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CorpoJohn Fitzgerald Kennedy.
John Fitzgerald Kennedy (JFK) nacque nel 1917 a Brookline, un sobborgo di Boston prevalentemente abitato da americani bianchi, ma cattolici, perché discendenti da emigrati irlandesi. Considerata nella più vasta e globale storia degli Stati Uniti, la sua elezione a presidente, nel 1961, sarebbe già di per sé significativa: come Obama, eletto nel 2009, sarà ricordato come il primo presidente nero, così è importante sottolineare che JFK riuscì a raggiungere la Casa Bianca nonostante la sua origine cattolica e irlandese: il che lo distingueva da tutti gli altri presidenti del passato, di origine anglosassone e, quindi, di religione protestante. Giovane brillante, nel 1936 John si iscrisse all’università di Harvard e si laureò con una tesi sull’ appeasement, la discussa politica tenuta dalla Gran Bretagna nei confronti della Germania, negli anni Trenta, finalizzata a evitare a qualsiasi costo una nuova guerra mondiale. Nel 1941, JFK si arruolò volontario e partecipò a varie missioni di guerra nel Pacifico, ove ottenne numerosi riconoscimenti al valore. Entrato in politica subito dopo la fine del conflitto, nel 1952 divenne senatore.
Il presidente Kennedy e la moglie Jackie.
Nel 1953, J.F. Kennedy sposò Jacqueline Bouvier e la coppia divenne presto oggetto del morboso interesse dei fotografi e dei giornalisti dei rotocalchi. Il suo primo tentativo di farsi eleggere alla presidenza risale al 1956, ma il Partito democratico gli preferì altri candidati; la scelta del partito si rivelò sbagliata, in quanto l’elettorato confermò il repubblicano D. Eisenhower (che scelse come vicepresidente R. Nixon). Kennedy criticò severamente l’amministrazione repubblicana soprattutto su un punto: l’appoggio incondizionato che essa forniva alla politica francese in Algeria, cui veniva categoricamente negata la possibilità di diventare uno stato indipendente. Nel 1960, JFK ottiene la nomination democratica e sfida Nixon, candidato repubblicano. Per la sua elezione risulteranno determinanti vari fattori: il voto dei neri (in fermento, per ottenere un’autentica parità di diritti civili) e la televisione. Memorabili rimasero i numerosi dibattiti faccia a faccia tra Nixon e Kennedy, durante i quali il candidato democratico riusciva regolarmente a superare in appeal l’impacciato avversario repubblicano. Come vicepresidente, scelse Lyndon Johnson.
John Fitzgerald Kennedy e la moglie Jacqueline a New York.
Nel discorso pronunciato il 15 luglio 1960 di fronte alla Convention del partito democratico, Kennedy lanciò uno dei suoi slogan politici più fortunati: quello della Nuova frontiera. A suo giudizio, gli anni Sessanta ponevano delle sfide assolutamente inedite, prima fra tutte quella del clamoroso (e crescente) divario tra ricchi e poveri, sia all’interno degli Stati Uniti, sia nel mondo intero. Secondo Kennedy, rispetto al modello politico repubblicano (che, riprendendo le parole di H. Hoover, enfatizzava il ruolo dell’individuo e del fare da sé, in contrapposizione al modello socialista europeo) occorreva recuperare il più autentico e tipico dei valori dei padri fondatori della nazione americana: la comunità. «Questa sera sono rivolto a ovest, in quella che una volta fu l’ultima frontiera. Dalle terre che si estendono per tremila miglia dietro di me vennero i pionieri dei tempi andati che misero a repentaglio la loro sicurezza, la loro comodità e talvolta le loro stesse vite per costruire un nuovo mondo, qui all’Ovest… Il loro motto non era ciascuno per sé, ma era tutti per la causa comune… Oggi qualcuno dirà che quelle lotte sono tutte terminate, che sono stati esplorati tutti gli orizzonti, che sono state vinte tutte le battaglie e che non c’è più una nuova frontiera americana. Io invece… vi dico che la Nuova Frontiera è qui, che noi la cerchiamo oppure no. Al di là si trovano i territori inesplorati della scienza e dello spazio, i problemi irrisolti della pace e della guerra, le sacche non debellate dell’ignoranza e del pregiudizio, le questioni irrisolte della povertà e della sovrapproduzione… Io sono convinto che i tempi richiedono nuova inventiva, innovazione, immaginazione, decisione. Io qui chiedo a ciascuno di voi di farsi pioniere di quella Nuova Frontiera».
Copertina della "Domenica del Corriere" del 22 gennaio 1961, che raffigura il commiato dell'ex Presidente gen. Dwight Eisenhower da John Kennedy, che gli succede nella carica di Capo dello Stato.
Kennedy divenne presidente a 43 anni, il che lo identificò come il più giovane capo di stato della storia americana. Prestò giuramento il 20 gennaio 1861 e nel suo discorso rilanciò il principio della cittadinanza attiva, della partecipazione come vero fondamento della democrazia: «Concittadini d’America: non chiedetevi che cosa può fare il vostro paese per voi, chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro paese. Concittadini del mondo: non chiedetevi che cosa può fare l’America per voi, ma che cosa possiamo fare tutti insieme per la libertà dell’uomo». La prima importante azione di politica estera in cui si trovò coinvolto si risolse in un disastro. I servizi segreti statunitensi (la CIA) avevano infatti finanziato e organizzato una spedizione militare di fuoriusciti cubani, decisi a rovesciare il governo di Fidel Castro. Il 17 aprile 1961, in una località denominata Baia dei porci, sulla costa meridionale dell’isola, fu tentato uno sbarco, che però si risolse in un fallimento totale in quanto gli abitanti, che gli esuli pensavano si sarebbe ribellata, appoggiò il nuovo regime. In effetti, il nuovo governo aveva preso una serie di misure radicali che avevano suscitato ampio consenso; basti pensare che, oltre a una radicale riforma agraria finalizzata a riorganizzare la proprietà delle terre, il governo socialista si era distinto - nei suoi primi anni di vita - per una massiccia lotta all'analfabetismo, che nel corso del solo 1961 si ridusse, fra la popolazione, dal 25 al 4%.
Il presidente americano John F. Kennedy in visita al muro di Berlino nel 1963.
Nell’estate del 1961, il duello fra le grandi potenze ebbe come teatro Berlino. La causa di questa seconda crisi berlinese va ricercata soprattutto nel fatto che - dopo la repressione della protesta operaia del 1953 - un numero elevatissimo di tedeschi della Repubblica democratica emigrarono nella Germania occidentale. Dalle statistiche redatte dal Ministero degli Esteri della Repubblica Federale, risulta che nel solo 1953 si ebbero 306 000 espatri; in totale, invece, fra il 1949 (anno di fondazione della Repubblica democratica) e il 1961, i profughi furono circa 2 800 000. In genere, la fuga aveva come prima tappa Berlino ovest, facilmente accessibile dopo che i russi avevano riaperto le vie d’accesso terrestri bloccate nel 1948. Incapace di fermare questo fenomeno, che privava la Germania orientale di manodopera specializzata e qualificata, il governo comunista tedesco chiese ai sovietici l’autorizzazione a prendere drastici provvedimenti. Nacque così l’idea di porre, fra Berlino est e Berlino ovest, un’insuperabile barriera divisoria, il cosiddetto muro di Berlino, che divenne il simbolo fisico della divisione politica dell’Europa. L’operazione fu messa in atto all’una di notte del 13 agosto 1961: senza alcun preavviso, tutti i passaggi fra i due settori furono bloccati da filo spinato. In visita a Berlino Ovest, il 26 giugno 1963, Kennedy pronunciò uno dei più celebri discorsi di tutta la guerra fredda: «Ci sono molte persone al mondo che davvero non capiscono, o dicono di non capire, qual è la grande questione fra il mondo libero e il mondo comunista. Lasciate che vengano a Berlino. Ci sono alcuni che dicono che il comunismo è l'onda del futuro. Lasciate che vengano a Berlino. Ci sono alcuni che dicono in Europa e altrove che si può lavorare con i comunisti. Lasciate che vengano a Berlino. E ci sono persino alcuni pochi che dicono che è vero che il comunismo è un sistema malvagio ma ci permette progressi economici. Lasciate che vengano a Berlino... Tutti gli uomini liberi, ovunque vivano, sono cittadini di Berlino e, di conseguenza, come uomo libero, sono fiero di dire: Ich bin ein Berliner, Io sono un berlinese».
Il presidente J. F. Kennedy in un discorso pubblico.
La disastrosa spedizione nella Baia dei Porci, a Cuba, e la sfida del muro di Berlino, cui gli americani non seppero trovare una risposta adeguata, diedero l’impressione, all’energico e deciso leader sovietico Nikita Krusciov, che Kennedy fosse una figura più debole dei suoi predecessori, e che lo scenario fosse pronto per un’alterazione della situazione politica e strategica, a livello internazionale. Pertanto, nel 1962, i sovietici iniziarono la costruzione, a Cuba, di una serie di postazioni missilistiche, capaci di minacciare direttamente il vicino territorio americano. Tali installazioni furono scoperte dagli americani nel corso delle ricognizioni aeree compiute tra il 15 e il 18 ottobre 1962; ma Kennedy, a differenza di quanto sperava Krusciov, non accettò il fatto compiuto, senza reagire. In un discorso televisivo pronunciato il 22 ottobre, il presidente americano annunciò infatti che gli Stati Uniti avrebbero disposto un blocco navale al largo di Cuba, cioè fermato qualunque imbarcazione diretta all’isola caraibica e affondato tutte le navi che avessero rifiutato di arrestarsi.
Prima pagina del quotidiano La Stampa del 23 novembre 1963, che riporta la notizia dell'assassinio di John Fitzgerald Kennedy.
Colti di sorpresa dalla ferma risposta americana, i sovietici si resero conto che uno scontro armato con gli Stati Uniti non era mai stato così prossimo a esplodere, e che c’era la reale possibilità di una sua degenerazione in conflitto nucleare. Krusciov, pertanto, dapprima ordinò alle navi russe dirette a Cuba di diminuire la velocità o di invertire la propria rotta, e poi offrì agli USA di ritirare i missili, in cambio della solenne dichiarazione americana che gli Stati Uniti non avrebbero più tentato di invadere l’isola, al fine di rovesciare il regime di Castro. Per l’Unione Sovietica, si trattò di una capitolazione totale, che segnò l’inizio del declino del prestigio di Krusciov. Nel 1964, dopo esser stato accusato di aver condotto una politica estera troppo avventata e pericolosa, il leader sovietico fu obbligato a dimettersi dalla carica di segretario del Partito e a ritirarsi a vita privata. Il suo posto fu preso da Leonid Breznev, che avrebbe guidato l’URSS fino al 1982. Kennedy, l’altro protagonista della più grave e pericolosa crisi politico-militare del dopoguerra, fu invece assassinato a Dallas, in Texas, il 22 novembre 1963.
99 minuti dopo l’uccisione del presidente John F. Kennedy, Lyndon Johnson, nominato nuovo presidente degli Stati Uniti, presta giuramento a bordo dell’Air Force One. Al suo fianco Jackie Kennedy. 22 novembre 1963.
Dopo la morte di Kennedy, salì al potere il vicepresidente Lyndon Johnson, determinato a una politica più incisiva in Vietnam e disponibile a un totale coinvolgimento dell’esercito americano in Indocina. Non sappiamo (né, probabilmente, sapremo mai) la verità sull’uccisione di JFK. Innanzi tutto, non è chiara la dinamica dell’attentato: è molto improbabile, infatti, che il killer arrestato (Lee Harwey Oswald, ucciso a sua volta, in prigione, due giorni dopo l’attentato) abbia agito da solo. A maggior ragione, è praticamente impossibile individuare con precisione i mandanti. È possibile che l’idea dell’assassinio sia nata in ambienti razzisti, che non avevano tollerato la notevole spinta che il presidente aveva dato al processo di piena integrazione della minoranza afro-americana. Va comunque precisato che questa (come le numerose altre spiegazioni che sono state proposte nel corso degli anni) è una semplice ipotesi, e che ancora oggi non si è fatta piena luce su quel tragico avvenimento.
John F. Kennedy
J. F. Kennedy, il presidente della Nuova frontiera
Leadership e carisma nel Novecento
Kennedy in visita a Berlino
Discorso pubblico di Kennedy
Notizia dell'assassinio di Kennedy