SCOPRI I TEMI
SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE
Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo

![]()
Sc
Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo Titolo
CorpoManifesto inglese che invita al reclutamento nell’esercito per la grande guerra.
In tutti gli stati d’Europa, lo scoppio delle ostilità venne accolto, nell’estate del 1914, con euforia, con entusiasmo, con un eccezionale trasporto emotivo che tutti i protagonisti menzionano nei loro ricordi. Persino i partiti socialisti dei vari paesi appoggiarono la scelta dei loro rispettivi governi, quando questi presero la drammatica decisione di entrare nel conflitto.
Negli anni precedenti il 1914, a più riprese, la Seconda Internazionale aveva solennemente proclamato che i lavoratori avrebbero osteggiato con ogni mezzo lo scoppio di una guerra europea; e i governi, da parte loro, avevano preso molto sul serio quelle minacce dei socialisti, al punto che in Francia la polizia aveva predisposto un elenco di esponenti politici e di sindacalisti di sinistra da arrestare imimagestamente, in caso di guerra, prima che potessero organizzare scioperi o altre forme di boicottaggio della mobilitazione della nazione.
Nell’agosto del 1914, in nessun paese fu necessario ricorrere a simili misure poliziesche, in quanto i socialisti si affrettarono ovunque ad allinearsi, cioè ad approvare l’ingresso in guerra del proprio Paese. Solo piccoli gruppi minoritari, in Russia e in Germania, si opposero alla guerra: per il resto, la grande maggioranza dei socialisti dimenticò il principio marxista secondo cui la solidarietà dei proletari non conosceva confini, e accettò di identificarsi in tutto e per tutto con la difesa della singola patria.
Nel 1914, tra le due grandi idee-forza che avevano caratterizzato l’Ottocento – la Nazione e la Classe – la prima prese di gran lunga il sopravvento sulla seconda, temporaneamente cancellata dall'orizzonte politico.
Campagna per la sottoscrizione del prestito nazionale Georges Goursand: In nome del Trionfo, aderite al prestito nazionale, 1917.
Divenuta sempre più complessa col progredire della industrializzazione, la società moderna è profondamente diversificata, stratificata, per non dire lacerata da conflitti di interesse e da contrasti di ogni genere fra gruppi sociali differenti. Per un momento, invece, apparvero improvvisamente irrilevanti tutte le distinzioni politiche e sociali valide fino agli istanti imimagestamente precedenti il conflitto.
Lo scoppio della guerra generò, per così dire, una sorta di miracolo emotivo, suscitando un rinnovato senso della comunità nazionale: dimenticati temporaneamente tutti i contrasti, i tedeschi (ma il discorso vale, identico, per i francesi, gli inglesi, gli austriaci, ecc.) si percepirono come una realtà omogenea, chiamata a combattere una comune battaglia e ad affrontare un comune destino.
Le differenze reali e concrete (di condizione sociale e di ricchezza, ad esempio) non erano affatto abolite, ma solo trascese e superate dal sentimento, da una sorta di intuizione mistica comune a tutti i cittadini.
Nella posteriore esperienza storica nazista, l’agosto 1914 resterà un modello, e il Partito si sforzerà di ricreare in continuazione quell’atmosfera satura di entusiasmo patriottico e di spiritualità nazionale, capaci di elevarsi dai grezzi problemi materiali (la divisione della società in classi contrapposte) alle sublimi vette della lotta per il trionfo del popolo germanico su tutti gli altri.
Le grandi parate e le maestose liturgie di massa svolgeranno, negli anni Trenta, proprio questa funzione aggregante, questo ruolo di trasformazione di tanti individui socialmente differenti (e, quindi, potenzialmente aperti al conflitto reciproco) in un unico organismo vivente e compatto: il popolo tedesco.
Manifesto che reclamizza i prestiti di guerra nazionali.
Il 2 agosto 1914, determinato ad attaccare di sorpresa Parigi, da Nord, il governo di Berlino intimò al Belgio di lasciar passare le truppe tedesche sul suo territorio. L’invasione tedesca del Belgio assunse imimagestamente caratteri di estrema brutalità e spietatezza, ampiamente sfruttate dalla propaganda dei nemici della Germania (Francia, Inghilterra e Russia). In effetti, la resistenza della popolazione belga fu domata imagesnte il sistematico ricorso alla fucilazione di ostaggi. Sui muri di Liegi, ad esempio, il 22 agosto venne affisso il seguente proclama, firmato dal generale von Bulow: «La popolazione di Andenne, dopo aver manifestato intenzioni pacifiche nei confronti delle nostre truppe, le ha attaccate nel modo più proditorio. Con la mia autorizzazione il generale comandante ha ridotto in cenere la città e fatto fucilare 110 persone».
Una strage ancora più terribile fu perpetrata, il giorno dopo, a Dinant, ove le autorità tedesche, accusando la popolazione civile belga di aver sparato sui soldati che riparavano un ponte, uccisero per rappresaglia 612 uomini, donne e bambini.
La grande città di Lovanio, addirittura, alla fine di agosto fu devastata e saccheggiata per cinque giorni di seguito. Insieme alle violenze in Belgio, fu ampiamente sfruttato dalla propaganda dei nemici della Germania anche l’uso militare del gas, che venne per la prima volta sperimentato dai tedeschi nei pressi della città belga di Ypres, il 22 aprile 1915. In quella prima occasione, l’effetto della nuova arma fu devastante, ma ben presto ci si accorse che il gas era ben poco affidabile, che poteva essere molto pericoloso persino per chi lo lanciava e che, comunque, non era l’arma risolutiva che si era sperato. Per quanto la propaganda dipingesse sempre più i tedeschi come barbari, assassini e distruttori, il gas venne poi usato ampiamente anche da inglesi e francesi.
Manifesto di propaganda tedesco del 1917 per raccogliere fondi in favore dei soldati impegnati sulla terra e sul mare.
La prima importante battaglia della prima guerra mondiale iniziò il 5 settembre 1914 nella zona del fiume Marna, a circa 40 chilometri da Parigi: dopo quattro giorni di furiosi combattimenti, entrambi gli eserciti rimasero privi di munizioni.
La guerra assunse allora la propria fisionomia definitiva: i due schieramenti si attestarono lungo una linea, che percorreva longitudinalmente l’intera Francia (dal Mare del Nord fino al confine con la Svizzera) e che ricevette il nome di fronte occidentale.
Materialmente, si trattava di due interminabili (circa 765 km) file di trincee, che correvano una in parallelo all’altra ed erano separate da uno spazio più o meno ampio a seconda dei settori – poteva in effetti occupare dai 200 ai 1000 metri – chiamato la terra di nessuno.
La condizione dei soldati si fece ben presto drammatica; immersi nel fango e divorati dai pidocchi, nei momenti di relativa quiete, quando dovevano lanciarsi all’attacco affrontavano una artiglieria moderna di potenza inaudita, capace di provocare gravi shock e traumi psichici fortissimi anche in chi non era colpito e aveva subito ferite di lieve entità, mentre fucili e mitragliatrici decimavano i reparti a cui era stato ordinato di avanzare.
La capacità difensiva di ogni esercito, nella prima guerra mondiale, era infinitamente superiore alla sua capacità di attacco e di penetrazione. La situazione di stallo, sul fronte occidentale, nacque da questa sproporzione: si era capaci di respingere l'offensiva altrui, provocando al nemico gravissime perdite, ma per lo stesso motivo non si riusciva a sfondare, cioè a travolgere le difese dell’avversario.
Manifesto che invita gli inglesi a diminuire i consumi durante la guerra, per non aiutare i tedeschi.
All’inizio dello scontro, nessuno dei contendenti aveva previsto che la guerra sarebbe stata così lunga, esigente e costosa; nessuno inoltre possedeva, nel 1914, un’economia attrezzata per sostenere una lotta di lunga durata. Già nell’autunno del primo anno di guerra - dopo che la prospettiva di una soluzione rapida era sfumata - emerse con chiarezza che la vittoria sarebbe stata ottenuta da chi fosse stato capace di reggere a tempo indeterminato i costi materiali e le sofferenze provocate dal conflitto. In pratica, come la guerra civile americana, anche la prima guerra mondiale assunse i contorni di una guerra di logoramento, che vedeva contrapposti non solo due eserciti, bensì due apparati produttivi, o meglio due sistemi sociali, impegnati a garantire agli eserciti stessi le risorse umane e materiali indispensabili per continuare a combattere.
Fin dall’ottobre del 1914 il capitano G.B. Pollard, scrivendo a casa, mostrò di aver intuito che tipo di guerra si stava preparando: «Si tratta con assoluta certezza di una guerra di logoramento come qualcuno ha detto l’altro giorno, e noi dovremo perseverare più a lungo dell’altra parte e continuare a procurarci uomini e denaro e mezzi finché quelli abbandoneranno il campo; e questo è tutto, almeno per come la vedo io». In tutti i paesi impegnati nel conflitto (che, dal maggio 1915, coinvolse anche il Regno d’Italia), trovarono ampia diffusioni manifesti di propaganda che esortavano ad arruolarsi, a resistere, a limitare i consumi (perché la maggior parte delle risorse potessero essere destinate all’esercito e alla produzione bellica) e a sopportare le sofferenze di ogni genere che il prolungarsi a tempo indeterminato del conflitto provocava a civili e militari.
Manifesto di propaganda tedesco per raccogliere fondi in favore dei soldati mutilati di guerra.
Per quanto riguarda il reclutamento di uomini, è impressionante il caso della Germania, ove si arrivò a toccare la quota di 11 milioni di uomini mobilitati.
Le difficoltà maggiori di reclutamento furono sperimentate dalla Gran Bretagna, l’unico paese europeo a non possedere, nel 1914, la coscrizione obbligatoria. All’inizio della guerra, la Gran Bretagna poté schierare solo 50 000 uomini, mentre l’esercito austro-ungarico comprendeva 3 milioni di soldati, quello francese 4 milioni, quello tedesco 4 milioni e mezzo, quello russo quasi 6 milioni. Col protrarsi del conflitto, fu necessario anche per l'Inghilterra aumentare i propri effettivi, che toccarono la quota di 2 675 000 alla fine del 1915; questi soldati erano tutti volontari, in quanto solo il 5 gennaio 1916 fu presentata alla Camera dei Comuni una proposta di legge per istituire il servizio di leva, al fine di arruolare altri due milioni di soldati. All’inizio della guerra, per poter entrare nell’esercito un volontario doveva raggiungere quasi 1,80 m. di statura. L’11 ottobre 1914, il bisogno di uomini era già tale che il livello era stato abbassato a poco più di 1,72. E il 5 novembre, dopo che le perdite avevano ormai toccato la quota dei 300 000 uomini, fu sufficiente 1,67.
A partire dall’estate del 1914, la marina britannica istituì un rigido blocco navale, finalizzato a paralizzare il commercio di importazione tedesco. In pratica, si voleva impedire l’arrivo, nei porti del nemico, di tutte le materie prime necessarie per la produzione bellica. A causa della carenza di fertilizzanti, in Germania, il raccolto del 1916 fornì la metà del grano ottenuto nel 1913.
La razione giornaliera di pane, per ogni individuo, scese ad appena 170 grammi: moltissimi tedeschi, soprattutto nelle città, nell’inverno 1916-17 furono costretti a nutrirsi quasi esclusivamente di rape.
La mortalità infantile, rispetto al 1913, salì del 50%, mentre almeno 700 mila persone morirono per denutrizione.
Manifesto tedesco di propaganda del 1918 che mostra uno stormo di aerei mentre bombarda un complesso industriale.
Impossibilitata a contrastare la marina inglese, la Germania intraprese la cosiddetta guerra sottomarina, che sul piano militare si rivelò la più efficace risposta tedesca al blocco navale britannico.
I sommergibili germanici procedettero al sistematico siluramento di tutte le navi che solcassero l'Atlantico e il Mare del Nord; l’obiettivo era quello di arrestare l'afflusso di materie prime e di derrate alimentari dirette in Inghilterra, esattamente come quest'ultima impediva l’arrivo di ogni merce in Germania per mezzo del blocco navale. Su entrambi i fronti, la prima guerra mondiale si orientò decisamente nella direzione della guerra totale, che non fa più differenza tra civili e militari, in quanto la distruzione dell'apparato produttivo del nemico è importante quanto una vittoria sul campo. Durante la seconda guerra mondiale, questo aspetto tipico dei conflitti moderni sarebbe stato portato a livelli ancora più forti e drammatici; la differenza fondamentale, tra i due eventi, va ricercata nello sviluppo dell’aviazione, che nella guerra 1914-18 non era ancora in grado di svolgere bombardamenti su vasta scala. Londra, è vero, fu attaccata diverse volte, sia dai dirigibili Zeppelin che da grossi aerei bimotori chiamati Gotha; i danni e le vittime civili provocati da tali incursioni, però, non sono assolutamente paragonabili a quelli dei massicci bombardamenti che, negli anni 1940-1945, avrebbero investito le città inglesi, tedesche o giapponesi.
Campagna di arruolamento nella Prima guerra mondiale: una lavoratrice per ogni combattente, 1918.
Tra il 1914 e il 1918, considerate insieme, Francia, Inghilterra e Germania mobilitarono almeno 27 000 000 di uomini; la Russia, da parte sua, ne convocò almeno altri dieci, nel periodo in cui partecipò al conflitto contro l’impero tedesco. In Francia, fu inquadrato nell’esercito più del 60% dei lavoratori maschi.
La partenza per il fronte di questi milioni di giovani e di uomini adulti incentivò l’occupazione femminile in maniera assolutamente nuova rispetto al passato. Nel 1914, in Inghilterra, la manodopera femminile rappresentava il 24% dell’intera forza lavoro impiegata; nel 1918, era salita al 38% del totale. In Francia, che già prima della guerra aveva un elevato numero di donne lavoratrici (32%), la quota percentuale toccò il 40% del totale dei lavoratori verso la fine del 1917. Improvvisamente, a tantissime donne fu dunque offerta una libertà di movimento e una indipendenza economica impensabili prima del 1914. Tuttavia, nei paesi in cui risultò necessario ricorrere al lavoro femminile, subito dopo la fine delle ostilità si provvide a una rapida e brutale smobilitazione delle operaie impegnate nell’industria bellica. Per moltissime donne lavoratrici, la guerra fu un mutamento solo provvisorio e superficiale, una specie di parentesi, incapace di incidere davvero sulla situazione nel suo complesso.
Manifesto di propaganda tedesco del 1917 che chiede a tutte le donne di collaborare alla causa comune donando i propri capelli.
È senz’altro esagerato affermare che la prima guerra mondiale ha rivoluzionato i rapporti fra i sessi; anzi, al contrario, si può persino affermare, sotto un certo profilo, che il conflitto ha svolto un ruolo negativo, cioè ha rafforzato la situazione tradizionale. Pur avendo portato milioni di donne fuori di casa, nelle fabbriche e negli uffici, prima di tutto la guerra ribadì l’immagine dell’uomo guerriero, combattente ed eroe.
Il conflitto fu visto e vissuto da milioni di maschi come una sorta di banco di prova della loro virilità; la vita in trincea, la lotta in prima linea e il fatto di trovarsi quotidianamente esposti al diretto contatto con la morte (esperienza che le donne, ovviamente, non avevano vissuto) spinse molti maschi a pensare che la comunità maschile degli ex-combattenti fosse una specie di élite, che aveva il diritto di assumere il ruolo di classe dirigente, al di sopra di tutti coloro che non avevano vissuto le tempeste d’acciaio.
Negli anni Venti, molti di questi ex-combattenti avrebbero aderito al fascismo o al nazionalsocialismo. Ai loro occhi, l’emancipazione femminile e il sovvertimento dei tradizionali ruoli sessuali divenne un pericoloso attentato all’ordine sociale e all’armonia della comunità nazionale, né più né meno della rivoluzione comunista.
Manifesto di propaganda rivolto alle truppe. Roma, Museo Centrale del Risorgimento.
Il 1917 fu un anno decisivo su tutti i fronti e in tutti i Paesi.
A Berlino, in aprile, circa 200 000 operai scesero in sciopero, chiedendo per la prima volta, in modo esplicito, l’apertura delle trattative di pace.
Il 27 maggio 1917, 30 000 soldati francesi abbandonarono le trincee e si trasferirono di propria iniziativa nelle retrovie.
Il primo giugno, a Missy-aux-Bois, un reggimento di fanteria si impadronì della città e proclamò di voler dare vita ad una specie di contro-governo, che avrebbe posto fine alla guerra. Quando le autorità militari francesi si mossero per porre fine all'ammutinamento, si resero conto di dover dosare con estrema intelligenza repressione inflessibile e interventi finalizzati a migliorare le condizioni di vita dei soldati al fronte. Quattrocento uomini furono condannati a morte: 50, di questi, furono effettivamente fucilati, mentre gli altri vennero invece inviati ai lavori forzati. Nel medesimo tempo, però, furono concessi alle truppe periodi di riposo più lunghi, mentre tutti i progetti di offensiva vennero rinviati, nella consapevolezza che nuovi e costosi assalti alle trincee tedesche avrebbero potuto provocare, invece dello sfondamento del fronte nemico, il completo collasso, per ammutinamento, di quello francese.
In Italia, l’offensiva austro-tedesca nella regione di Caporetto ebbe conseguenze drammatiche per l’esercito italiano. Nei giorni seguenti il 24 ottobre 1917, gli italiani ebbero perdite per 11 000 morti, 30 000 feriti, 300 000 prigionieri, 3 000 cannoni e 300 000 fucili.
L'esercito italiano fu costretto a ritirarsi disordinatamente, incalzato dai nemici, per circa 140 km: solo lungo la linea del fiume Piave fu possibile ricostruire un efficace sistema difensivo.
Cartolina postale del 1916 di invito ad uno sforzo collettivo per raggiungere vittoriosi la fine della guerra. L’Italia vestita del mantello tricolore mostra a un plotone di bersaglieri la vittoria. In calce la frase "Tutti sanno che sono in giuoco la sicurezza e l’onore, la vita e l’avvenire della nazione: e tutti sono pronti a qualsiasi sforzo occorra perché, in questo periodo tragico della storia umana, l’Italia scriva una pagina degna del suo passato, delle sue tradizioni e della sua missione nel mondo".
In occasione della disfatta di Caporetto, la propaganda italiana si impegnò come mai aveva fatto in precedenza per esortare i soldati a resistere e spingere la popolazione civile a sopportare l’eccezionale peso della guerra.
Nell’agosto del 1917, due mesi prima di Caporetto, si erano infatti verificati dei gravi tumulti a Torino proprio a causa della carenza di pane e farina; per reprimere la rivolta, fu necessario fare uso di autoblindo e di mitragliatrici, che provocarono 50 morti e più di 200 feriti. Era evidente che l'Italia, per continuare la guerra, doveva rafforzare il proprio fronte interno, cioè evitare che il malcontento diffuso fra le masse, per l'aumento del costo della vita e per la carenza di generi di prima necessità, toccasse il punto di non ritorno, che era già stato superato in Russia nel febbraio del 1917 e che sarebbe stato raggiunto anche in Germania, nel novembre del 1918.
Il crollo della Russia era stato provocato dal fatto che, nelle città russe il costo della vita, rispetto al livello prebellico, era cresciuto del 700%; i salari nominali degli operai delle industrie, tra il 1913 e il 1917, vennero triplicati, ma rimasero comunque al di sotto dei prezzi, che aumentavano senza posa. Per di più, mancavano i più elementari generi di prima necessità (pane, legna, carbone), cosicché la fame e il freddo, nei centri urbani, si facevano prepotentemente sentire.
Nel febbraio/marzo 1917, tale drammatica situazione provocò la caduta dello zar e la creazione di un governo provvisorio, che tentò di continuare la guerra e di lanciare una nuova offensiva. Al contrario i comunisti – guidati da Lenin – proclamarono a gran voce che, se fossero stati al potere, avrebbero imimagestamente posto fine al conflitto e stipulato una pace separata con la Germania. Nell’ottobre/novembre 1917, il disordine e il caos in Russia erano talmente elevati, da permettere a Lenin di effettuare con successo un colpo di stato a Pietrogrado.
Cartolina postale che attribuisce la rivoluzione del 9 novembre 1918 (e quindi la sconfitta della Germania, nella prima guerra mondiale) agli ebrei. Germania, anni Venti.
I primi sintomi del crollo tedesco si verificarono nella base navale di Kiel, sul Baltico, ove tremila marinai della flotta da guerra si ammutinarono il 3 novembre, lo stesso giorno in cui l’Impero Austro-ungarico, ormai stremato, si era arreso. Nei giorni seguenti, si unirono ai primi ribelli i 20.000 soldati della guarnigione di Kiel e i marinai dei porti di Lubecca e Amburgo.
Le rivolte di Monaco (7 novembre) e di Berlino (9 novembre) provocarono infine l'abdicazione del Kaiser Guglielmo II, la sua fuga in Olanda e la proclamazione della Repubblica.
L’11 novembre 1918, alle 5.30, la delegazione tedesca firmò l’armistizio con le potenze alleate: alle 11.00 dello stesso giorno, la prima guerra mondiale era ufficialmente terminata, dopo aver provocato la morte di almeno 9 milioni di soldati e di circa 5 milioni di civili.
La Germania era stata sconfitta perché non aveva retto il peso di un’imponente guerra di logoramento, che nel 1917 l’aveva vista, praticamente sola, contro il resto del mondo. Secondo Adolf Hitler e vari altri estremisti di destra, i nemici dell’impero tedesco avevano potuto vincere solo perché sostenuti nel loro sforzo dal denaro dei grandi banchieri ebrei. Secondo una visione parallela e complementare dei tragici eventi del novembre 1918, era invece colpa del marxismo se la Germania aveva perso la guerra: il popolo tedesco, ancora unito nel grande momento dell’agosto del 1914, era stato via via intossicato dalla propaganda dei comunisti (manovrati, a loro volta, dagli ebrei), che erano riusciti a dividerlo di nuovo e a fiaccarne l’energia combattiva.
La guerra, secondo Hitler e altri nazionalisti, non era stata persa sul campo, ma per il cedimento del fronte interno, per colpa della rivoluzione che - secondo loro - aveva pugnalato alle spalle l’esercito ancora imbattuto.
Invito al reclutamento
La propaganda di guerra nella prima guerra mondiale
Scontri e conflitti ideologici nel Novecento
Prestiti di guerra nazionali
Manifesto di propaganda tedesco del 1917 per raccogliere fondi in favore dei soldati impegnati sulla terra e sul mare.
Fondi in favore dei mutilati
Manifesto tedesco di propaganda
Invito allo sforzo collettivo