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CorpoManifesto di propaganda a favore della marina da guerra tedesca.
Nel 1919, il Trattato di Versailles vietò alla Germania di possedere armi pesanti (cannoni, aeroplani, carri armati) e impose che l’esercito tedesco non potesse superare i 100 000 effettivi. Allo stesso modo, la Germania non avrebbe dovuto possedere una vera flotta da guerra bensì, al massimo, un numero limitato di navi, capace di svolgere un ruolo di guardia costiera.
Nel febbraio 1922, la Germania cercò di aggirare i divieti del Trattato di Versailles stipulando con l’Unione Sovietica il trattato di Rapallo: un accordo che prevedeva non solo l'attivazione di un regolare commercio fra i due paesi, ma anche (e soprattutto) l’impegno della Germania a non partecipare ad un’eventuale futura crociata antibolscevica delle potenze capitaliste, impedendo il passaggio delle loro truppe sul suo territorio. Inoltre, una clausola segreta dell’accordo prevedeva che all’esercito tedesco fosse concesso di addestrarsi clandestinamente in territorio russo con tutte quelle armi moderne (carri armati, artiglieria pesante, aviazione) che il trattato di Versailles aveva vietato alla Germania di possedere. In URSS, il principale sostenitore della collaborazione militare russo-tedesca fu il generale Michail Tuchacevvskij, il quale aveva precocemente intuito che la guerra del futuro sarebbe stata decisa dalle macchine, più che dagli uomini. Nel 1931, Tuchacevskij convinse anche Stalin dell’importanza di potenziare l’apparato militare sovietico e fu posto a capo di un grandioso progetto per la produzione su vasta scala di carri armati e aeroplani; nel 1937, però, Tuchacevskij sarebbe stato arrestato e fucilato, nell’ambito della grande purga che coinvolte moltissimi generali dell’Armata rossa.
Hitler saluta a braccio teso la guardia d'onore della Wehrmacht durante una parata sull'Unter den Linden (Berlino), il 16 marzo 1941, giornata che nella Germania nazista era dedicata alla commemorazione degli eroi nazionali.
Nel 1933, in Germania Adolf Hitler raggiunse il potere. Il suo obiettivo prioritario era quello di cancellare l’umiliazione del 1918 e di ampliare lo spazio vitale del popolo tedesco, a danno dei russi e degli altri popoli slavi, ritenuti inferiori rispetto alla razza ariana.
Nel maggio 1935, Hitler annunciò solennemente che la Germania ripudiava le clausole sul disarmo del trattato di Versailles, «considerato - così recitava la dichiarazione ufficiale del dittatore tedesco - che le altre potenze non avevano adempiuto l'obbligo di disarmare che incombeva loro». Un anno più tardi, nel 1936, fu elaborato il cosiddetto piano quadriennale, di cui Hermann Göring fu nominato responsabile, con il titolo di commissario. Ufficialmente, l’obiettivo principale del piano era di far fronte alle necessità dell’espansione demografica della Germania (che il regime non intendeva in alcun modo controllare, ma semmai potenziare) rendendo la Germania stessa il più possibile autosufficiente sotto il profilo economico. In realtà, poiché Hitler pensava che la soluzione definitiva al problema dell’espansione demografica di un popolo fosse la conquista di un corrispettivo spazio vitale, scopo vero del progetto era di attrezzare la Germania per la guerra. «Pongo così - scrisse Hitler in un memoriale del 1936 relativo al piano quadriennale - i seguenti obiettivi: 1) L’armata tedesca deve essere portata in 4 anni in pieno assetto di guerra. 2) L’economia tedesca deve essere messa in 4 anni in condizioni di affrontare una guerra».
Aereo da guerra tedesco detto "Stuka".
Nel 1939, Hitler si sentì pronto per iniziare la guerra e quindi propose alla Polonia di partecipare alla grande campagna antisovietica che il Führer stava progettando da tempo. La Polonia, il 26 marzo 1939, rifiutò ufficialmente l’offerta tedesca, in quanto perfettamente consapevole che l’accettazione di essa l’avrebbe trasformata in un satellite del Terzo Reich. Hitler, dal canto suo, decise allora la cancellazione della Polonia come entità statale.
L’occupazione della Polonia avrebbe irriimagesbilmente compromesso l’equilibrio europeo; ormai pienamente consapevole delle intenzioni egemoniche di Hitler, il 30 marzo 1939 il primo ministro inglese N. Chamberlain pronunciò una solenne dichiarazione di garanzia dell'indipendenza polacca: «Se venisse intrapresa un’azione che minacciasse chiaramente la sua indipendenza, e alla quale il governo polacco si sentisse di conseguenza costretto a resistere con le sue forze nazionali, il governo di Sua Maestà e il governo francese gli presterebbero imimagestamente ogni aiuto in loro potere». Hitler rispose a sua volta con una mossa clamorosa: il 23 agosto 1939, infatti, firmò un patto di non aggressione con l’Unione Sovietica. Contestualmente, venne poi siglato anche un Protocollo segreto, che prevedeva - in caso di guerra contro la Polonia di una della due potenze firmatarie - una vera e propria spartizione della Polonia stessa: «La questione se gli interessi delle parti rendano desiderabili il mantenimento di uno stato indipendente polacco e quali confini dovrebbe avere un tale Stato, potrà venire definitivamente accesa solo nel corso degli ulteriori sviluppi politici. In ogni caso i due governi risolveranno questa questione a mezzo di un accordo pacifico».
Soldati tedeschi invadono Varsavia, settembre 1939.
Il 1 settembre 1939, le truppe tedesche penetrarono in territorio polacco. Due giorni dopo, il 3 settembre, Inghilterra e Francia dichiararono guerra alla Germania, col risultato che Hitler si trovò a combattere in condizioni del tutto diverse rispetto a quelle che aveva previsto e sperato: invece di condurre una grande offensiva antibolscevica sostenuta dalla Gran Bretagna (e dalla Polonia), la Germania combatteva contro l’Inghilterra, appoggiato dalla benevola neutralità sovietica. Anzi, dell’URSS la Germania aveva bisogno non solo sotto il profilo strettamente strategico-militare, ma anche dal punto di vista economico. Solo la Russia, in effetti, poteva garantire al Terzo Reich regolari rifornimenti di petrolio (dai giacimenti del Caucaso) e di altre materie prime fondamentali come il caucciù, che proveniva dall’Asia sud-orientale ed era trasportato attraverso la Siberia per mezzo della ferrovia. In tal modo, alla Germania fu possibile evitare le conseguenze del blocco navale britannico; tuttavia, politicamente parlando, la situazione di Hitler era a dir poco imbarazzante.
Soldati tedeschi fra le rovine di Varsavia in attesa dell'arrivo di Hitler.
La campagna militare in Polonia fu di una velocità sorprendente: il 28 settembre 1939, Varsavia capitolò, dopo che le forze tedesche ebbero travolto l’esercito polacco imagesnte l’applicazione della cosiddetta guerra lampo (Blitzkrieg). Si trattava, in pratica, dell’utilizzo combinato delle due nuove armi che resero la seconda guerra mondiale un conflitto radicalmente diverso da quello del 1914-1918: l’aviazione e il carro armato. In un settore del fronte, veniva scatenata una massiccia azione di bombardamento aereo; subito dopo, approfittando del disorientamento provocato dall’aviazione, quel medesimo settore era investito da un violento attacco delle forze corazzate. Considerando che i polacchi non possedevano carri armati e che la maggior parte dei loro aerei fu distrutta al suolo, ben si capiscono le ragioni del repentino successo tedesco. Ma, per cogliere pienamente l’importanza storica della Blitzkrieg, si deve andare al di là dell’ottica strettamente militare e strategica; nel 1939, la Germania non aveva affatto impostato tutta la propria vita economica e sociale in direzione del riarmo e della produzione utile ai fini bellici.
Il tenore di vita dei tedeschi e la disponibilità di beni di consumo in Germania erano ancora decisamente elevati, né Hitler poteva permettersi di abbassarli, se voleva mantenere il consenso di una popolazione che era entrata in guerra contro voglia e senza entusiasmo. Infine, la massiccia importazione di materie prime dall’URSS mostrava chiaramente che il Terzo Reich non sarebbe stato in grado di sostenere una lunga guerra di logoramento: di qui l’individuazione di una geniale tattica militare, che permettesse di giungere rapidamente alla vittoria e permettesse di abbreviare il più possibile i tempi del conflitto.
Soldati finlandesi di un reparto d'assalto poco prima di entrare in azione, durante la seconda guerra mondiale. Il simbolo di morte dipinto sugli elmetti non era un distintivo ufficiale del reparto, ma lo stemma di un gruppo.
Il 17 settembre 1939, da est, entrò in Polonia anche l’Armata rossa, con l’obiettivo di occupare i territori assegnati all’URSS dal Protocollo segreto siglato insieme al patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop. Secondo la lettera delle promesse fatte al governo polacco, Francia e Inghilterra avrebbero dovuto dichiarare guerra imimagestamente anche all’URSS; in realtà, consapevoli dell’imminente crollo della Polonia, i governi delle potenze occidentali decisero di non allargare ulteriormente il conflitto e di non estendere il numero dei loro avversari. A fine mese, il 28 settembre, Germania e Russia si accordarono in modo più preciso per la spartizione delle rispettive sfere di influenza nell’Europa orientale; in quella circostanza, Hitler permise ai sovietici di occupare anche gli stati baltici della Lettonia, dell’Estonia e della Lituania. Nelle intenzioni di Stalin, anche la Finlandia avrebbe dovuto cedere una parte del proprio territorio all’URSS, al fine di garantire una più efficace difesa di Leningrado. I finnici, tuttavia, si opposero alle pretese sovietiche, cosicché il 30 novembre 1939 iniziò un conflitto tra i due stati, che si sarebbe risolto a favore dell’Armata rossa solo nella primavera del 1940.
Soldati tedeschi fanno fuoco con un piccolo calibro contro una postazione francese.
L’ambasciatore francese a Varsavia Léon Nöel si rese subito conto delle novità tattiche introdotte dai tedeschi nella campagna militare del settembre 1939: «L’attacco tedesco è stato sferrato ed è condotto dallo stato maggiore tedesco con ritmo fulminante, con una minuzia e una maestria nei preparativi, una perfezione nell’esecuzione, una celerità nei risultati che, sin dalle prime ore, hanno posto nella situazione più delicata le armate polacche, colte di sorpresa in piena concentrazione delle loro forze e nel giorno stesso della mobilitazione generale. La Wehrmacht e la Luftwaffe hanno applicato metodi nuovi che hanno provocato quasi imimagestamente la disorganizzazione contemporanea dell’esercito e del paese nemico. Effettuando continui bombardamenti su tutto il territorio polacco, l’aviazione tedesca ha ostacolato tanto il vettovagliamento e i trasporti delle truppe quanto la trasmissione degli ordini provenienti da stati maggiori che essa inseguiva di quartier generale in quartier generale. Non più assalti di fanteria preparati da tiri di artiglieria come durante l’altra guerra. Gli attacchi sono effettuati da divisioni blindate, da carri armati che si muovono in massa, seguiti da auto-mitragliatrici e sostenuti da aerei che mitragliano e bombardano le truppe polacche a bassa quota; alla fanteria, trasportata per lo più in camion e in motocicletta, non resta che il compito di occupare il territorio conquistato». Su scala ancora maggiore, l’impiego combinato di aviazione e carri armati sarebbe ripetuto dai tedeschi nell’attacco contro la Francia (maggio 1940) e poi nell’aggressione contro l’URSS (giugno 1941).
Profughi camminano davanti alle case distrutte dai bombardamenti, dopo l'invasione tedesca. Mondorf, Lussemburgo, 10 maggio 1940.
In occidente, la guerra divampò veramente solo nella primavera del 1940. Dapprima l’esercito tedesco occupò la Danimarca e la Norvegia, al fine di garantire alla Germania il regolare rifornimento di ferro, proveniente dalla neutrale Svezia, e di possedere buone basi aeree, da cui poter bombardare l’Inghilterra. In maggio, la guerra lampo nazista investì Olanda, Belgio e Francia. Ancora una volta, come l’anno prima in Polonia, risultarono decisive la velocità e la capacità d'urto delle forze corazzate, appoggiate dall’aviazione: aggirato da nord il sistema di fortificazioni denominato Linea Maginot, i tedeschi sfondarono il fronte alleato vicino a Sedan e riuscirono ad isolare le armate nemiche impegnate nella Francia settentrionale.
La disfatta anglo-francese, a quel punto, fu totale, e l’unico successo consistette nel fatto che gli inglesi riuscirono a evacuare dal porto di Dunquerque 200 000 soldati britannici e 140 mila francesi. Nella primavera del 1940, lo scrittore Arthur Koestler si trovava in Francia con un’amica e fu testimone oculare del caos che colpì l’intero paese, al momento della disfatta militare: «Era un’ironia del destino particolarmente sadica aver mutato il popolo più piccolo borghese, meticoloso, sedentario in una nazione di girovaghi. Dieci milioni di francesi che si muovevano senza scopo lungo le strade con i loro materassi e tegami, che congestionavano tutte le vie di comunicazione, che paralizzavano ogni rapido movimento militare, che coprivano come uno spesso torrente di fango quel che rimaneva della nazione, finché l’ultimo barlume di vita si spense... Era come se tutti gli esemplari della fauna meccanica, qualunque veicolo potesse muoversi e puzzare su quattro ruote fuggisse dal diluvio... E tutto nell’interno traboccava fino all’ultimo centimetro quadrato di un misto di vecchi, ragazze, nonne, bambini, tegami, gabbie d’uccelli, macchine da cucire, casse, balle, panieri, culle, biciclette, orologi a cucù, pani, latte di benzina, gomme di scorta, grammofoni, fisarmoniche, bottiglie di vino, cani e gatti – tutto stufato insieme come in una specie di gulasch surrealista».
Truppe tedesche sfilano in parata sugli Champs Elysée davanti al generale Briesen.
Il 14 giugno 1940, le truppe tedesche entrarono trionfalmente a Parigi, dopo di che il governo francese fu costretto a chiedere la resa.
La Francia venne divisa in due zone: mentre il nord fu posto sotto il diretto controllo tedesco, a sud fu instaurato un governo conservatore. Guidato dal maresciallo Philippe Petain (il vincitore di Verdun), il nuovo esecutivo si insediò a Vichy e si dichiarò subito disposto a collaborare con i tedeschi, nella convinzione che essi avessero vinto la guerra. In Germania, l’effetto della fulminea vittoria sulla Francia fu straordinario. Il prestigio di Hitler toccò il suo massimo livello, e anche quegli ambienti militari che avevano ancora delle riserve nei suoi confronti le abbandonarono definitivamente, accettandolo come indiscutibile guida della Germania e del suo popolo. Nessun generale tedesco sarebbe più stato in grado, fino all’estate del 1944, di mettere in discussione le sue direttive. Il 19 luglio, in un discorso al Reichstag, Hitler offrì alla Gran Bretagna la pace; a Londra, tuttavia, il 10 maggio era diventato primo ministro Winston Churchill, il più fiero avversario, prima dello scoppio della guerra, della politica di appeasement condotta prima della guerra da N. Chamberlain. Consapevole di rappresentare il sentimento comune del popolo inglese, il governo respinse l’offerta hitleriana e si preparò a resistere a un conflitto che si profilava lungo e difficile.
Aereo tedesco da ricognizione sul cielo della Grecia mentre sorvola un centro abitato.
Nel settembre del 1940 Hitler rinunciò definitivamente al progetto di invadere la Gran Bretagna; d’altro canto, fin dall’estate aveva progettato di procedere contro l’URSS, visto che, con la sconfitta della Francia, si era verificata quella situazione di sicurezza alle spalle da lui considerata, nel Mein Kampf, come essenziale per la riuscita della guerra contro la Russia.
La speranza del Führer era di poter sconfiggere l’URSS con una nuova guerra lampo, che avrebbe dovuto respingere l’esercito russo fino agli Urali prima dell’inverno. A questa valutazione ottimistica della situazione, il dittatore tedesco fu mosso da una serie di fattori, fra i quali ricordiamo le difficoltà incontrate dall’Armata rossa in Finlandia e le pesanti epurazioni condotte da Stalin fra i generali negli anni 1937-38. Un altro elemento decisivo, che spinse Hitler a sottovalutare le capacità sovietiche di opporre una valida resistenza all’attacco tedesco, fu poi la sua concezione razzista: nell’immaginario hitleriano, l’URSS era comandata da una banda di bolscevichi ebrei, capaci solo di disgregare e decomporre le energie vitali di un popolo, e non certo di costruire una solida e potente entità statale. Dunque, contro gli slavi (considerati da Hitler come sottouomini) e contro i loro dirigenti ebraici, le forze della Germania avrebbero sicuramente trionfato, secondo il Führer, in un breve lasso di tempo.
Unità tedesche in movimento sulle strade fangose per le forti piogge primaverili, durante la conquista della Grecia.
Il 28 ottobre 1940, l’Italia fascista (entrata in guerra il 10 giugno 1940) invase la Grecia. L’obiettivo del Duce era di tipo politico, cioè voleva mostrare che l’Italia non era una semplice pedina tedesca, bensì poteva condurre - in piena autonomia e proprie risorse - una guerra parallela, con obiettivi rispondenti solo agli interessi italiani.
L’attacco fu condotto dall’Albania, un piccolo regno che l’Italia aveva occupato nell’aprile del 1939, dopo che la Germania si era impadronita, in marzo, della Cecoslovacchia. Mussolini immaginava una campagna rapida, capace di portare gloria e prestigio al regime. All’opposto, incontrò una tenacissima resistenza greca, mentre sulle montagne i soldati italiani dovettero affrontare il freddo invernale con un equipaggiamento scadente e inadeguato. Insomma, l’insuccesso fu totale, e il risultato fu del tutto opposto a quello sperato. L’esercito italiano fu salvato dalla completa disfatta solo in virtù del tempestivo intervento tedesco nei Balcani, nell’aprile 1941.
Una colonna tedesca sotto attacco in Serbia. Durante l'invasione della Jugoslavia, nell'aprile 1941, le truppe dell'Asse incontrarono scarsa resistenza, i più combattivi furono i serbi che, dopo l'occupazione, organizzarono la guerriglia contro le forze tedesche.
Dopo il 1945, diversi generali tedeschi sottolinearono che la decisione di salvare gli italiani dalla disfatta totale in Grecia ritardò l’inizio dell’ Operazione Barbarossa contro l’Unione Sovietica, distolse truppe da quel fronte e, quindi, impedì l’attacco decisivo contro Mosca prima dell’arrivo dell’inverno russo. In realtà, si tratta di un’affermazione di comodo, con cui quegli stessi generali – a guerra finita – cercarono di scaricare su altri i propri errori di valutazione e le proprie carenze nella gestione delle operazioni sul fronte orientale, dove la resistenza sovietica fu superiore rispetto al previsto e l’equipaggiamento invernale dei soldati tedeschi lasciava molto a desiderare. Per accedere alla Grecia, i tedeschi dovettero attraversare i territori della Bulgaria e della Jugoslavia. La prima accettò di collaborare, facilitò il transito dei tedeschi sulle proprie strade e fu ricompensata con l’annessione della Tracia e della Macedonia: due regioni che i greci avevano conquistato nel 1913, e che i bulgari rivendicavano come parte integrante del proprio territorio nazionale. La Jugoslavia, invece, tentò di opporsi alle richieste tedesche e fu punita con la completa disintegrazione politica.
Mussolini e Hitler ispezioneno il fronte sovietico lungo l'ex frontiera polacca nei pressi di Brest-Litovsk.
Denominata in codice Operazione Barbarossa, l’offensiva tedesca contro l’URSS iniziò il 22 giugno 1941, cogliendo completamente di sorpresa Stalin, che fino all’ultimo aveva prestato fede al patto di non aggressione e creduto che Hitler non avrebbe attaccato. In un primo momento, l’attacco tedesco registrò un successo clamoroso. Alla fine dell’estate 1941, il numero prigionieri sovietici aveva sicuramente raggiunto la cifra di 3 milioni (circa mezzo milione di essi fu costretto ad arrendersi al momento della conquista di Kiev, il 19 settembre).
Nel maggio 1942, quando i tedeschi ripresero l’offensiva, altri 239 000 prigionieri furono catturati nei pressi di Kharkov, in Ucraina. Alla fine del conflitto, il numero globale di soldati sovietici caduti in mani tedesche toccò la quota di 5,7 milioni. In un primo tempo, le loro condizioni di detenzione furono terribili: non a caso, si calcola che almeno 3 300 000 di essi siano periti di stenti o vittime di esecuzioni sommarie. I nazisti presero come pretesto il fatto che l’URSS non aveva firmato la convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra. In realtà, la motivazione vera della violenza nazista verso i sovietici era di natura ideologica: il disprezzo razzista contro i sottouomini slavi si mescolava con l’odio per il nemico bolscevico.
Carri armati tedeschi vicino a Mosca durante la seconda guerra mondiale.
Alla metà di settembre, l’esercito di Hitler era riuscito ad avanzare in territorio russo per una profondità di 800 km, conquistando un territorio che - più vasto dell’intera Germania - garantiva prima della guerra all’URSS il 36% della sua produzione di grano, il 60% di quella di ferro e di acciaio, il 55% di quella del carbone. Eppure, malgrado tutti questi successi, nessuno dei grandi obiettivi che la Germania si era proposta di conseguire in tempi brevi era stato raggiunto. A nord Leningrado - per quanto assediata e affamata (al punto che più di un terzo dei suoi tre milioni di abitanti morì per denutrizione, tra il 1941 e il 1944) - non capitolò, mentre a sud la conquista dell’Ucraina (con le sue miniere e le sue acciaierie) non si rivelò così decisiva come si era sperato. Negli anni Trenta, il regime sovietico aveva provveduto a creare una nuova regione industriale negli Urali; pertanto, la perdita dell’Ucraina (e del suo grano) provocò senza dubbio gravi problemi per il rifornimento alimentare delle città russe, ma non significò affatto il collasso dell’industria bellica sovietica, che al contrario, dal 1942, fu in grado di produrre mensilmente 2000 carri armati e 3000 aeroplani. Quanto al settore centrale del fronte (quello che avrebbe dovuto comprendere, in teoria, anche la conquista di Mosca), l’esercito tedesco subì una prima battuta d’arresto fin dalla metà di luglio, nella regione di Smolensk.
Le truppe di Hitler arrivarono poi, in novembre, fino ai sobborghi di Mosca; ma il 5 dicembre, quando già l’inverno russo infieriva e causava terribili problemi ai soldati tedeschi, l’Armata rossa contrattaccò davanti alla capitale, provocando la definitiva cessazione della guerra lampo e la sua trasformazione in una micidiale guerra di logoramento.
Soldati tedeschi sul fronte russo ascoltano il bollettino del Quartier Generale da una radio attaccata alla batteria di un autocarro.
Nella primavera del 1941, a più riprese il comando supremo tedesco ricevette precise istruzioni relative al fatto che l’esercito sarebbe stato accompagnato da speciali reparti di SS, incaricati di eliminare la classe dirigente sovietica: il che, nel giro di breve tempo, provocò l’esecuzione di tutti gli ebrei che si trovavano in territorio sovietico. Da parte loro, il 6 giugno, gli alti comandi militari emanarono un ordine (denominato Kommissarbefehl) in base al quale dovevano essere giustiziati sommariamente tutti i commissari politici e i funzionari comunisti che fossero stati catturati. Non tutti i generali tedeschi erano dei nazisti fanatici. Tuttavia, molti di loro condividevano con Hitler un profondo disprezzo per gli ebrei, per i russi e per il comunismo. Pertanto, da parte dei militari, non emerse mai alcuna vera opposizione di principio all’impostazione propriamente nazista del conflitto a oriente, concepito come guerra di annientamento del nemico, col quale non era possibile alcun accordo. Nel solo territorio di competenza del gruppo d’armate Centro, la Wehrmacht fucilò da 3 a 5 000 commissari politici, mentre le SS, nella stessa area, ne eliminarono circa 10 000. Tale comportamento era del tutto coerente con il fine ultimo della campagna d’oriente: la conquista dello spazio vitale (Lebensraum) per il popolo tedesco, lo sfruttamento coloniale delle risorse russe e la trasformazione della sua popolazione in un’informe moltitudine di schiavi al servizio dei conquistatori.
L'equipaggio tedesco della 23° divisione Panzer si ferma ad osservare le esplosioni in distanza, durante l'avanzata nella vasta steppa russa.
Nell’estate del 1942, l’esercito germanico riprese la sua avanzata in territorio sovietico. Tuttavia, a differenza del 1941, l’offensiva non ebbe questa volta come obiettivo principale Mosca, bensì i campi petroliferi del Caucaso. Occupata quella preziosa regione, le truppe tedesche avrebero poi dovuto, nelle intenzioni di Hitler, puntare sulla capitale sovietica da sud, risalendo il Volga. Ma Hitler, dopo alcune clamorose vittorie estive, il 23 luglio compì l’errore strategico più grave di tutta la guerra, in quanto ordinò al suo esercito di dividersi in due gruppi di armate, in modo da attaccare contemporaneamente sia il Caucaso che Stalingrado, un importante centro industriale che si estendeva per una trentina di chilometri lungo la riva destra del Volga. Il risultato fu che nessuno dei due obiettivi venne conseguito, visto che la capacità d’urto delle armate tedesche (per altro già gravemente provate dalla campagna del 1941) venne irriimagesbilmente compromessa da quella divisione di forze.
La resistenza sovietica a Stalingrado, in particolare, fu tale che i tedeschi non ebbero mai il completo controllo della città, ed anzi si dissanguarono nel disperato tentativo di conquistarla. I sovietici infatti combatterono casa per casa e all’interno delle fabbriche, in un groviglio inestricabile di rovine e di macerie che rese difficile ai tedeschi l’elaborazione di qualsiasi manovra di vasto respiro e li obbligò a condurre quella che definirono una guerra da topi (Rattenkrieg).
Granatieri tedeschi armati di MG 34, avanzano cautamente nella campagna ucraina.
Nel novembre 1942, l’Armata rossa passò al contrattacco e riuscì ad accerchiare i 250 mila soldati della VI Armata tedesca impegnata a Stalingrado.
Hitler vietò esplicitamente al generale von Paulus ogni ritirata dalla città, in cui - da assedianti - i tedeschi si erano trasformati in assediati; ma, al tempo stesso, non vi fu nessuna possibilità né di rompere l’accerchiamento dall’esterno né di rifornire la VI Armata per via aerea. Il risultato fu che von Paulus, il 31 gennaio del 1943, fu costretto ad arrendersi con gli ultimi 91 mila tedeschi superstiti. Per molti aspetti, quella di Stalingrado fu la battaglia decisiva di tutta la guerra. Certo, la situazione della Germania era ancora, all’inizio del 1943, tutt’altro che disperata; tuttavia, da allora in poi, le armate tedesche persero l’iniziativa e furono costrette sulla difensiva, subendo il peso di una coalizione di nemici che, di mese in mese, rafforzava la propria capacità di produzione bellica.
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Soldati tedeschi a Varsavia
Soldati tedeschi a Varsavia