SCOPRI I TEMI
SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE
Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo

![]()
Sc
Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo
CorpoManifesto di propaganda intitolato "Marciando verso la vittoria", che rappresenta Mao e i suoi seguaci mentre avanzano per affrontare i nazionalisti di Chang Kai-shek.
Nel luglio del 1921, un gruppo di intellettuali diede ufficialmente vita, a Shanghai, al Partito comunista cinese, che fu riconosciuto dalla Terza Internazionale. Sotto il profilo numerico, la nuova formazione marxista era una forza insignificante, così come minuscola (circa un milione e mezzo di individui) era la consistenza della classe operaia cinese. Altri intellettuali nutriti di idee comuniste, pertanto, si dedicarono capillare e sistematico a promuovere la rivoluzione nelle campagne. Tra i militanti che operavano fra i contadini, il più abile si rivelò Mao Tse-tung (1893-1976), il quale elaborò gradualmente una propria strategia politica e militare, che si rivelò vincente sulla lunga durata, ma all’inizio incontrò la netta ostilità sia del Partito cinese che dell’Internazionale. Mao ebbe fin dall’inizio una concezione militare e territoriale della lotta rivoluzionaria; a suo giudizio, per far vincere la rivoluzione comunista occorreva costituire un esercito rosso e conquistare militarmente una regione; da questa cellula sovietica iniziale, la lotta si sarebbe allargata progressivamente, con la forza delle armi, fino a coprire e conquistare l’intera Cina. Nel 1934, Mao dominava su un territorio rosso relativamente vasto, ma, in ottobre, l’esercito nazionalista costrinse circa 100 mila guerriglieri comunisti a fuggire, pena l’annientamento. In un primo tempo, questi fuggitivi, guidati da Mao e da Lin Biao, pensarono di spostarsi in qualche regione vicina, in modo da fondare un’altra base rossa nel sud della Cina. Nel gennaio 1935, però, il gruppo dirigente decise di intraprendere la cosiddetta lunga marcia, cioè di trasferire tutte le forze armate comuniste rimaste nel nord del Paese.
Confucio e Mao Tse-tung, fianco a fianco su di una bancarella, Qufu.
Nel 1945, al momento della resa dei giapponesi, nel nord della Cina Mao era riuscito a creare un potere rosso che si esercitava su circa 160 milioni di persone; l’esercito di Mao, invece, contava nelle su file circa un milione di guerriglieri. Lo scontro frontale con il governo riprese nel 1947, quando l’esercito nazionalista - sostenuto dagli USA - cercò di penetrare nelle regioni controllate dai comunisti. Ogni offensiva, tuttavia, fu respinta dai guerriglieri, che anzi riuscirono verso la fine del 1948 ad assicurarsi anche il completo controllo della Manciuria. Da quel momento, l’iniziativa militare passò ai comunisti, che riuscirono ad occupare, una dopo l’altra, tutte le principali città della Cina.
Il 1 ottobre 1949, a Pechino (che si era arresa il 31 gennaio) Mao Tse-tung proclamò la nascita della Repubblica popolare cinese, mentre il leader nazionalista Chiang Kai-shek si rifugiava nell’isola di Formosa (Taiwan).
Mao durante una vacanza sul lago Hangzhou, nel 1954.
Negli anni 1953-1957, la Cina comunista sperimentò il suo primo piano quinquennale, basato in tutto e per tutto sul modello economico staliniano. La priorità assoluta fu assegnata all’industria pesante, mentre i capitali necessari venivano ricavati dall’esportazione delle eccedenze di cereali; per incrementare la produzione agricola, del resto, nel 1956 si procedette alla collettivizzazione delle campagne, che avvenne in modo relativamente rapido e senza particolari resistenze da parte dei contadini. I problemi cominciarono a sorgere verso il 1957; la Cina infatti, negli anni Cinquanta, era ancora caratterizzata da una formidabile crescita demografica, che provocava un aumento annuo della popolazione (583 milioni secondo il censimento del 1953) pari al 2%. In questo contesto, l’agricoltura cinese non poteva svolgere contemporaneamente la duplice funzione di fornire capitali all’industria e di alimentare una popolazione in costante espansione. Analogamente, le terre non potevano essere utilizzate per la coltura di materie prime (cotone e tabacco, ad esempio) destinate all’industria leggera, perché tutte le aree disponibili dovevano essere adibite alla coltivazione di prodotti destinati all’alimentazione.
Un coro canta in onore di Mao durante una pausa dalla raccolta del grano vicino a Pechino. Luglio 1967.
Ignorando completamente i vincoli strutturali (di tipo pre-moderno) tipici dell’economia cinese, Mao lanciò nel 1958-1959 la parola d’ordine del grande balzo in avanti, che nella sua concezione avrebbe dovuto portare alla realizzazione del comunismo in tempi brevissimi. Secondo Mao (che sotto questo profilo, invero, ha poco in comune con Marx) le masse erano una specie di divinità onnipotente, capace di conquistare con un grandioso sforzo di volontà qualsiasi meta economica e sociale; di fatto, si può dire che Mao, in questi anni, inseguì un’utopia, convinto della sua realizzabilità, senza tenere in alcun conto il quadro reale della situazione cinese. Rispetto agli anni della pianificazione (1953-1957) modellata sull'esempio sovietico, il periodo del grande balzo fu caratterizzato da un notevole decentramento della gestione economica. Nel paese, infatti, sorsero le cosiddette comuni popolari, gigantesche entità collettive che comprendevano migliaia di famiglie (fino a 20 000) e costituivano le unità produttive di base dell’intero sistema economico e sociale. In una comune, tutto era compiuto in modo collettivo, a cominciare dai pasti, consumati in grandi mense. Inoltre, è importante sottolineare che gli abitanti di una comune svolgevano contemporaneamente moltissime attività, che andavano dalla coltivazione dei campi, all’addestramento militare, alla produzione di acciaio: a ogni unità, in effetti, erano stati assegnati dei piccoli altoforni, destinati a far sì (in teoria) che la produzione siderurgica raggiungesse i più elevati dei traguardi.
Mao Zedong attorniato da alcuni studenti. L'istruzione era fondamentale per il leader cinese: come ebbe a dire in un discorso "Liquidare l'analfabetismo che colpisce gran parte della popolazione è un compito importante per la Cina".
Il risultato dell’operazione denominata grande balzo in avanti, condotta negli anni 1958-1961, fu a dir poco drammatico. I contadini si trovarono sottoposti a ritmi di lavoro massacranti e, soprattutto, del tutto impossibilitati a curare contemporaneamente sia la produzione di acciaio (oltre tutto di pessima qualità e, quindi, affatto inservibile per qualsiasi uso industriale) sia il lavoro dei campi. Nel 1960, il raccolto di cereali risultò inferiore del 26% rispetto a quello del 1957, cioè pari a quello del 1950: in dieci anni (1950-1960), però, la popolazione era aumentata di circa 100 milioni di unità. Una carestia feroce e micidiale, pertanto, colpì l’intero paese, riproponendo uno scenario che l’Europa non conosceva più dalla metà del Settecento. «Nel momento in cui Gagarin si lancia nello spazio - scrive J.-L. Margolin - si ritrovano le devastazioni caratteristiche delle grandi crisi dell’ancien régime europeo, ma che qui colpiscono una popolazione pari, nel XVIII secolo, a quella del mondo intero: si hanno così miriadi di affamati che tentano di nutrirsi di poltiglie d’erba, di cortecce, di foglie di pioppo, che vagano per le strade alla ricerca di qualunque cosa commestibile. Le donne, sfinite, non riescono quasi più a concepire e mettere al mondo figli». È difficile fare un bilancio di questa apocalisse verificatasi in Cina negli anni 1958-1961; fonti ufficiali, nel 1981, ammisero la cifra di 13 milioni di morti. Secondo la maggioranza degli esperti occidentali, tuttavia, tale stima sarebbe molto lontana dal vero: le vittime della carestia, dunque, potrebbero essere 28 milioni (e forse anche molti di più).
Mao nel 1963.
Per uscire dalla crisi che aveva investito il paese a causa del grande balzo, i dirigenti comunisti concessero ai contadini la possibilità di coltivare in proprio appezzamenti di terreno più o meno estesi e di vendere liberamente i cereali prodotti su tali campi. Una tale politica economica era senza dubbio un passo indietro nel cammino verso il comunismo, in quanto di fatto introduceva di nuovo nel paese sia la proprietà privata sia il libero mercato. Sul piano politico e ideologico, inoltre, questa linea concreta, attenta più alle reali condizioni della Cina che alla costruzione dell’utopia, era un attacco frontale nei confronti di Mao, il cui prestigio fra i dirigenti comunisti cinesi, all’inizio degli anni Sessanta, aveva subito un pesantissimo colpo dopo il disastro del grande balzo. Mao Tse-tung, tuttavia, non accettò affatto di tirarsi indietro; al contrario, scelse di contrapporsi in modo frontale a tutti quei dirigenti - come Liu Shaoqi, presidente della Repubblica, e Deng Xiaoping, stretto collaboratore di Liu - che avevano imposto la fine del grande balzo. Trovando l’opposizione anche di gran parte dei quadri del Partito (consapevoli, a livello locale, delle drammatiche condizioni dell’economia cinese), Mao si rivolse alle nuove generazioni. Inoltre, Mao poteva contare sull’assoluta dedizione di Lin Biao; comandante supremo dell’Esercito, nel 1964 Lin Biao curò la pubblicazione di un piccolo testo (chiamato Libretto rosso) che raccoglieva passi dei discorsi e degli scritti più famosi di Mao, il cui pensiero, dallo stesso Lin Biao, venne definito come «una sorgente di forza inestinguibile, una bomba atomica spirituale di una potenza infinita».
In piena rivoluzione culturale cinese i membri di un comitato rivoluzionario di provincia dipingono slogan anticapitalisti. Ottobre 1967.
Il Libretto rosso divenne il testo di riferimento per le cosiddette Guardie rosse, termine che indicava una complessa e articolata rete di gruppi giovanili, concentrati nelle città e accomunati dal fatto di considerare Mao come una guida infallibile, capace di condurre in tempi brevi la Cina al comunismo. Ai loro occhi, tutto ciò che era legato al passato o ostacolava il rapido cammino verso il futuro doveva essere considerato reazionario e, di conseguenza, spazzato via senza pietà. La Rivoluzione culturale si attuò quando Mao decise di utilizzare questi giovani radicali, fanaticamente imbevuti del suo pensiero e disposti a tutti pur di instaurare l’utopia, per eliminare tutti i suoi avversari politici. La Rivoluzione culturale iniziò nelle università, quando nel maggio del 1966 gli studenti iniziarono ad attaccare i propri insegnanti, definiti spesso (nei grandi manifesti murali - o dazibao - che comparvero dapprima nell’ateneo di Pechino, e poi in tutti gli altri) «mostri e demoni»; questa vera e propria disumanizzazione dell’avversario restò una delle caratteristiche più importanti della Rivoluzione culturale, e spiega in larga misura l’ondata di violenze compiuta dalle Guardie rosse, nonché la loro sistematica volontà di umiliare con ogni mezzo i loro bersagli.
Mao a Pechino, agosto 1966.
Durante la Rivoluzione culturale, molti insegnanti e numerosi intellettuali, accusati di essere troppo legati alla cultura dell’Occidente capitalista e imperialista, furono ingiuriati, picchiati o addirittura uccisi. Qualche tempo dopo, iniziò l'attacco nei confronti dei dirigenti comunisti che si erano contrapposti a Mao: Liu Shaoqi venne incarcerato nel 1967 (e morì, a causa dei maltrattamenti subiti, nel 1969), mentre Deng Xiaoping fu costretto a ritirarsi dalla politica attiva. Tuttavia, il tentativo di eliminare i quadri del partito per sostituirli con elementi più determinati e rivoluzionari, cioè più legati alle posizioni di Mao, incontrò una forte resistenza, col risultato che la Cina, nel 1967, sprofondò in una vera guerra civile fra maoisti e antimaoisti. Mao stesso, a quel punto, temette che la situazione potesse sfuggire a ogni controllo e nel 1968 chiese l’aiuto dell’esercito, che riportò l’ordine in modo violento e brutale.
Sostenitori di Mao davanti all’ambasciata cinese a Londra, 1967.
Nel 1968, le Guardie rosse furono sciolte con la forza, molti giovani furono giustiziati e numerosissimi altri (più di 5 milioni) furono obbligati a trasferirsi e a lavorare nelle campagne, in modo da riportare la quiete e la normalità nelle città, che senza dubbio furono il teatro principale della Rivoluzione culturale. Di quest’ultima, in conclusione, non è facile tirare un bilancio; si può dire infatti che Mao, grazie ad essa, riuscì temporaneamente a imporsi come suprema guida della Cina comunista, eliminando dalla scena i concorrenti più pericolosi per il suo potere e il suo prestigio. D’altronde, la forza degli antimaoisti era tutt’altro che liquidata: anzi, l’entità dei problemi del paese (che Mao non era affatto in grado di risolvere) e la repressione delle Guardie rosse garantì loro la possibilità di risorgere e di riaffermare le proprie posizioni moderate e realistiche.
Il 9 settembre 1976 muore a Pechino il dittatore cinese Mao.
Il confronto fra radicali, decisi ad accelerare a qualunque costo la costruzione dell’utopia comunista, e moderati, attenti alle reali condizioni economiche e sociali della Cina, rimase una costante della politica cinese fino al 1976, anno della morte di Mao. Nella lotta per la successione, finì per imporsi la linea realistica e pragmatica, che trovò il proprio leader in Deng Xiaoping, emarginato al tempo della Rivoluzione culturale proprio per la sua moderazione. Il 1978, l’anno in cui Deng assunse stabilmente le redini del paese, è stato paragonato al 1956, cioè al momento in cui Krusciov, in Unione Sovietica, denunciò i crimini di Stalin; tuttavia, a differenza del leader russo (che fino all’ultimo aveva collaborato col dittatore sovietico), Deng poteva presentarsi come una vittima di Mao e quindi rompere col passato, almeno in campo economico e sociale, con maggiore determinazione.
Chiang Ching, moglie di Mao e leader della Banda dei Quattro mentre riceve la notizia della propria condanna a morte.
L’azione riformatrice di Deng Xiaoping incontrò l’opposizione di Chiang Chung (moglie di Mao) e di altri dirigenti, sprezzantemente denominati la Banda dei quattro e infine condannati a morte. Finalmente libero di agire, Deng si occupò in primo luogo delle campagne, ove negli anni 1982-1983 venne messa in atto la completa liquidazione della collettivizzazione attuata da Mao. Il gesto simbolico più significativo di tale intervento fu, nel 1984, la scomparsa delle comuni, mentre la famiglia tornò progressivamente ad essere l’unità produttiva di base. Inoltre, tolta una piccolissima quota versata allo Stato (che formalmente continua a essere il proprietario di tutta la terra) i contadini poterono vendere liberamente sul mercato i prodotti del loro lavoro. Dal 1978, i raccolti di cereali in Cina hanno dato risultati sempre migliori: il prodotto eccezionale del 1984 (407 milioni di tonnellate) è il simbolo stesso di questo spettacolare aumento di produzione.
Andy Warhol, Mao, 1972. Serigrafia su carta, 91,5 × 91,5 cm. New York, The Andy Warhol Foundation.
Deng Xiaoping affrontò in termini drastici il problema dell'incremento demografico; nel 1979, alle famiglie cinesi venne imposta la cosiddetta politica del figlio unico, che però incontrò forti resistenze nella popolazione. «Tutto permette di pensare - ha scritto la studiosa francese Marie-Claire Bergère - che i mezzi coercitivi sono largamente utilizzati dalle autorità cinesi, e che i 9 milioni di aborti (contro 18 milioni di nascite) testimoniati da certe fonti per l’anno 1984, non sono stati tutti liberamente accettati». In Cina, la donna è stata per secoli considerata inferiore all’uomo e quindi pesantemente discriminata. Negli anni Ottanta del secolo scorso, poiché molte famiglie desideravano che l’unico figlio permesso dalla legge fosse maschio, se prima di esso nasceva una bimba, spesso era uccisa in fasce. Per ovviare a questa diffusa tendenza, il governo ha dovuto permettere agli abitanti delle campagne (dove l’infanticidio delle femmine era più diffuso) di avere un secondogenito, se la prima nata era una bambina.
Deng Xiaoping si preoccupò di rilanciare la produzione industriale, per mezzo della concessione, alle singole imprese, di ampia autonomia e responsabilità diretta. In tutti i campi, gradualmente, la politica di Mao venne abbandonata: Mao divenne un mito, un’icona che, in pubblico, non fu demolita (come accadde, invece, a Stalin, in URSS). Il suo modello, la sua linea e il suo corso, però, furono completamente abbandonati: la Cina di Deng seguì strade completamente diverse.
Il ritratto di Mao Zedong in piazza Tiananmen a Pechino, settembre 2008.
Nel 1979, furono istituite alcune zone economiche speciali destinate ad accogliere gli investimenti stranieri. In pratica, verso la metà degli anni Ottanta, l’economia cinese era diventata mista, o meglio dualista, cioè caratterizzata da una presenza dello stato ancora molto significativa, e da un aumento continuo e costante del ruolo del libero mercato. Assumendo l’Unione Sovietica come paragone, si può affermare che Deng si è mosso in modo opposto rispetto a Gorbacev; questi, in effetti, ha proceduto con estrema lentezza in campo economico, mentre fin dall'inizio ha concesso maggiori libertà di espressione e di discussione. Deng, al contrario, a fronte di una liberalizzazione economica rapida e priva di rimpianti di tipo ideologico, non ha concesso nulla sul piano delle libertà e del potere. Anzi, il 4 giugno 1989, gli studenti che manifestavano a Pechino - nella stessa piazza Tien-an-men che negli anni Sessanta aveva visto i grandi raduni delle Guardie Rosse - furono oggetto di una violenta repressione da parte dell'esercito: un migliaio di giovani venne ucciso dai carri armati, mentre altri 30-40 mila furono arrestati.
Marciando verso la vittoria
Mao e la costruzione del socialismo in Cina
Leadership e carisma nel Novecento
Marciando verso la vittoria