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CorpoCartolina propagandistica del periodo fascista che mostra un soldato italiano teneramente abbracciato a una giovane ragazza.
Il 3 ottobre 1935, le truppe italiane varcarono il fiume Mareb, che segnava all’epoca il confine tra l’Eritrea (colonia italiana) e l’impero etiopico (o Abissinia, come si diceva allora).
L’attacco all’Etiopia non fu preceduto da una formale dichiarazione di guerra. Questa scelta non fu dettata da motivazioni strategiche (cogliere di sorpresa il nemico, ad esempio), ma fu un deliberato gesto di disprezzo.
Mussolini voleva mettere in evidenza che l’Etiopia – ai suoi occhi - non era uno Stato sovrano, ma un territorio selvaggio, in cui non valevano le regole del diritto internazionale. Per spezzare la resistenza etiopica, l’esercito italiano fu autorizzato a fare ampio uso del gas. Pertanto, Addis Abeba fu raggiunta la sera del 2 maggio 1936.
Ritratti di donne etiopi.
La guerra d’Etiopia fu preparata e accompagnata da un’imponente campagna di propaganda.
Tutti i mezzi di comunicazione di massa furono mobilitati e posti al servizio dell’impresa coloniale del regime.
Gli italiani furono sommersi da una vera inondazione di messaggi relativi all’Africa. Per tutta la durata del conflitto, il notiziario radiofonico andò in onda in sei edizioni giornaliere (per un totale di 7 256 ore di trasmissione, pari al 21,20% dei programmi). Quanto al cinema (definito dallo stesso Mussolini l'arma più forte) si giovò soprattutto dei cinegiornali, la cui proiezione era obbligatoria in tutte le sale, prima dell’inizio di qualsiasi spettacolo.
L’Istituto Luce produsse circa 140 cinegiornali tra l’ottobre 1935 e il maggio 1936: più di 110 contenevano almeno un filmato di argomento africano, mentre in molti casi l’intero notiziario proiettato era dedicato alla guerra vittoriosa o alla fondazione dell’impero. Per quanto riguarda la stampa, dobbiamo ricordare soprattutto le celebri tavole illustrate della Domenica del Corriere e la rivista per bambini Il Corriere dei piccoli. In linea di massima, la propaganda fece più uso dell’immagine, che della parola, in un paese in cui il tasso di analfabetismo era ancora molto alto (17%, su scala nazionale), soprattutto al Sud e nelle isole (ove, nel 1931, un ventenne su tre era analfabeta).
Cartolina con nudo femminile. Spesso le donne etiopi venivano fotografate seminude o nude: queste immagini rappresentarono uno dei pochi esempi accettati di pubblicazioni erotiche.
Manifesti, vignette e cartoline postali ebbero un ruolo decisivo nella propaganda di regime.
L’Etiopia veniva descritta, innanzi tutto, come una specie di paradiso sessuale, o meglio come un luogo in cui il maschio italiano avrebbe potuto facilmente appagare tutti i propri desideri erotici.
Le donne africane furono spesso raffigurate a seno nudo, segno eloquente di una straordinaria disponibilità a concedersi al conquistatore.
È importante segnalare questo iniziale orientamento della propaganda fascista, non solo perché denota un razzismo ed un maschilismo formidabili (la donna etiope non è una persona: è sempre e solo un oggetto, una merce, una preda), ma soprattutto perché il regime, in un secondo momento, cambierà completamente la propria linea. Dal 1938, infatti, saranno vietati i matrimoni misti, mentre ogni forma di unione mista sarà rifiutata, screditata e disprezzata come contraria all’onore e alla purezza della razza italiana.
Gruppo di donne di un villaggio etiope durante una festa.
Mussolini era fermamente convinto che non si poteva conquistare e conservare un impero, se la nazione impegnata in quell’impresa non aveva una lucida consapevolezza della propria perfezione e della propria forza spirituale: in altri termini, della propria superiorità razziale. A giudizio del Duce, occorreva ri-educare da zero gli italiani e costruire l’ uomo nuovo fascista, cioè creare una sorta di nuova stirpe di conquistatori e di padroni, capaci di imporsi agli altri popoli proprio perché sicuri della loro grandezza. Per questo motivo, il regime disapprovò con energia sempre maggiore i risvolti erotici e le allusioni sessuali presenti nella propaganda universalmente diffusa fino a quel momento. Conquistatore e suddito dovevano restare separati, senza mescolanze e fraternizzazioni di alcun genere.
Una ragazza etiope in posa in un ambiente esotico. Immagini come questa ebbero grande successo.
La sera del 9 maggio 1936, il Duce tenne un solenne discorso dal balcone di Palazzo Venezia, per «salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma». Nei mesi seguenti: il primo problema che si pose il regime fu quello di regolamentare le relazioni tra popolo conquistatore e nuovi sudditi dell’impero appena costituito.
Ben presto, il regime fascista decise per una politica di netta separazione tra i due soggetti, come emerge dal RDL del 19 aprile 1937 n. 880 (convertito in legge il 30 dicembre 1937) che puniva con la reclusione da 1 a 5 anni le relazioni «d’indole coniugale» tra cittadini italiani e indigeni. Questo provvedimento sarebbe stato completato, nel giro di qualche anno, da una serie di altre norme restrittive circa i matrimoni misti (17 novembre 1938) e ogni altra relazione tra nativi e italiani. La legge n. 1004 del 29 giugno 1939, infatti, istituì il reato di lesione del prestigio della razza e gli conferì una connotazione estremamente ampia. Ben al di là della sfera dei rapporti sessuali, era considerato reato il fatto che un italiano lavorasse per un indigeno, o frequentasse un locale riservato ai neri. Infine, la legge n. 822 del 13 maggio 1940 si occupò dei meticci, cui veniva negata la piena cittadinanza e che anzi erano equiparati agli indigeni. Il meticcio – specificava la legge – «assume lo statuto del genitore nativo ed è considerato nativo a tutti gli effetti».
Cartolina fascista
Donne e propaganda: la guerra d'Etiopia
I regimi totalitari di fronte alla questione femminile
Cartolina con nudo femminile
Donne etiopi durante una festa