rifugiatosi in Inghilterra dopo la disfatta. «Qualunque cosa accada – disse De Gaulle il 18 giugno 1940 a Radio Londra – la fiamma della Resistenza francese non deve essere estinta e non lo sarà». Un organico movimento di lotta contro l’occupazione, tuttavia, impiegò in Francia molto tempo per organizzarsi. A lungo, fino a quando l’esercito tedesco sembrò del tutto invincibile, anche i più irriducibili sostenitori dell’indipendenza francese erano demoralizzati e depressi: la loro opposizione si esprimeva in qualche gesto simbolico oppure (in forma passiva, ma comunque pericolosa) nel darsi alla macchia quando si era convocati per un lavoro volontario da svolgere in Germania. Le cose cambiarono a partire dall’estate 1941, allorché l’aggressione tedesca all’URSS fece scendere in campo i comunisti, e a maggior ragione nel periodo seguente, man mano che si prospettava la possibilità di un’invasione anglo-americana.
Il generale de Gaulle, leader del Governo Provvisorio della Repubblica, arriva al cimitero Morette per onorare i veterani di guerra.
Il 6 giugno 1944, gli anglo-americani procedettero all’ invasione della Francia, che ebbe come atto iniziale lo sbarco in Normandia. Fu un’operazione militare di proporzioni colossali, basata su una concentrazione di uomini e mezzi che non aveva precedenti nella storia: circa 200 000 uomini, su 6500 mezzi da sbarco, poterono operare protetti da 200 navi da guerra e da oltre 13 mila aerei. L’esercito tedesco non poté opporsi a lungo a un simile spiegamento di forze, col risultato che, il 25 agosto, Parigi fu liberata. Le prime truppe a entrare nella capitale furono francesi. Si trattava di reparti che avevano aderito a un appello lanciato all’indomani della disfatta, il 18 giugno 1940, dal generale Charles De Gaulle; rivolgendosi a una Francia sconfitta e demoralizzata, dove molti erano tentati di collaborare con l’occupante tedesco, egli aveva esortato alla resistenza e alla continuazione (con ogni mezzo possibile) della guerra contro la Germania. Rientrato finalmente a Parigi, De Gaulle assunse la carica di presidente della Repubblica francese, e si può dire che per tutta la sua vita egli si sia sforzato di mantenere alto il prestigio della Francia nel mondo; la sconfitta nel 1940 e la liberazione da parte degli anglo-americani, tuttavia, avevano mostrato chiaramente che la Francia non era più una grande potenza capace di guidare e dominare la situazione politica internazionale.
Manifesto russo di critica al piano Marshall (1947-1952), che mostra De Gaulle che chiede aiuti agli americani con doppi fini.
Negli anni Cinquanta, emerse con chiarezza che USA e URSS erano le uniche potenze capaci di decidere i destini del mondo. Francia e Inghilterra, che pure figuravano tra i vincitori della guerra mondiale, in realtà si erano trasformati in soggetti minori, del tutto incapaci di reggere il confronto con i due veri protagonisti della politica europea (e mondiale). L’Inghilterra accettò più rapidamente questo declassamento, e una volta concessa l’indipendenza all’India (1947) si apprestò a smantellare l’impero in modo rapido e pacifico. La Francia, all’opposto, rinunciò mal volentieri al suo ruolo di grande potenza, e quindi cercò di difendere con tenacia e determinazione il proprio impero coloniale. Per mantenere alto il proprio profilo a livello internazionale, la Francia affrontò nel dopoguerra diversi conflitti. Negli anni 1946-1954, cercò di impedire l’indipendenza del Vietnam, per altri con il pieno sostegno americano: deciso a contenere a qualunque costo e con ogni mezzo l’espansione del comunismo, il presidente americano Truman accordò alla Francia ingenti aiuti finanziari (quasi tre miliardi di dollari: una somma superiore a quella che la Francia stessa ricevette a seguito del Piano Marshall). Una seconda umiliazione venne nel 1956, allorché le truppe francesi e inglesi (negli stessi giorni in cui l’esercito sovietico interveniva in Ungheria) attaccarono l’Egitto, nella regione del canale di Suez, che il presidente egiziano Gamal abd-al-Nasser aveva nazionalizzato. Dopo aver formalmente disapprovato l’azione, i governi dell’URSS e degli USA obbligarono Londra e Parigi a ritirare i propri soldati, dimostrando che i paesi europei non avevano più alcuno spazio per decisioni politiche autonome di portata mondiale.
Charles de Gaulle, primo ministro della quinta repubblica, mescolato alla folla ad Addis Abeba. Agosto 1966.
Nella primavera del 1956, la Francia fu costretta a riconoscere la piena sovranità del Marocco (2 marzo) e della Tunisia (20 marzo), dopo che, due anni prima, era esplosa una grande rivolta anche in Algeria. Inizialmente, il governo francese si rifiutò di prendere in considerazione l’idea stessa di un’indipendenza algerina, in quanto l’Algeria era a tutti gli effetti un dipartimento della Francia, né più né meno della Bretagna o della Corsica. Il paese sprofondò così in una guerra sanguinosa e feroce, che vide da un lato i militanti del Fronte di Liberazione Nazionale, e dall’altra i francesi. Poiché i ribelli facevano ricorso al terrorismo e alla guerriglia, l’esercito iniziò a praticare su larga scala la tortura nei confronti dei prigionieri e a compiere violenze di ogni genere nei confronti della popolazione civile. Nel 1957, le truppe impegnate in Algeria ammontavano a 350 000 effettivi, mentre le linee di confine con il Marocco, a ovest, e con la Tunisia, a est, erano state sbarrate dal filo spinato e dai campi minati, per evitare che i guerriglieri algerini potessero trovare rifugio all’estero. Man mano che la repressione delle aspirazioni algerine all’indipendenza si faceva sempre più brutale (sul piano militare) e costosa (sotto il profilo finanziario), nell’opinione pubblica francese aumentò la disponibilità a prendere in considerazione l’ipotesi di un ritiro dal paese nordafricano. Ma il 13 gennaio 1958, per impedire una simile svolta, i coloni francesi d’Algeria diedero vita a un Comitato di salute pubblica. Poiché il movimento dei coloni era apertamente sostenuto dalle gerarchie militari (convinte che l’abbandono dell'Algeria avrebbe significato la fine della potenza politica della Francia), a Parigi si diffuse la paura di un colpo di stato dell’esercito. Per salvare la situazione, si fece ricorso alla prestigiosa figura del generale De Gaulle, simbolo di unità nazionale e inflessibile sostenitore della necessità di salvaguardare e rilanciare la grandeur (grandezza, prestigio in campo internazionale) della Francia.
Il generale De Gaulle, attorniato dall'allora Presidente del Consiglio Segni (con gli occhiali neri), dal ministro Pella (a sinistra) e da Andreotti. A Magenta, per celebrare la fratellanza fra il popolo francese e quello italiano.
Il 1 giugno 1958, De Gaulle divenne presidente della Repubblica, dopo che la Costituzione era stata modificata, in modo che la figura presidenziale potesse esercitare tutte le principali funzioni di governo. Giunto al potere, De Gaulle si rese imimagestamente conto del fatto che l’impostazione data dai generali al problema algerino era del tutto errata e andava completamente rovesciata: fino a quando la Francia fosse stata coinvolta in quel conflitto, infatti, non avrebbe potuto dare vita ad una politica estera energica e di grande respiro. Sfidando l’ostilità dei coloni e dei militari (la cui resistenza si manifestò in vari modi: ribellione di alcuni reparti, azioni di terrorismo, e persino complotti per assassinare il generale) De Gaulle cercò pertanto di chiudere la questione dell’Algeria, a cui fu concessa piena indipendenza nel 1962. Da quel momento, De Gaulle si dedicò al rilancio del prestigio internazionale della Francia. Secondo il suo giudizio, il rapporto che esisteva fra gli Stati Uniti e i suoi alleati, all’interno dell’Alleanza atlantica, era troppo sbilanciato a favore della superpotenza americana. I paesi europei, secondo De Gaulle, avrebbero dovuto acquistare un’autonomia molto maggiore, che trasformasse l’Europa occidentale in una specie di terza forza, guidata dalla Francia e capace di trattare alla pari sia con l’URSS che con gli USA. Naturalmente, per raggiungere un simile obiettivo era necessario che la Francia si dotasse di un proprio autonomo arsenale nucleare e potenziasse notevolmente il proprio esercito; nel contempo, era ovvio che questa forza militare francese non poteva, alla lunga, restare subordinata a un comando centralizzato (americano) capace di coordinare tutti i mezzi di offesa (nucleari e convenzionali) dell’Alleanza atlantica. Pertanto, sia pure in modo graduale, De Gaulle procedette allo sganciamento francese dalla NATO, il cui quartier generale, nel 1966, si spostò definitivamente, da Parigi, a Bruxelles.
I violenti scontri nel centro di Parigi, nel cosiddetto "Maggio francese" del 1968.
Nel 1968, in maggio, Parigi divenne l’epicentro (e il simbolo) della protesta giovanile e studentesca. Come era già accaduto in America, anche i giovani francesi contestarono, in primo luogo, le rigide e autoritarie regole che caratterizzavano il funzionamento delle principali università, molte delle quali furono occupate dagli studenti. La situazione raggiunse l’apice della tensione il 3 maggio, quando fu chiusa la facoltà di Lettere di Nanterre e la polizia entrò con la forza alla Sorbona. Cominciò allora una serie di violenti scontri fra i dimostranti e la polizia; il 12 maggio, tuttavia, alla grande manifestazione che si snodò per le vie di Parigi si unirono anche numerosi operai e cittadini, mobilitati dai sindacati e dai partiti della sinistra. L’obiettivo di questa dimostrazione pubblica (seguita da una vera ondata di scioperi e di occupazioni di fabbriche, che paralizzarono la vita economica del paese) era quello di spingere De Gaulle alle dimissioni. Il generale, invece, rispose sciogliendo il parlamento e convocando nuove elezioni, che si risolsero con una grande vittoria dei partiti sostenitori di De Gaulle e una pesante disfatta della sinistra. L’elettorato francese, dunque, si era spaventato dai disordini del maggio e aveva manifestato col proprio voto la propria volontà di stabilità e di normalità. Era vero però, nello stesso tempo, che la popolarità di De Gaulle stava calando: chiamati di nuovo alle urne per un referendum, a un anno di distanza gli elettori bocciarono nettamente la linea politica del presidente, che si dimise nell’aprile 1969.
De Gaulle a Parigi liberata
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Critica al piano Marshall