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CorpoManifesto della Federación Anarquista Ibérica (FAI).
All’inizio degli anni trenta, la Spagna era una delle regioni più arretrate d’Europa.
La principale risorsa della nazione era ancora l’agricoltura: pertanto, la maggior parte degli abitanti viveva coltivando piccoli appezzamenti, oppure come semplici braccianti nelle grandi tenute degli agrari.
La durissima vita dei salariati agricoli dell’Andalusia (il sud del paese) è stata descritta nel modo seguente dallo storico spagnolo (ma anche testimone diretto) Gerald Brenan: «Nel 1930, i braccianti guadagnavano in images, per quattro o cinque mesi all’anno, da 3 a 3,50 pesetas per una giornata lavorativa di otto ore. Vivevano in uno stato di fame cronica e i casi di morte per denutrizione, la cui percentuale è assai elevata in quasi tutta la penisola, erano particolarmente frequenti in Andalusia… Quando il padrone provvedeva al cibo, i salari superavano raramente la cifra di 1,5 pesetas per dodici ore di lavoro. Le condizioni degli alloggi [dei braccianti] non erano meno disastrose: la maggior parte delle famiglie possedeva come unica stoviglia una marmitta e prendeva i pasti, come gli animali, sul nudo pavimento. Condizioni di vita e salari siffatti possono sembrare incredibili ai nostri giorni. Certamente sono unici in Europa».
Salvador Dalí, Costruzione molle con fagioli bolliti – Premonizione della Guerra civile, 1936. Olio su tela. Philadelphia, Museum of Art.
Le uniche zone industrializzate erano il Paese Basco (Euskadi), nel nord, e la Catalogna (la regione di Barcellona). Divenuta sede di importanti acciaierie e cantieri navali, Bilbao, capoluogo dei Baschi, aveva visto aumentare di cinque volte la propria popolazione negli ultimi trenta anni, mentre la regione delle Asturie aveva numerosi giacimenti di carbone e quindi concentrava un elevatissimo numero di minatori, costretti a lavorare in condizioni disumane. Paese Basco e Catalogna erano accomunati anche dal fatto che entrambe le regioni avevano un fortissimo senso della propria diversità e peculiarità, rispetto alla Castiglia (la regione di Madrid), e quindi premevano da tempo sul governo centrale per ottenere ampia autonomia amministrativa. Sotto il profilo politico, invece, Bilbao e Barcellona non potevano essere più diverse, visto che la prima era fortemente cattolica, mentre la seconda era una vera roccaforte anarchica (e socialista).
Joan Miró, Aidez l’Espagne (Aiutate la Spagna), 1937. Serigrafia. Collezione privata.
All’inizio degli anni Trenta, in Spagna, i comunisti erano ancora una forza politica decisamente debole e minoritaria, che contava appena 20 000 militanti nel 1935; ben più forti erano i socialisti (guidati da leader prestigiosi come il moderato Indalecio Prieto o il ben più radicale e focoso Francisco Largo Caballero) e, in Catalogna, gli anarchici.
La presenza stessa di forti organizzazioni anarchiche nel cuore del XX secolo è un sintomo della profonda arretratezza della Spagna. In tutti i paesi industrializzati, partiti e sindacati di matrice marxista avevano ormai da tempo, persino nelle campagne (si pensi, in Italia, alle leghe socialiste, distrutte dallo squadrismo fascista negli anni 1921-1922), egemonizzato il movimento dei lavoratori. In Spagna, al contrario, il sindacato anarchico CNT (Confederacion Nacional del Trabajo) aveva un seguito notevole e capillare.
Il 14 aprile 1931, venne ufficialmente proclamata la Repubblica. A sinistra, il nuovo assetto istituzionale fu accolto dagli anarchici con disprezzo; all’estremo opposto, invece, la Chiesa non accettò il principio della laicità dello stato, presente nella nuova Costituzione, mentre numerosi partiti di destra guardarono come esempi e modelli da seguire sia al fascismo italiano che al nazionalsocialismo tedesco.
Soldati lealisti nel palazzo del governatore civile, ultimo bastione della resistenza fascista in questa città di collina sulla strada per Barcellona Teruel (fronte aragonese). Gennaio 1938.
Quando le sinistre unite, nel febbraio 1936, vinsero le elezioni, i militari di estrema destra decisero di organizzare un colpo di Stato per cancellare il regime parlamentare repubblicano.
La rivolta venne preparata con estrema cura e infine scatenata il 17-18 luglio 1936. In un primo tempo, il leader golpista più influente era il generale Emilio Mola; le truppe più addestrate (soldati professionisti della Legione straniera spagnola e mercenari arabi) erano però quelle guidate dal generale Franco, il quale riuscì ad emergere, nel giro di alcuni mesi, come capo indiscusso del fronte denominato nazionalista.
Le truppe di Franco tuttavia erano di stanza in Marocco: occorreva trasferirle in Spagna il più presto possibile, per sostenere i militari e le forze di polizia che erano già entrate in azione sul territorio metropolitano. Per risolvere questo gravissimo problema logistico, Franco decise di rivolgersi a Mussolini e Hitler, che accettarono di sostenere il generale ribelle e gli inviarono gli aerei necessari ad effettuare il trasferimento. Il ponte aereo dal Marocco ebbe inizio nella prima settimana di agosto; nell’arco di dieci giorni, furono trasferiti in Spagna circa 15 000 uomini. Con tali forze, Franco si premurò innanzi tutto di attaccare Toledo e di liberare la guarnigione dei ribelli assediati nell’Alcazar, la grande fortezza che domina la città e che, nella propaganda nazionalista, divenne il simbolo della lotta contro i rossi e il comunismo.
Bambini che si preparano all’evacuazione della Spagna, durante la guerra civile spagnola. Stanno facendo il saluto comunista.
Per il governo repubblicano, la situazione si fece ben presto estremamente difficile. A fine agosto, l’Andalusia venne interamente conquistata dai nazionalisti, che si lasciarono andare a pesantissime repressioni contro sindacalisti, dirigenti, militanti e simpatizzanti dei partiti di sinistra; tra gli altri, il 19 agosto 1936, a Granada, venne assassinato anche il poeta Federico Garcia Lorca.
Ai primi di settembre, con l’aiuto degli italiani, i franchisti conquistarono l’isola di Maiorca. Anche in questo caso la vittoria fu seguita da un bagno di sangue, finalizzato a eliminare tutti i rossi e i simpatizzanti per la repubblica.
La violenza fu tale da scandalizzare persino un cattolico conservatore come Georges Bernanos, che scrisse I grandi cimiteri sotto la luna proprio per denunciare gli orrori di cui era stato testimone diretto. Nel nord, il Paese Basco restò completamente tagliato fuori dal resto della Repubblica. Per certi versi, è strano che i baschi si siano schierati contro Franco, dal momento che anch’essi erano profondamente cattolici e tutt’altro che anarchici o marxisti. I baschi, tuttavia, intuirono che solo la Repubblica democratica avrebbe potuto venire incontro al loro desiderio di autonomia amministrativa, mentre il trionfo dei ribelli avrebbe rilanciato l’idea secondo cui il governo della Spagna doveva essere rigidamente accentrato.
Le donne erano tra i combattenti repubblicani durante la guerra civile spagnola.
A fine estate, le due città più importanti rimaste in mano alla Repubblica erano Barcellona e Madrid. In entrambi i casi, il problema della resistenza militare fu affrontato imagesnte la creazione di milizie operaie improvvisate; in pratica, i principali partiti politici (socialisti, comunisti e, a Barcellona, anarchici) si procurarono armi nelle caserme e le distribuirono ai lavoratori.
A Madrid, in un primo tempo, anche molte donne imbracciarono il fucile: per la Spagna di quel tempo, vedere una donna in uniforme (in pantaloni!) e armata, era una novità assoluta, quasi sconvolgente. A Barcellona, la creazione delle milizie operaie diede inizio a un più vasto processo rivoluzionario, guidato dagli anarchici e da altre forze rivoluzionarie minori, descritto con estrema vivacità da George Orwell, che arrivò in Catalogna verso la fine di dicembre del 1936 e si arruolò subito nelle milizie del POUM (Partito Obrero de Unificacion Marxista): «Per chi fosse venuto direttamente dall’Inghilterra, l’aspetto di Barcellona era qualcosa che sconvolgeva e sopraffaceva. Era la prima volta che mi trovavo in una città dove la classe operaia era al potere. Praticamente ogni edificio di qualsiasi dimensione era stato occupato dai lavoratori e drappeggiato con bandiere rosse o con le bandiere rosse e nere degli anarchici; su ogni muro erano stati scribacchiati la falce e il martello con le iniziali dei partiti rivoluzionari; quasi ogni chiesa saccheggiata e le immagini sacre riarse. Qua e là le chiese venivano sistematicamente demolite da squadre di operai… Soprattutto, si sentiva diffusa nell’aria una gran fiducia nella rivoluzione e nel futuro, l’impressione d’essere improvvisamente emersi in un’era di uguaglianza e di libertà. Gli esseri umani cercavano di condursi come esseri umani e non come denti di una ruota nella macchina capitalistica».
Fotografia di Robert Capa, che rappresenta una madre e la figlia mentre corrono per trovare un riparo durante un bombardamento. Guerra civile spagnola, 1937.
Nei primi mesi di guerra, la situazione militare più drammatica era quella di Madrid, direttamente assediata dai nazionalisti e bombardata dall’aviazione tedesca e italiana, secondo modalità che anticipano in tutto e per tutto gli attacchi aerei subiti nella seconda guerra mondiale da Londra, da Berlino o da Amburgo. In questo caso, però, si nota un tentativo di distinguere le diverse zone della capitale: le bombe, infatti, cadevano solo sui quartieri operai, ma risparmiavano le aree residenziali eleganti, abitati dalla buona borghesia madrilena.
Madrid fu salvata dall’arrivo delle Brigate Internazionali, contingenti di volontari arruolati dall’Internazionale Comunista (Comintern). In molti casi, si trattava di antifascisti italiani o tedeschi che, costretti ad emigrare dai rispettivi paesi dopo la vittoria di Mussolini e di Hitler, avevano finalmente l’occasione di combattere il loro antico nemico.
Il 6 novembre 1936, il governo decise di trasferirsi a Valencia, convinto che ormai tutto fosse perduto. Il 23 dello stesso mese, tuttavia, lo slancio offensivo dei nazionalisti era ormai esaurito, e lo scontro si era trasformato in una lunga guerra di logoramento che sarebbe durata fino al 1939.
Confederazione Nazionale del Lavoro – Federazione Anarchica Iberica, 1937.
Uno degli aspetti più tipici della guerra civile spagnola è il coinvolgimento diretto della Chiesa nel conflitto. Solo il clero basco si schierò dalla parte della repubblica, mentre tutto il resto della Chiesa spagnola sostenne apertamente i ribelli.
Le parole più dure furono pronunciate dal vescovo di Salamanca, Enrique Pla y Deniel, che il 28 settembre 1936 emanò una lettera pastorale intitolata Le due città, con chiaro riferimento al De civitate Dei di sant’Agostino: «Sul suolo di Spagna si combatte un sanguinoso conflitto fra due concezioni della vita, due forze che si apprestano allo scontro in ogni angolo della terra... Comunisti e anarchici sono i figli di Caino, fratricidi, assassini dei giusti... Quel conflitto si configura come una guerra civile, ma in realtà è una crociata». Non sorprende che, agli occhi dei repubblicani, ogni ecclesiastico apparisse automaticamente un nemico e fosse trattato come tale. In tutto il paese, furono circa 6800 i preti, i frati, i monaci e le suore che vennero uccisi. Nella diocesi di Barbastro fu eliminato l’88% del clero, a Lérida il 66%, a Tortosa il 62%. A Malaga perì il 48% degli ecclesiastici, a Minorca il 49%, a Segorbe 55%, a Toledo il 48%. Nelle grandi città, a percentuali più basse corrispondono cifre assolute più consistenti: a Madrid furono uccisi 334 sacerdoti (30%), a Barcellona 279 (22%), a Valencia 327 (27%). In genere, si trattò di esecuzioni sommarie, che coinvolsero persino 13 vescovi.
Manifesto che inneggia alla Spagna anticomunista come faro illuminante della spiritualità del mondo.
Riflettendo sull’entità della violenza anticlericale, lo storico italiano Gabriele Ranzato ha proposto alcune riflessioni suggestive, che tentano di andare al di là della semplice spiegazione politica (prete = fascista = nemico da eliminare). A suo giudizio, paradossalmente, la violenza anticlericale è sintomo di un profondo disagio religioso: la rabbia con cui essa fu messa in atto sta ad indicare che si voleva dimostrare l’assoluta falsità del credo che, per secoli, si era intrecciato al potere e aveva di fatto contribuito a impedire il riscatto sociale della maggior parte della popolazione spagnola. Non a caso, le espressioni preferite da Ranzato per esprimere i sentimenti degli spagnoli verso la Chiesa sono parole come tradimento e abbandono: sentendosi, appunto, traditi e abbandonati, molti spagnoli sfogarono verso i religiosi tutto il loro risentimento, che finalmente poteva scaricarsi. Del resto, lo stesso Miguel Unamuno, il più celebre filosofo spagnolo del tempo, scriveva: «Ciò che più mi angoscia in questa agonia della mia povera Spagna è l’aspetto religioso. Queste miserabili turbe che bruciano chiese, fracassano immagini – idolatri iconoclasti -, assassinano preti e frati, non lo fanno per ateismo. L’ateo non si accanisce così, lo fanno per disperazione. Disperazione di non poter credere». Parole ancora più dure uscirono dalla penna di don Luigi Sturzo, il 27 aprile 1937: «Non so se non facciano più orrore i massacri fatti dai difensori della fede e che inalberano le insegne religiose, che non quelli fatti da una plebe incitata e piena di odio, che non sa quello che fa e merita perciò la preghiera di Cristo per i suoi crocefissori».
Gerda Taro con un soldato repubblicano vicino a Córdoba, durante la guerra civile spagnola. Foto di Robert Capa.
Il movimento comunista internazionale si mobilitò imimagestamente a favore della Spagna repubblicana e creò, per sostenerla, le Brigate Internazionali.
L’Unione Sovietica, tuttavia, non si limitò affatto a questo: a partire dal 25 ottobre, Mosca iniziò ad inviare regolarmente armi e consiglieri militari, per bilanciare il contributo italiano e tedesco sul fronte opposto. Va precisato, però, che mentre l’aiuto fascista e nazista fu sostanzialmente gratuito, Stalin richiese che le armi sovietiche fossero pagate in oro. Formalmente, l’Unione Sovietica non partecipava al conflitto, così come, ufficialmente, non esisteva la presenza di truppe e mezzi tedesche e italiani. Si trattava, ovviamente, di una finzione, che permetteva e giustificava l’effettivo non intervento di Francia e Inghilterra.
La presenza tedesca e italiana (ufficialmente negata, ma universalmente nota) rischiava seriamente di far scoppiare una nuova guerra generale in Europa.
I governi di Parigi e di Londra, pertanto, decisero di non inviare truppe, di assumere un atteggiamento di assoluta equidistanza e di non fornire armi (neppure a pagamento) a nessuna delle due parti. Sotto questo profilo, la guerra civile spagnola è molto diverso dal secondo conflitto mondiale, che vide dapprima Gran Bretagna e Francia in lotta contro la Germania (con la benevola neutralità sovietica), e poi due stati democratici e capitalisti (Inghilterra e Stati Uniti) alleati dell’URSS, contro il Terzo Reich.
Manifesto del POUM (Partido Obrero de Unificación Marxista).
Col passar del tempo, gli aiuti russi divennero l’unica speranza su cui il governo spagnolo poteva contare per poter vincere la guerra. Pertanto, il piccolo partito comunista (che all’inizio degli anni Trenta era molto meno importante, rispetto alle organizzazioni socialiste o anarchiche) assunse un peso determinante nella politica spagnola. Gli effetti di tale crescita di prestigio e di forza si videro ben presto in tutti i campi. Innanzi tutto, i sovietici riuscirono a ottenere la soppressione del POUM, il piccolo partito in cui militava anche lo scrittore inglese George Orwell. Pur essendo un’organizzazione comunista, il POUM rifiutava di riconoscere l’autorità di Stalin, ne criticava l’operato e rifiutava di prendere ordini da Mosca; per Stalin, era una sfida inaccettabile. Pertanto, il 3 maggio del 1937, a Barcellona scoppiarono dei gravi incidenti: militanti del POUM e comunisti filosovietici si scontrarono per diversi giorni nel centro della città, mentre il leader del partito, Andrés Nin, fu arrestato, torturato e ucciso dalla polizia segreta di Stalin. Orwell, presente in quei giorni a Barcellona, rimase disgustato dall’intera vicenda e maturò in quel contesto il feroce disprezzo per il dittatore comunista che poi avrebbe espresso nei suoi libri più famosi: La fattoria degli animali e 1984.
La città di Guernica ridotta in macerie dopo il bombardamento aereo del 26 aprile 1937.
Nella primavera del 1937, le truppe italiane inviate da Mussolini a sostegno di Franco furono pesantemente sconfitte a Guadalajara, mentre tentavano di riprendere l’offensiva contro Madrid (21 marzo). Un mese dopo, però, l’esercito nazionalista riusciva a riprendere l’iniziativa militare nel nord della Spagna e ad attaccare con successo il Paese Basco. Per impedire che le truppe repubblicane in rotta potessero raggiungere Bilbao e lì riorganizzarsi a difesa del capoluogo basco, il generale tedesco von Richtofen decise di bombardare un ponte sul fiume Guernica, nei pressi della città omonima.
L’offensiva aerea fu condotta dapprima da 3 bombardieri italiani, cui si aggiunse poi una squadra di 18 aerei tedeschi; il risultato fu devastante, in quanto diverse bombe caddero sulla città, mentre un fortissimo vento da Nord rese impossibile spegnere gli incendi, che ben presto si trasmisero da una casa all’altra.
Pablo Picasso, Madre con bambino morto su scala, 10 maggio 1937, Studio per Guernica, 1937. Matita e crayon su carta. Madrid, Centro d'arte contemporanea Reina Sofía.
Il bombardamento di Guernica fu immortalato da Pablo Picasso in uno dei quadri più celebri del Novecento.
L’episodio in sé, però, non deve essere sopravvalutato e tanto meno trasformarsi in un mito storico. Innanzi tutto, non fu il primo bombardamento aereo della storia e tanto meno della guerra civile spagnola: abbiamo già detto, infatti, che bombardamenti ben più gravi si verificarono su Madrid, all’inizio del conflitto. Inoltre, non va esagerato il numero delle vittime, che fu al massimo di 126; infine, il bombardamento non va ritenuto un raffinato esperimento finalizzato a verificare la tecnica dei bombardamenti a tappeto più tardi applicati in Polonia (Varsavia) o in Inghilterra (Coventry), ma una normale azione di guerra finita in tragedia, in un conflitto come quelli moderni, che non conosce più differenze tra fronte e retrovie, tra militari e civili.
Per schiacciare il fascismo arruolatevi nell’aviazione! Manifesto spagnolo del 1936.
I due anni seguenti, il 1939 e il 1940, furono un tempo di agonia.
La Repubblica perse un territorio dopo l’altro, mentre Hitler, con il consenso dell’Inghilterra e della Francia, preoccupate di evitare un conflitto, poteva conquistare prima l’Austria, poi la regione dei Sudeti e infine l’intera Cecoslovacchia.
Il 26 gennaio 1939, i franchisti entravano a Barcellona; pochi mesi più tardi, il 31 marzo 1939, era la volta di Madrid. Si verificava infine quello che il filosofo liberale spagnolo Miguel de Unamuno aveva tristemente profetizzato fin dall’ottobre del 1936, sfidando pubblicamente alcuni fanatici sostenitori di Franco: «Vincerete, ma non convincerete. Vincerete perché avete gran quantità di forza bruta. Ma non convincerete, perché convincere significa persuadere. E per persuadere occorre qualcosa che vi manca: ragione e diritto nella lotta». Nessuno storico equilibrato, in effetti, osa difendere Franco e il grigio e violento regime autoritario nato dalla sua vittoria e durato fino alla sua morte, sopravvenuta nel 1975.
Miliziani franchisti hanno catturato combattenti del Fronte Popolare: la loro sorte sarà la fucilazione. La guerra civile spagnola fu violentissima e combattuta quasi senza prigionieri.
Un gran numero di repubblicani fu catturato. Quelli che cercarono rifugio in Francia, furono accolti con estrema durezza, cioè internati in campo di concentramento.
Arthur Koestler, al Vernet, nella regione dei Pirenei, nel 1940 incontrò l’ultimo gruppo residuo di soldati delle Brigate Internazionali. Ormai abbandonati da tutti, compresi Stalin e l’Unione Sovietica, che avevano deciso di stipulare il patto di non aggressione con Hitler, erano ridotti a relitti umani disperati e disorientati: «Giravano per il campo raccogliendo mozziconi di sigarette dal fango e dal pavimento di cemento delle latrine, dove se ne trovavano la maggior parte. Perfino i più miserabili nelle altre baracche guardavano a loro con un misto di orrore e di stupore… Al principio ricevevano lettere; poi divennero meno frequenti; gradualmente tutti i legami con il mondo esterno si andarono assottigliando e finalmente si spezzarono. Comunismo? Democrazia? Fascismo? Un mozzicone di sigaretta nel fango era la realtà, mentre le idee politiche avevano gradualmente perduto ogni significato; ma pochi lo ammettevano… Dieci anni di continua disfatta li avevano ridotti a quello che erano; e il loro destino era semplicemente un esempio di quello che era successo a tutti noi, la sinistra europea. Non avevano fatto altro che mettere in pratica quello che avevano predicato e creduto; erano stati ammirati e idolatrati, e gettati fra la spazzatura a marcire come un sacco di patate guaste».
Libertad!
La guerra civile spagnola
Scontri e conflitti ideologici nel Novecento
Confederazione Nazionale del Lavoro
Gerda Taro con un repubblicano
Picasso, Studio per Guernica
Arruolatevi nell’aviazione!