SCOPRI I TEMI
SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE
Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo

![]()
Sc
Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo
CorpoIl boom economico in Italia: negli anni '60 moltissime persone possono permettersi un'automobile. Fiat 600.
Negli anni 1958-1963, l’Italia visse una straordinaria epoca di progresso produttivo e di radicali mutamenti sociali, che ricevette il nome di miracolo economico a causa della velocità e della forza con cui il processo si verificò, trasformando completamente il paese. In quegli anni, i tassi di incremento annuo della produzione toccarono livelli eccezionali: 6,37 (1959), 5,82 (1960), 6,81 (1961), 6,07 (1962).
I settori trainanti di questa straordinaria crescita produttiva furono numerosi e diversificati; al primo posto, ricordiamo la produzione di automobili, che già nel 1953 aveva visto la FIAT lanciare la 600, il modello che avrebbe segnato l’equivalente di ciò che la Ford T era stata negli USA degli anni Venti: una vettura economica, capace di trasformare la motorizzazione in un fenomeno di massa.
Il “treno del sole” porta i contadini del sud nelle fabbriche del nord Italia, 1961.
Insieme a quello automobilistico, un altro settore importantissimo per la crescita economica del paese fu quello della produzione di elettrodomestici, destinati sia all’esportazione che al consumo interno; «nel giro di cinque anni - ha scritto Valerio Castronovo - fra il 1959 e il 1963, la fabbricazione di autoveicoli quintuplicò salendo da 148 000 a 760 000 unità, i frigoriferi da 370 000 diventarono un milione e mezzo, le lavatrici passarono da 72 000 a 262 000 e i televisori (che erano non più di 88 000 nel 1954) a 634 000». Analogamente, la produzione di macchine da scrivere crebbe di quattro volte, mentre la fabbricazione di materie plastiche registrò un incremento di oltre quindici volte. Le ragioni che resero possibile il miracolo furono molteplici e complesse. Ricordiamo, innanzi tutto, che l’Italia disponeva di un enorme serbatoio di disoccupati in cerca di lavoro: il potenziamento della produzione, insomma, poté avvenire in un contesto di bassi salari, dovuti al fatto che l’offerta di manodopera era ancora molto superiore alla richiesta da parte delle industrie.
Nello stesso tempo, in Italia si registrò anche una progressiva sostituzione degli impianti a carbone con altri, decisamente meno costosi, a base di combustibili liquidi o gassosi derivati dal petrolio, che l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) riuscì a fornire in quegli anni a prezzi estremamente convenienti.
Stazione di Porta Nuova a Torino, 1971. Treno in partenza per il meridione: i migranti al nord tornano a casa per le vacanze.
Rispetto agli anni precedenti la guerra, l’industrializzazione uscì dall’area ristretta che aveva occupato in passato (quando era di fatto limitata al triangolo Torino-Milano-Genova): negli anni 1958-62, cioè, iniziò il decollo industriale anche di numerose altre zone, fino ad allora quasi esclusivamente agricole, un po’ in tutta la Valle Padana.
Il miracolo, comunque, fu un fenomeno essenzialmente settentrionale; pertanto, dopo aver attirato i contadini delle province circostanti, i grossi centri industriali attirarono un gran numero di emigranti dal sud dell’Italia. Sebbene sia difficile, soprattutto all’inizio del processo, fare calcoli precisi, è legittimo ritenere che oltre 900 000 persone abbiano abbandonato la loro residenza al sud per trasferirsi nelle regioni industrializzate del nord.
Il saluto di un migrante alla madre, in una stazione del meridione, 1961.
A metà degli anni Cinquanta, l’Italia era per molti aspetti un paese sottosviluppato: basti pensare che solamente il 7,4 per cento delle case italiane possedeva, nel 1951, l’elementare combinazione di elettricità, acqua potabile, servizi igienici interni.
L’agricoltura continuava a essere il più vasto settore di occupazione. Nel censimento del 1951, il 42,2 per cento della popolazione lavorativa rientrava nella categoria «agricoltura, caccia e pesca»; nel sud, la percentuale arrivava al 56,9 per cento. In meno di due decenni, l’Italia divenne una delle nazioni più industrializzate dell’occidente. «Nel 1951 l’Italia produceva appena 18 500 frigoriferi. Nel 1957 il numero era cresciuto fino a 370 000 e con il 1967 esso aveva raggiunto 3 200 000 unità, facendo dell'Italia il terzo produttore mondiale di frigoriferi, dopo gli Stati Uniti e il Giappone. Nello stesso anno l’Italia era anche diventata il maggior produttore europeo di lavatrici e lavastoviglie; la Candy produceva, ormai, una lavatrice ogni quindici secondi» (P. Ginsborg). Nel 1961, l’anno del censimento, gli occupati nell'industria avevano già raggiunto il 38 per cento della popolazione lavoratrice, mentre i lavoratori nel terziario erano il 32%.
L’occupazione nell’agricoltura era invece scesa notevolmente, e costituiva il 30% della forza-lavoro.
Immigrato scende dal "treno del sole" alla stazione di Torino Porta Nuova, con le valigie di cartone, in cerca di lavoro nelle fabbriche del Nord Italia, fotografia del 1961.
Negli anni 1958-1963, oltre 900 000 persone trasferirono la loro residenza dal sud ad altre regioni italiane. Nel 1958 i comuni del triangolo industriale (i cui vertici erano costituiti da Milano, Torino e Genova) registrarono 69 000 nuovi residenti provenienti dal Mezzogiorno. Nel 1962, questo numero balzò a 203 800 e nel 1963 rimase al livello assai alto di 183 000 unità. Puglia, Sicilia e Campania furono le regioni meridionali che, in termini assoluti, patirono la più elevata emorragia di popolazione. Questo flusso improvviso trasformò le più grandi città italiane. Il caso più impressionante fu quello di Torino, che assorbì una percentuale molto elevata dell’immigrazione meridionale, soprattutto quella delle province di Foggia, Bari e Reggio Calabria. La città aumentò dai 719 300 abitanti del 1951 a 1 124 714 del 1967. Tra il 1961 e il 1967 i ventitre comuni della zona circostante crebbero di oltre l'80%. Il flusso dal sud era così grande e continuo che, alla fine degli anni Sessanta, Torino era diventata la terza più grande città meridionale d’Italia dopo Napoli e Palermo.
Spago intorno ai bagagli di persone del sud, che aspettano il viaggio più lungo della loro vita, 1961.
In un primo momento, le relazioni fra gli abitanti delle grandi città industriali del Nord Italia e gli immigrati provenienti dal Sud furono tese e conflittuali. Per i nuovi arrivati, il primo e più serio problema era spesso quello dell’alloggio. Tuttavia, non era raro vedere sui giornali o sulle porte, all’inizio degli anni Sessanta, inserzioni e cartelli del tipo: Non si affitta ai meridionali. Tra nord e sud, le differenze culturali erano notevoli e si può dire che cent’anni di stato unitario non avevano cambiato molto le cose rispetto alla fine dell’Ottocento. In particolare, bisogna ricordare che solo nel corso degli anni Sessanta, grazie alla migrazione interna e, ancor più, alla televisione (che insieme all’automobile, al frigorifero e alla lavatrice divenne in breve tempo il simbolo stesso della società dei consumi) la lingua italiana era parlata solo da una ristretta minoranza di persone colte e scolarizzate. Mentre il tasso di analfabetismo era ancora molto elevato, l’uso domestico del dialetto era pressoché generalizzato nelle famiglie di bassa estrazione sociale.
Nord e Sud non erano tanto due regioni di un medesimo Stato nazionale, bensì due pianeti diversi. Anche se il fenomeno ebbe scala e caratteri diversi, il confronto con l’emigrazione che, a fine Ottocento, si era diretta verso l’America non è affatto arbitrario o eccessivo: le difficoltà linguistiche, i problemi di ambientazione (a cominciare dal clima) e i pregiudizi con cui i nuovi arrivati furono accolti sono del tutto simili.
Boom economico
Il miracolo economico e la migrazione dal Sud al Nord Italia
Il miraggio del benessere: i flussi migratori nel Novecento e nel Duemila
Treno in partenza per il sud