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CorpoIl Ministro inglese della Guerra Anthony Head e il Primo Ministro egiziano Nasser si stringono la mano dopo la firma del trattato di pace del 28 luglio 1954.
Nel 1949, l’Egitto uscì pesantemente sconfitto dalla prima guerra arabo-israeliana. Accusato di incompetenza, re Faruq, nel 1952, venne rovesciato da un gruppo di militari, che si definivano ufficiali liberi ed erano guidati da Gamal Abd-al Nasser. Non è facile descrivere con esattezza i caratteri del socialismo arabo, l’ideologia di Nasser; il problema più serio consiste nel fatto che le parole d’ordine e gli slogan non sempre corrispondono alla realtà effettiva. Nasser aspirava all’unità della nazione araba e assumeva, come avversario principale, l’imperialismo occidentale. Il socialismo arabo di Nasser, tuttavia, tentò in qualche modo di incidere sulla società egiziana, come emerge dal fatto che, nei primi anni del loro governo, gli Ufficiali liberi procedettero a una parziale riforma agraria; la misura era necessaria in quanto, nel 1952, «meno dello 0,5% dei proprietari terrieri possedeva un terzo del terreno coltivabile, mentre il 72% dei coltivatori possedeva meno di un feddan (circa un acro) a testa, il che corrispondeva al solo 13% delle terre» (Peter Mansfield).Il nuovo regime fissò, per la proprietà fondiaria, il limite massimo di 200 feddan; tuttavia, le misure prese nei confronti dei latifondisti non furono per nulla radicali e veramente rivoluzionarie. Per tutte le terre espropriate, infatti, i proprietari furono indennizzati tramite la concessione di titoli di stato; il limite massimo, inoltre, fu esteso a 300 feddan per tutti coloro che fossero padri di due o più figli. Di conseguenza, da distribuire fra i contadini risultò disponibile solo il 10% del totale delle terre, molte delle quali restarono di proprietà dello stato, che semplicemente si sostituì ai latifondisti nello sfruttamento dei contadini più poveri e dei braccianti agricoli.
Che Guevara (a sinistra) al Cairo con Nasser (al centro) e il suo primo ministro Ali Sabri (a destra).
A partire dal 1956, Nasser tentò di dare allo stato un ruolo ancora più decisivo e centrale nella guida dell’economia nazionale; lo strumento principale per raggiungere tale scopo avrebbe dovuto essere la costruzione di una grande diga sull’Alto Nilo, nei pressi di Assuan, da cui ci si attendeva sia un aumento del 30% dell’area coltivabile che la produzione dell’energia elettrica necessaria al decollo e allo sviluppo dell'industria egiziana. Per finanziare questa colossale impresa, l’Egitto chiese un prestito di 200 milioni di sterline alla Banca mondiale, la quale accettò di concederlo solo a condizione che Stati Uniti e Gran Bretagna, a loro volta, prestassero all’Egitto 70 milioni di sterline. La politica estera di Nasser, tuttavia, nel suo orientamento nazionalista, ostile alle potenze coloniali europee e al loro alleato americano, si era già proiettata nella direzione di un rapporto cordiale e amichevole con l’Unione Sovietica: nel 1955, infatti, l’Egitto aveva stipulato un accordo con la Cecoslovacchia per la vendita di riso e cotone, in cambio di aerei e carri armati di fabbricazione russa. Allo scopo di far retrocedere Nasser da questa sua recente scelta di appoggiarsi al blocco comunista, gli Stati Uniti rifiutarono ogni credito e ogni aiuto tecnico all'Egitto; d’altronde, poiché la diga di Assuan era diventata una specie di simbolo del prestigio sia della nazione che del nuovo regime, Nasser non poteva rinunciare al progetto.
L'incontro al Cairo fra Hussein, Gheddafi, Arafat e Nasser, per porre fine al conflitto in Giordania fra la monarchia e i palestinesi dell'OLP, 1970.
Brandendo a un tempo le parole d’ordine rivoluzionarie del socialismo e del nazionalismo arabo, il 26 luglio 1956 (quarto anniversario della rivoluzione degli Ufficiali liberi) Nasser annunciò ad Alessandria, di fronte a una folla osannante, la nazionalizzazione della compagnia internazionale che gestiva il traffico navale attraverso il canale di Suez. L’obiettivo di Nasser era, a un tempo, economico e politico; in assenza dell’aiuto americano, la diretta gestione del canale avrebbe fornito le risorse necessarie alla realizzazione della diga di Assuan. Tuttavia, poiché la compagnia apparteneva per il 50% al governo britannico e per il 44% ad azionisti privati francesi, il gesto di Nasser assunse, soprattutto, la valenza di una sfida all’occidente colonialista e sfruttatore. Da quel momento, fra le masse del Medio Oriente, Nasser divenne una specie di eroe, di figura carismatica che indicava alla nazione araba la strada della riscossa e della vittoria.
Francia e Gran Bretagna decisero di rispondere con la forza alla provocazione di Nasser; innanzi tutto, presero contatti con Israele e concordarono un’operazione militare congiunta. Così, il 29 ottobre 1956, l’esercito israeliano lanciò una grande offensiva nella penisola del Sinai, occupandola senza difficoltà; a quel punto, il giorno 1 novembre, l’aviazione inglese e francese bombardò gli aeroporti egiziani, mentre un contingente di paracadutisti occupava Porto Said, all’estremità settentrionale del canale. Francia e Gran Bretagna si appellarono al trattato anglo-egiziano del 1954, in base al quale le potenze europee avrebbero potuto occupare la regione di Suez qualora essa fosse stata minacciata da uno stato intenzionato a bloccare la navigazione lungo il canale. Si trattava, evidentemente, di un pretesto, di una semplice copertura, dal punto di vista del diritto internazionale, di quella che era stata progettata, invece, come una vera e propria spedizione punitiva, finalizzata a ridimensionare le mire e le intenzioni anti-imperialiste di Nasser.
Nasser visita il fronte di Suez durante la guerra di logoramento, 1967.
L’operazione militare condotta da Francia e Gran Bretagna contro l’Egitto, nel 1956, venne apertamente disapprovata non solo dall’Unione Sovietica, ma anche dagli Stati Uniti, che minacciarono di sospendere ogni aiuto economico all’Inghilterra, che era uscita esausta dalla seconda guerra mondiale e aveva ancora bisogno del sostegno finanziario americano. Le truppe dei tre paesi nemici dell’Egitto, pertanto, dovettero ritirarsi. Per Nasser, l’umiliazione militare si trasformò in un grande successo politico: alle masse arabe, egli poté presentare l’Egitto come l’unica forza in grado di contrastare l’imperialismo occidentale e il sionismo. Nasser, però, sottovalutò il rischio che una simile immagine pubblica comportava: sull’Egitto, le masse dell’intero Medio Oriente cominciarono a riversare speranze del tutto sproporzionate rispetto alle possibilità effettive del paese. Per non deludere le aspettative di quelle masse, l’Egitto nasseriano, negli anni Sessanta, si trovò costretto a elevare sempre più il tono della propria politica estera: trascinato in una sorta di spirale inarrestabile, Nasser fu spinto ad assumere posizioni sempre più estremistiche e aggressive, che dovevano infine portarlo, nel 1967, allo scontro diretto con Israele e alla completa disfatta. Per il mondo arabo, la guerra dei sei giorni fu una sconfitta assai più umiliante e pesante di quella del 1948: oltre ai territori del Sinai e al blocco del canale di Suez, il solo Egitto subì la perdita di 10 000 soldati uccisi e 12 000 prigionieri, a fronte di appena 700 morti israeliani. Nasser, considerandosi il principale responsabile della catastrofe, rassegnò le proprie dimissioni. È vero che il popolo egiziano, in questa tragica circostanza, si mostrò solidale col suo leader; Nasser, pertanto, continuò a guidare l’Egitto fino alla propria morte, nel 1970: il nasserismo, invece, dalla guerra dei sei giorni subì un colpo fatale, da cui non doveva più riprendersi.
Trattato di pace
Nasser, il combattente arabo
Leadership e carisma nel Novecento
Hussein, Gheddafi, Arafat e Nasser