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CorpoAdolf Hitler.
La seconda guerra mondiale ebbe inizio il 1 settembre 1939, con l’invasione tedesca della Polonia. Per evitare che il conflitto si estendesse subito su troppi fronti, Hitler si era premunito di stipulare un patto di non aggressione con Stalin.
L’accordo (noto anche come patto Ribbentrop-Molotov) venne siglato a Mosca il 23 agosto 1939 e destò lo sconcerto di tutto il movimento comunista internazionale: fino a poco tempo prima, infatti, i nazisti erano stati nemici dei sovietici (e di tutti gli antifascisti) nella guerra civile spagnola (1936-1939). Scoppiata la nuova guerra mondiale, alcune organizzazioni comuniste nazionali (il PC francese, quello italiano, quello belga) affermarono che lottare contro Hitler era un dovere di tutti i lavoratori; queste voci, però, furono subito zittite e ricondotte all’ordine dall’Internazionale comunista, rigidamente diretta da Mosca.
Francia e Inghilterra (come negli anni 1914-1917) furono di nuovo accusate di essere solo potenze imperialiste, che volevano imporre il proprio dominio sul mondo, a scapito della Germania. Per due anni, i rapporti dell’URSS con il Terzo Reich furono eccellenti, al punto che Stalin accettò di consegnare alla Gestapo circa cinquecento comunisti tedeschi internati nei lager siberiani. Soltanto l’aggressione nazista del giugno 1941 avrebbe ripristinato la situazione precedente, dato nuovo senso al concetto di lotta antifascista e, soprattutto, permesso ai comunisti europei di riprendere a combattere contro Hitler e i suoi collaboratori nei movimenti di resistenza (primo fra tutti quello francese).
Manifesto propagandistico del regime staliniano che invita a resistere all'invasione tedesca paragonando Hitler a Napoleone: Napoleone è stato sconfitto; ora toccherà alla superbia di Hitler.
Il 22 giugno 1941, Hitler violò clamorosamente il patto di non aggressione che due anni prima aveva stipulato con Stalin.
La speranza del Führer era di poter sconfiggere l’URSS con una guerra lampo, che avrebbe dovuto respingere l’esercito russo fino agli Urali prima dell’inverno. A questa valutazione ottimistica della situazione, il dittatore tedesco fu mosso da una serie di fattori, fra i quali ricordiamo le pesanti epurazioni condotte da Stalin fra i generali negli anni 1937-38. Un altro elemento decisivo, che spinse Hitler a sottovalutare le capacità sovietiche di opporre una valida resistenza all’attacco tedesco, fu poi la sua concezione razzista: nell’immaginario hitleriano, l’URSS era comandata da una banda di bolscevichi ebrei, capaci solo di disgregare e decomporre le energie vitali di un popolo, e non certo di costruire una solida e potente entità statale. Dunque, contro gli slavi (considerati da Hitler come sottouomini) e contro i loro dirigenti ebraici, le forze della Germania avrebbero sicuramente trionfato, secondo il Führer, in un breve lasso di tempo.
Manifesto antisemita nazista del 1941 diretto ad ottenere il sostegno della popolazione lituana.Le scritte più visibili recitano: "Gli ebrei-Il tuo eterno nemico" e "Stalin e gli ebrei-unica banda criminale".
Il razzismo nazista è alla base della particolare brutalità che caratterizzò la guerra a oriente. Nella primavera del 1941, a più riprese il Comando supremo tedesco ricevette precise istruzioni relative al fatto che l’esercito sarebbe stato accompagnato da speciali reparti di SS, incaricati di eliminare la classe dirigente sovietica: il che, nel giro di breve tempo, provocò l’esecuzione di tutti gli ebrei che si trovavano in territorio sovietico.
In Ucraina, in Litania e in Lettonia, i nazisti furono molto abili a presentarsi come liberatori dal giogo staliniano e a sfruttare il diffuso antisemitismo, profondamente radicato nelle regioni periferiche dell’Unione Sovietica.
Il 6 giugno, gli alti comandi militari emanarono un ordine (denominato Kommissarbefehl) in base al quale dovevano essere giustiziati sommariamente tutti i commissari politici e i funzionari comunisti che fossero stati catturati. Nel solo territorio di competenza del gruppo d’armate Centro, la Wehrmacht fucilò da 3 a 5 000 commissari politici, mentre le SS, nella stessa area, ne eliminarono circa 10 000. Tale comportamento era del tutto coerente con il fine ultimo della campagna d’oriente: la conquista dello spazio vitale (Lebensraum) per il popolo tedesco, lo sfruttamento coloniale delle risorse russe e la trasformazione della sua popolazione in un’informe moltitudine di schiavi al servizio dei conquistatori.
Poster russo propagandistico che raffigura Stalin nel suo studio.
Denominata in codice Operazione Barbarossa, l’offensiva tedesca iniziò il 22 giugno 1941, cogliendo completamente di sorpresa Stalin, che fino all’ultimo aveva prestato fede al patto di non aggressione e creduto che Hitler non avrebbe attaccato. Per quasi due settimane, Stalin restò in silenzio totale; il 3 luglio parlò alla radio ed esortò il popolo russo alla resistenza a oltranza contro l’invasore, facendo appello a far uso sistematico della tattica della terra bruciata («Non bisogna lasciare una sola locomotiva, non un vagone, non un chilo di grano, un litro di carburante») e della lotta partigiana.
L’appello fu accolto con entusiasmo dal popolo russo, che difese con estrema determinazione la propria patria: il brutale comportamento dei nazisti, del resto, spense ben presto le illusioni di chi aveva sperato di poter rovesciare la spietata dittatura staliniana con l’aiuto dell’esercito tedesco. A distanza di vari anni, così ricorda il discorso radiofonico di Stalin lo scrittore Konstantin Simonov: «Stalin parlava con voce monotona e lenta, con un forte accento georgiano. Una volta, durante il discorso, si poté sentire il rumore di un bicchiere da cui beveva acqua. La voce di Stalin era bassa di tono e di volume… L’intonazione del suo discorso restava uniforme, la voce sorda risuonava senza alti e bassi, né punti esclamativi». Secondo alcuni studiosi, nacque di qui lo sforzo di Stalin, nel corso della guerra e dopo la vittoria, di assumere atteggiamenti più solenni e marziali, rispetto a quelli tenuti in precedenza: si pensi alla frequenza con cui il dittatore, dopo il 1945, amava farsi ritrarre nella solenne bianca divisa da gran maresciallo.
Adolf Hitler in un ritratto ufficiale. Da notare che come decorazione porta la croce di ferro e, sotto, il distintivo che contraddistingue chi è stato ferito durante la prima guerra mondiale.
In un primo momento, l’attacco tedesco registrò un successo clamoroso.
Alla fine dell’estate 1941, il numero prigionieri sovietici aveva sicuramente raggiunto la cifra di 3 milioni (circa mezzo milione di essi fu costretto ad arrendersi al momento della conquista di Kiev, il 19 settembre). Nel maggio 1942, quando i tedeschi ripresero l’offensiva, altri 239 000 prigionieri furono catturati nei pressi di Kharkov, in Ucraina.
Alla fine del conflitto, il numero globale di soldati sovietici caduti in mani tedesche toccò la quota di 5,7 milioni. In un primo tempo, le loro condizioni di detenzione furono terribili: non a caso, si calcola che almeno 3 300 000 di essi siano periti di stenti o vittime di esecuzioni sommarie.
I nazisti presero come pretesto il fatto che l’URSS non aveva firmato la Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra. In realtà, la motivazione vera della violenza nazista verso i sovietici era di natura ideologica: il disprezzo razzista contro i sottouomini slavi si mescolava con l’odio per il nemico bolscevico.
Alla metà di settembre, l’esercito di Hitler era riuscito ad avanzare in territorio russo per una profondità di 800 km, conquistando un territorio che - più vasto dell’intera Germania - garantiva prima della guerra all’URSS il 36% della sua produzione di grano, il 60% di quella di ferro e di acciaio, il 55% di quella del carbone. Eppure, malgrado tutti questi successi, nessuno dei grandi obiettivi che la Germania si era proposta di conseguire in tempi brevi era stato raggiunto. A nord Leningrado - per quanto assediata e affamata (al punto che più di un terzo dei suoi tre milioni di abitanti morì per denutrizione, tra il 1941 e il 1944) - non capitolò, mentre a sud la conquista dell’Ucraina (con le sue miniere e le sue acciaierie) non si rivelò così decisiva come si era sperato.
Nathan Altman, Ritratto di Anna Achmatova, 1914. Olio su tela. San Pietroburgo, Museo Russo di Stato.
La guerra colse la poetessa russa Anna Achmatova a Leningrado, che per 900 giorni, dal settembre 1941 al gennaio 1944, fu chiusa in un terribile assedio dalle armate tedesche. In quell’occasione, come numerosi altri intellettuali, la scrittrice fu recuperata dal regime, che fece leva sulle tradizioni nazionali russe, ancor più che sulla difesa del socialismo. Achmatova tenne un celebre discorso alla radio della città, esortando gli assediati, che morivano di fame e di freddo, a resistere a oltranza, per non far cadere la città di Pietro il grande e di Dostoevskij in mano ai nazisti. Terminò con un vibrante omaggio alle donne della capitale: «I nostri discendenti onoreranno tutte le madri vissute in tempo di guerra, ma il loro sguardo sarà attirato e catturato per sempre dall’immagine della donna di Leningrado che durante le incursioni aeree sta in piedi sul tetto di una casa impugnando arpione e molle da camino per proteggere la città dal fuoco; o della giovane volontaria che porta soccorso ai feriti tra le rovine ancora fumanti di un edificio… No, una città che ha generato donne come queste non può essere conquistata». Più tardi, compose una quartina che fu diffusa in milioni di manifesti: «Il vessillo nemico / Svanirà come fumo. / La nostra causa è giusta, / Noi vinceremo».
Una fabbrica di trattori a Stalingrado, fotografia del 1930. Anche l'industria russa, con la produzione di strumenti agricoli efficaci, contribuì a far superare la crisi dell'agricoltura.
Negli anni Trenta, il regime sovietico aveva provveduto a creare una nuova regione industriale negli Urali; pertanto, la perdita dell’Ucraina (e del suo grano) provocò senza dubbio gravi problemi per il rifornimento alimentare delle città russe, ma non significò affatto il collasso dell’industria bellica sovietica, che al contrario, dal 1942, fu in grado di produrre mensilmente 2000 carri armati e 3000 aeroplani.
Quanto al settore centrale del fronte (quello che avrebbe dovuto comprendere, in teoria, anche la conquista di Mosca), l’esercito tedesco subì una prima battuta d’arresto fin dalla metà di luglio, nella regione di Smolensk.
Le truppe di Hitler arrivarono poi, in novembre, fino ai sobborghi di Mosca; ma il 5 dicembre, quando già l’inverno russo infieriva e causava terribili problemi ai soldati tedeschi, l’Armata rossa contrattaccò davanti alla capitale, provocando la definitiva cessazione della guerra lampo e la sua trasformazione in una micidiale guerra di logoramento.
Un gruppo di soldati tedeschi fotografato nel 1942 a Stalingrado.
Nell’estate del 1942, l’esercito tedesco riprese la sua avanzata in territorio sovietico. Tuttavia, a differenza del 1941, l’offensiva non ebbe questa volta come obiettivo principale Mosca, bensì i campi petroliferi del Caucaso. Occupata quella preziosa regione, le truppe tedesche avrebero poi dovuto, nelle intenzioni di Hitler, puntare sulla capitale sovietica da sud, risalendo il Volga. Ma Hitler, dopo alcune clamorose vittorie estive, il 23 luglio compì l’errore strategico più grave di tutta la guerra, in quanto ordinò al suo esercito di dividersi in due gruppi di armate, in modo da attaccare contemporaneamente sia il Caucaso che Stalingrado, un importante centro industriale che si estendeva per una trentina di chilometri lungo la riva destra del Volga.
Il risultato fu che nessuno dei due obiettivi venne conseguito, visto che la capacità d’urto delle armate tedesche (per altro già gravemente provate dalla campagna del 1941) venne irriimagesbilmente compromessa da quella divisione di forze.
La resistenza sovietica a Stalingrado, in particolare, fu tale che i tedeschi non ebbero mai il completo controllo della città, e anzi si dissanguarono nel disperato tentativo di conquistarla.
I sovietici infatti combatterono casa per casa e all’interno delle fabbriche, in un groviglio inestricabile di rovine e di macerie che rese difficile ai tedeschi l’elaborazione di qualsiasi manovra di vasto respiro e li obbligò a condurre quella che definirono una guerra da topi (Rattenkrieg).
Soldati tedeschi a Stalingrado, ottobre 1942.
Nel novembre 1942, l’Armata rossa passò al contrattacco e riuscì ad accerchiare i 250 000 soldati della VI Armata tedesca impegnata a Stalingrado.
Hitler vietò esplicitamente al generale von Paulus ogni ritirata dalla città, in cui - da assedianti - i tedeschi si erano trasformati in assediati; ma, al tempo stesso, non vi fu nessuna possibilità né di rompere l’accerchiamento dall’esterno né di rifornire la VI Armata per via aerea. Il risultato fu che Von Paulus, il 31 gennaio del 1943, fu costretto ad arrendersi con gli ultimi 91 mila tedeschi superstiti. Per molti aspetti, quella di Stalingrado fu la battaglia decisiva di tutta la guerra. Certo, la situazione della Germania era ancora, all’inizio del 1943, tutt’altro che disperata; tuttavia, da allora in poi, le armate tedesche persero l’iniziativa e furono costrette sulla difensiva, subendo il peso di una coalizione di nemici che, di mese in mese, rafforzava la propria capacità di produzione bellica.
Questa celebre foto del soldato tedesco con la testa tra le mani nella campagna russa è diventata un simbolo del fallimento nazista in Unione Sovietica dopo la sconfitta di Stalingrado.
Nell’estate del 1943, i tedeschi lanciarono nella Russia centrale un’ultima poderosa offensiva, denominata operazione Zitadelle.
Nella regione di Kursk, dal 5 luglio al 23 agosto 1943 ebbe luogo la più vasta battaglia campale di tutta la guerra, che coinvolse un numero elevatissimo di carri armati, da entrambe le parti. Sconfitto ancora una volta (il merito della vittoria spettò soprattutto ai carri sovietici T-34, che si dimostrarono superiori ai Tiger germanici) e ormai consapevole della formidabile potenza della coalizione nemica, Hitler decise allora di procedere a una mobilitazione di tutte le risorse tedesche.
Il compito di gestire l’economia tedesca in questo disperato sforzo fu assegnato ad Albert Speer, che nel settembre 1943 assunse la carica di Ministro per l’Armamento e la Produzione di guerra.
I risultati ottenuti dall’organizzazione costruita da Speer hanno del miracoloso: basti pensare che la Germania riuscì a produrre, nel 1944, 105 258 armi belliche (cannoni pesanti, aerei, carri armati), contro le 36 804 del 1942. Tale dato è ancora più sorprendente se si tiene conto che, nel 1943, le incursioni aeree anglo-americane sui centri industriali della Germania si fecero sempre più massicce e metodiche: nel complesso, sull’intera Germania caddero 207 600 tonnellate di bombe nel 1943, salite a 915 mila nel 1944; soltanto su Berlino, furono sganciate 50 mila tonnellate di bombe tra il novembre 1943 e il marzo 1944.
Manifesto antisemita nazista diffuso durante la seconda guerra mondiale: nell'ideologia hitleriana, gli ebrei, che avevano ordito il "complotto contro l'Europa", erano il legame tra il comunismo e l'imperialismo britannico e americano.
Dal 22 al 26 novembre 1943, Stalin, il primo ministro inglese Winston Churchill e il presidente americano Franklin Delano Roosevelt si incontrarono a Teheran e discussero dell’andamento della guerra. Sotto il profilo militare fu deciso che, entro il 1944, gli anglo-americani avrebbero aperto un secondo fronte in Francia. Una simile opzione fu osteggiata, fino all’ultimo, da Churchill, che proponeva in alternativa uno sbarco nei Balcani, ovvero un attacco da sud alla fortezza Europa nazista. La preoccupazione dello statista inglese era evidente: ormai certo della sconfitta di Hitler, Churchill cominciava a temere le conseguenze future dell’avanzata sovietica verso l’Europa centrale.
La proposta di Churchill (non meno della paura di Stalin, di una pace separata delle potenze capitalistiche con Hitler) mette in evidenza che anche negli anni di guerra, tra i diversi nemici della Germania, rimasero vivi tutti quei sospetti e quelle diffidenze che esistevano prima del conflitto. Solo Hitler aveva potuto dar vita, nel 1941, alla strana alleanza tra le due potenze liberali, da un lato, e la Russia comunista dall’altro.
Manifesto di propaganda nazista degli ultimi anni della Seconda guerra mondiale. Prevede la spartizione del mondo tra USA e URSS.
Il 4 febbraio 1945, i Tre Grandi (Roosevelt, Churchill e Stalin) si riunirono a Yalta, in Crimea. In tale circostanza, non venne affatto deciso a tavolino (come spesso si afferma) che l’Europa sarebbe stata divisa in due grandi sfere di influenza: al contrario, la Dichiarazione sull’Europa liberata, sottoscritta da tutti e tre i partecipanti all’incontro, lasciava ampio spazio all’autodecisione dei popoli e alla loro possibilità di darsi, tramite libere elezioni, governi rispondenti alla loro effettiva volontà.
A Yalta, la speranza di Roosevelt era stata che i russi avrebbero accettato l’instaurazione di governi democratici nei paesi dell’Europa orientale; Stalin invece, nel 1945, era soprattutto preoccupato di impedire per il futuro una nuova invasione del territorio sovietico, e profondamente convinto che solo dei governi rigidamente controllati da Mosca sarebbero risultati davvero affidabili. Pertanto, ignorando la dichiarazione firmata anche dall’URSS a Yalta, Stalin decise di procedere alla sovietizzazione di tutta l’area occupata dall’Armata rossa durante la sua vittoriosa avanzata: un immenso impero che comprendeva più di 6 430 000 chilometri quadrati, pari a quasi il 62% dell’intero continente europeo.
Adolf Hitler
La guerra totale sul fronte orientale, nella seconda guerra mondiale
Scontri e conflitti ideologici nel Novecento
Fabbrica di trattori a Stalingrado
Soldati tedeschi a Stalingrado
Complotto contro l'Europa
spartizione del mondo tra USA e URSS