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CorpoManifesto che raffigura i cosiddetti popoli del Terzo mondo uniti nella lotta contro gli oppressori imperialisti.
Nel secondo dopoguerra, i popoli dei paesi extra-europei che volevano liberarsi dalla dominazione coloniale, recuperando la piena sovranità politica o il completo controllo sulle proprie risorse economiche, usarono categorie concettuali occidentali o si appoggiarono su ideologie nate in Europa, come il nazionalismo o il socialismo. Nel mondo islamico, il primo a muoversi su questo terreno fu Mustafa Kemal, che negli anni Venti agì in nome del nazionalismo turco e cercò di rifondare su tali basi (laiche ed occidentali) la nuova repubblica sorta dopo il collasso dell’impero ottomano. Alcuni decenni dopo, negli anni Cinquanta e Sessanta, in Egitto, Gamal Abd-al Nasser si assunse il compito di combattere le tradizionali potenze imperialiste europee (Francia e Gran Bretagna) e Israele, considerato un’intollerabile umiliazione, imposta al mondo arabo dall’occidente. Nasser, tuttavia, a sua volta faceva ampio uso di categorie concettuali di matrice occidentale: si considerava socialista e aveva come obiettivi la modernizzazione dell’Egitto e l’unità di tutti i popoli arabi, in nome del nazionalismo.
Il presidente Sadat, artefice della prima vittoria araba nelle guerre contro Israele.
Alla morte di Nasser, nel 1970, in Egitto salì al potere Anwar al-Sadat, che scelse di giungere alla pace con lo Stato ebraico, mentre proseguì sulla strada aperta da Nasser per quanto riguarda la netta separazione fra politica e religione.
Già negli anni Sessanta, il movimento integralista islamico dei Fratelli musulmani accusò Nasser di essere un traditore, un apostata.
Gli integralisti divennero un’efficace forza di opposizione, sempre più organizzata e determinata, man mano che emergeva la forte personalità di Sayyd Qutb, che venne infine arrestato, torturato e impiccato dal regime nasseriano nel 1966. Il contributo più importante di Qutb al dibattito politico e religioso dei paesi musulmani è l’applicazione alle moderne società arabe del concetto di jahiliyya: un termine che, nel Corano, è usato spregiativamente per indicare la barbarie in cui viveva l’Arabia prima della rivelazione di Maometto.
Inviso dal mondo arabo, il 6 ottobre 1981, nel corso di una parata militare che celebrava l’ottavo anniversario della guerra, del Kippur, Sadat rimase vittima di un attentato ordito da un commando di militari ribelli, associati alla setta dei Fratelli Musulmani. Nella fotografia i funerali, avvenuti il 10 ottobre 1981.
Secondo l’intellettuale egiziano Sayyd Qutb, la condizione del mondo islamico del ventesimo è simile a quella dell’Arabia pre-islamica, in quanto non viene più osservata la legge divina.
«L’uomo - scrive Qutb - è ad un incrocio di strade e deve scegliere: o osservare legge di Allah nella sua completezza o servire le leggi fatte dall’uomo. In questo secondo caso gli uomini si trovano in stato di barbarie. La barbarie delle società industriali d’Europa e d’America è essenzialmente simile a quella antica dell’Arabia pagana e nomade. Infatti nei due sistemi l’uomo è sotto il dominio dell’uomo invece che di quello di Dio». Per Qutb e i suoi discepoli, la riscossa degli stati musulmani non deve affatto essere condotta utilizzando parole d’ordine laiche (estranee alla cultura islamica) come il nazionalismo arabo o il socialismo, bensì ritornando alle radici della fede e rimodellando l’intera società secondo la legge coranica.
La proposta politica di Qubt, dunque, si fece apertamente rivoluzionaria: con lui, l’islam divenne un formidabile strumento di contestazione di tutti i governi e tutti i regimi. Infatti, nell’ottobre del 1981, al Cairo, Sadat cadde vittima di un attentato organizzato dai seguaci di Qutb, determinati a introdurre in Egitto un regime integralmente islamico.
Osama Bin Laden.
Per vari anni, l’occidente non si accorse delle nuove idee che stavano maturando nel mondo musulmano. Anzi, dal 1978 al 1989, gli Stati Uniti sostennero la guerriglia che gli estremisti islamici condussero contro i sovietici in Afghanistan. In questo paese accorsero numerosi estremisti musulmani, desiderosi di combattere la guerra santa contro i nemici della fede e disposti a morire come martiri. Tra quanti si recarono in Afghanistan, si mise presto in luce il miliardario arabo Osama Bin Laden, che aveva recepito il rivoluzionario pensiero di Sayyd Qutb e finanziò con il suo denaro la guerriglia. Dopo il ritiro dei sovietici, l’Afghanistan sprofondò in una violentissima guerra civile, che negli anni Novanta vide contrapposte due fazioni.
I musulmani moderati avevano combattuto contro l’occupazione russa, ma non disprezzavano la cultura occidentale; i talebani (= studenti di teologia coranica), invece, erano degli integralisti radicali, determinati a costruire nel paese un regime islamico ancora più intransigente di quello costruito in Iran da Khomeini nel 1979. Nel 1996, i talebani presero il potere e attuarono il loro progetto politico-religioso. In quegli anni, in Afghanistan, solo le armi erano moderne: per il resto, il paese ripiombò in una specie di Medioevo, guardato con perplessità e paura persino da molti musulmani osservanti.
Assalto alle Torri gemelle, New York, 11 settembre 2001.
L’11 settembre 2001, due aerei di linea dirottati da terroristi distrussero due tra i più alti e prestigiosi grattacieli di New York (le cosiddette torri gemelle del World Trade Center), schiantandosi contro di esse e provocando 2817 morti accertati. Lo stesso giorno, un terzo aereo si schiantò contro il Pentagono, a Washington; un quarto avrebbe probabilmente dovuto colpire la Casa Bianca, ma la reazione dei passeggeri (che grazie ai telefoni cellulari avevano già saputo quanto era accaduto a New York) provocò la caduta dell’aereo in una zona priva di centri abitati.
I luoghi attaccati rappresentavano i simboli più prestigiosi della potenza americana: economica (New York), militare (Pentagono), politica (Casa Bianca).
I sospetti degli americani si rivolsero imimagestamente in direzione degli ambienti islamici più fanatici e radicali, sostenuti finanziariamente da Osama bin Laden, che servendosi del suo enorme patrimonio (circa 900 milioni di dollari), aveva messo in piedi nel 1998 il Fronte internazionale islamico per la guerra santa contro gli ebrei e i crociati, primo passo per la creazione di una potentissima organizzazione terroristica chiamata Al Qaeda (La base).
Bin Laden si era già reso responsabile degli attentati che, nel 1998, distrussero le ambasciate americane in Kenya e in Tanzania, provocando 224 morti. Poiché Bin Laden, al momento dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, si trovava proprio in Afghanistan, il paese fu pesantemente bombardato nell’autunno 2001 e infine occupato dall’esercito americano.
La distruzione delle torri gemelle di New York l'11 settembre 2001: una catastrofe senza precedenti che ha lasciato immagini di morte e distruzione difficili da dimenticare.
I terroristi di Al Qaeda si concepiscono come i veri seguaci di Maometto, investiti del compito di far rinascere la potenza dell’islam dopo secoli di umiliazioni subite da parte dell’occidente. Inoltre, essi si considerano come gli unici autentici musulmani: i governanti dei principali stati arabi, invece, sono accusati di essere degli ipocriti e degli apostati. In particolare, uno dei bersagli primari di Bin Laden è la famiglia reale che detiene il potere in Arabia Saudita. Fin dal 1924, qui era nato il primo stato islamico, la cui legislazione era integralmente ispirata alla legge coranica: ancora oggi, ad esempio, le donne non possono neppure guidare l’automobile. Tuttavia, nel corso del tempo, per ragioni economiche e politiche, l’Arabia Saudita si è progressivamente legata agli Stati Uniti e questo, per Bin Laden, è un delitto imperdonabile. Non a caso, ben 15 su 19 dei terroristi che parteciparono all’attentato dell’11 settembre erano cittadini sauditi. Si comprende bene, a questo punto, la logica degli attentati dell’11 settembre 2001: secondo Bin Laden, essi avrebbero dovuto dimostrare che l’America era vulnerabile e molto più debole di quanto gli arabi non pensassero; galvanizzati dalla grande vittoria dell’11 settembre, le masse arabe (primi fra tutti i sauditi) avrebbero dovuto (nelle intenzioni di Bin Laden) ribellarsi ai loro governanti corrotti e venduti agli occidentali, rovesciarli e insediare dei governi islamici. Allora, forti della presenza del petrolio nel loro sottosuolo, i popoli musulmani avrebbero riacquistato quella potenza che avevano avuto nei primi secoli dopo la rivelazione ricevuta dal Profeta. La storia, per così dire, avrebbe riacquistato la sua vera e corretta direzione, con i musulmani al vertice della gerarchia, e i nemici dell’islam (sprezzantemente chiamati, da Bin Laden «gli ebrei e i crociati») ridotti al rango di subordinati.
Attentato a Madrid l’11 marzo 2004, durante il quale persero la vita 191 persone e altre 1500 rimasero ferite.
Negli anni 2004 e 2005, l’Europa è stata colpita da una serie di gravi attentati di matrice islamica radicale. L’episodio più grave si è verificato a Madrid, l’11 marzo 2004, e ha provocato 198 morti e oltre 1400 feriti. Altre bombe sono state messe a Londra, nel luglio 2005, causando una cinquantina di vittime.
La riflessione su questi eventi spinge ad affermare che la nuova guerra al terrorismo (iniziata dopo l’11 settembre 2001) appare completamente diversa rispetto ai conflitti del passato. Nella grande maggioranza dei casi, i conflitti precedenti vennero combattuti tra Stati sovrani, diretti da un’autorità visibile e riconoscibile. Per infliggere danni all’avversario, si tentava di colpirne il territorio e distruggerne le città, mentre la vittoria era conseguita quando la capitale del nemico era espugnata e il suo governo chiedeva la resa o era rovesciato. Si prendano, ad esempio, il secondo conflitto mondiale e la guerra fredda. Nel primo caso, la vittoria divenne totale quando i russi ebbero conquistato Berlino: e poiché Hitler si era suicidato, il nuovo governo chiese la resa incondizionata.
Nel caso della guerra fredda, l’equilibrio resse perché entrambi i contendenti temevano che il proprio territorio, colpito da testate nucleari, avrebbe subito danni di gravità irreparabile. Al contrario, come scrive lo studioso francese Gilles Kepel, considerato uno dei maggiori esperti del mondo musulmano contemporaneo, nel caso del terrorismo islamico il nemico «non dispone di alcun confine effettivo che lo delimiti territorialmente. Lo spazio dell’islamismo contemporaneo non è né finito, né chiuso». In questa nuova situazione, insomma, non c’è nessuna Berlino da espugnare o Mosca da minacciare con armi nucleari.
Terroristi di Al-qaeda.
Il terrorismo islamico non dispone di un esercito, nel senso convenzionale del termine. Contro i suoi militanti, non è possibile ingaggiare una battaglia campale, come quelle che hanno dominato la scena storica, dall’antichità (greci contro persiani, a Maratona; romani contro cartaginesi, a Canne; ecc.) fino alla seconda guerra mondiale (tedeschi contro sovietici, a Stalingrado; anglo-americani contro tedeschi, in Normandia; ecc.).
Lo scenario è diverso persino da quello vietnamita, cioè da un contesto in cui un esercito tradizionale (dapprima francese, poi americano) ha dovuto fronteggiare un’armata di guerriglieri imprendibili e invisibili, che si guardavano bene dall’ingaggiare lo scontro in campo aperto, perché consapevoli della loro inferiorità tecnica. Nel caso del Vietnam (e degli altri contesti partigiani) lo scontro avveniva su un’area ben delimitata e aveva come posta in gioco il controllo di un dato territorio.
Il conflitto contro il terrorismo islamico, al contrario, è una guerra globale, priva di contorni precisi, planetaria: l’attacco dei militanti islamici, infatti, può colpire le città occidentali (New York, Londra, Madrid...), le ambasciate americane sparse nelle capitali di tutto il mondo, le località turistiche frequentate dai turisti europei o statunitensi (Bali, Sharm el Shaik). Infine, il terrorismo islamico ricorre molto frequentemente a soggetti disposti al suicidio. Tale atteggiamento è nuovo anche per i terroristi: i membri dell’OLP o delle Brigate Rosse che si lanciavano in un’impresa, sapevano di correre dei rischi, ma speravano di sopravvivere. Fin dall’inizio, invece, il militante islamico radicale cerca la morte, convinto di essere un martire.
Terzo mondo in lotta
L'islam radicale sunnita
Conflitti del dopoguerra, tra Novecento e Duemila
Assalto alle Torri gemelle
Distruzione delle torri gemelle