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CorpoMigliaia di soccorritori impiegano le loro forze per cercare di recuperare ancora qualche sopravissuto, dopo l'attentato terroristico dell'11 settembre alle Torri Gemelle.
L’11 settembre 2001, due aerei di linea dirottati da terroristi distrussero due tra i più alti e prestigiosi grattacieli di New York (le cosiddette torri gemelle del World Trade Center), schiantandosi contro di esse e provocando 2817 morti accertati. Lo stesso giorno, un terzo aereo si schiantò contro il Pentagono, a Washington; un quarto avrebbe probabilmente dovuto colpire la Casa Bianca, ma la reazione dei passeggeri (che grazie ai telefoni cellulari avevano già saputo quanto era accaduto a New York) provocò la caduta dell’aereo in una zona priva di centri abitati. I luoghi attaccati rappresentavano i simboli più prestigiosi della potenza americana: economica (New York), militare (Pentagono), politica (Casa Bianca). I sospetti degli americani si rivolsero imimagestamente in direzione degli ambienti islamici più fanatici e radicali. In particolare, il principale indiziato fu il miliardario arabo Osama Bin Laden, che si era recato personalmente a combattere in Afghanistan contro i sovietici e aveva finanziato con il suo denaro la guerriglia dei talebani contro i musulmani moderati. Servendosi del suo enorme patrimonio (circa 900 milioni di dollari), Osama Bin Laden aveva messo in piedi nel 1998 il Fronte internazionale islamico per la guerra santa contro gli ebrei e i crociati, primo passo per la creazione di una potentissima organizzazione terroristica chiamata Al Qaeda (La base), responsabile degli attentati che nel 1998 distrussero le ambasciate americane in Kenya e in Tanzania, provocando 224 morti. Poiché Bin Laden, al momento dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, si trovava proprio in Afghanistan, il paese fu pesantemente bombardato nell’autunno 2001 e infine occupato dall’esercito americano.
Attentato terroristico alle Twin Towers. New York, 11 settembre 2001.
Il primo bombardamento americano contro le forze dei talebani in Afghanistan ebbe luogo il 7 ottobre 2001. Pochi giorni prima, era stato consegnato a Taysir Alluni, corrispondente a Kabul della televisione araba al-Jazira un video contenente un messaggio registrato in cui Bin Laden chiamava ipocriti i sovrani dell’Arabia Saudita ed esortava tutti i veri musulmani alla guerra santa contro gli Stati Uniti: «Ecco che l’America è stata colpita da Dio in uno dei suoi punti nevralgici e sono stati abbattuti i suoi due più grandi edifici, Dio sia lodato e ringraziato. E ora l’America tutta, da Nord a Sud, da Est a Ovest, si è riempita di paura; Dio sia lodato e ringraziato. Quello che l’America ha assaggiato oggi è molto meno di quanto noi abbiamo assaggiato per decine di anni… Io dico che questi eventi hanno spaccato il mondo intero in due trincee: quella della Fede senza Ipocrisia, e quella degli Infedeli, che Dio protegga noi e voi da loro. Bisogna quindi che ogni Musulmano si dedichi a sostenere la sua Religione. Soffia il vento della Fede, soffia il vento del cambiamento per eliminare la menzogna dalla Penisola di Muhammad. Quanto all’America, dico a lei e al suo popolo poche parole: giuro su Dio Supremo che da solo ha innalzato i cieli, che né l’America né coloro che vivono in America possono sognare la sicurezza finché tutti noi non potremo vivere in una reale sicurezza in Palestina, e finché tutti i soldati infedeli non siano usciti dalla Terra di Muhammad. Dio è Grande, gloria all’Islam. La pace, la misericordia e la benedizione di Dio siano su di voi».
Attentato alle Torri Gemelle, 11 settembre 2001: mentre la Torre Sud crolla, centinaia di persone in preda al panico corrono in cerca di scampo, New York.
La nuova guerra al terrorismo, che è iniziata dopo l’11 settembre 2001, appare completamente diversa rispetto ai conflitti del passato. Nella grande maggioranza dei casi, i conflitti precedenti vennero combattuti tra stati sovrani, diretti da un’autorità visibile e riconoscibile. Per infliggere danni all’avversario, si tentava di colpirne il territorio e distruggerne le città, mentre la vittoria era conseguita quando la capitale del nemico era espugnata e il suo governo chiedeva la resa o era rovesciato. Si prendano, ad esempio, il secondo conflitto mondiale e la guerra fredda. Nel primo caso, la vittoria divenne totale quando i russi ebbero conquistato Berlino: e poiché Hitler si era suicidato, il nuovo governo chiese la resa incondizionata. Nel caso della guerra fredda, l’equilibrio resse perché entrambi i contendenti temevano che il proprio territorio, colpito da testate nucleari, avrebbe subito danni di gravità irreparabile. Al contrario, come scrive lo studioso francese Gilles Kepel, considerato uno dei maggiori esperti del mondo musulmano contemporaneo, nel caso del terrorismo islamico il nemico «non dispone di alcun confine effettivo che lo delimiti territorialmente. Lo spazio dell’islamismo contemporaneo non è né finito, né chiuso». In questa nuova situazione, insomma, non c’è nessuna Berlino da espugnare o Mosca da minacciare con armi nucleari.
Una formazione di caccia.
La nuova guerra al terrorismo, iniziata dopo l’11 settembre 2001, appare completamente diversa rispetto ai conflitti del passato, per il fatto che il terrorismo islamico non dispone di un esercito, nel senso convenzionale del termine. Contro i suoi militanti, non è possibile ingaggiare una battaglia campale, come quelle che hanno dominato la scena storica, dall’antichità (greci contro persiani, a Maratona; romani contro cartaginesi, a Canne; ecc.) fino alla seconda guerra mondiale (tedeschi contro sovietici, a Stalingrado; anglo-americani contro tedeschi, in Normandia; ecc.).
Lo scenario è diverso persino da quello vietnamita, cioè da un contesto in cui un esercito tradizionale (dapprima francese, poi americano) ha dovuto fronteggiare un’armata di guerriglieri imprendibili e invisibili, che si guardavano bene dall’ingaggiare lo scontro in campo aperto, perché consapevoli della loro inferiorità tecnica. Nel caso del Vietnam (e degli altri contesti partigiani) lo scontro avveniva su un’area ben delimitato ed aveva come posta in gioco il controllo di un dato territorio.
Il conflitto contro il terrorismo islamico, al contrario, è una guerra globale, priva di contorni precisi, planetaria: l’attacco dei militanti islamici, infatti, può colpire le città occidentali (New York, Londra, Madrid...), le ambasciate americane sparse nelle capitali di tutto il mondo, le località turistiche frequentate dai turisti europei o statunitensi (Bali, Sharm el Shaik).
Giovanissimi aspiranti kamikaze.
La nuova guerra al terrorismo, iniziata dopo l’11 settembre 2001, appare completamente diversa rispetto ai conflitti del passato. In effetti, il terrorismo islamico ricorre molto frequentemente a soggetti disposti al suicidio. Con la parziale eccezione dei kamikaze giapponesi (aviatori che si lanciavano coi loro aeroplani, contro le navi americane, durante la seconda guerra mondiale) le guerre condotte fino ad ora partivano dal presupposto che entrambi i contendenti volessero salvare la propria vita. Anzi, secondo alcuni studiosi di tattica militare, le battaglie del passato spesso sono state decise a livello psicologico, in caso di parità tecnica. Al tempo di Napoleone, due schieramenti si sparavano addosso, fino a quando uno dei gruppi non fuggiva. Il crollo, però, avveniva in genere non tanto per le perdite subite davvero, ma perché i soldati non reggevano più lo stress dell’esposizione al rischio di essere colpiti. Tutto questo, ovviamente, non vale nel caso dell’attentato suicida. Tale atteggiamento è nuovo anche per i terroristi: i membri dell’OLP o delle Brigate Rosse che si lanciavano in un’impresa, sapevano di correre dei rischi, ma speravano di sopravvivere. Fin dall’inizio, invece, il militante islamico radicale cerca la morte, convinto di essere un martire.
Gli aerei FA-18 Hornet a bordo della portaerei Usa Constellation nel Golfo.
I terroristi di Al Qaeda si concepiscono come i veri seguaci di Maometto, investiti del compito di far rinascere la potenza dell’islam dopo secoli di umiliazioni subite da parte dell’occidente. Inoltre, essi si considerano come gli unici autentici musulmani: i governanti dei principali stati arabi, invece, sono accusati di essere degli ipocriti e degli apostati. In particolare, uno dei bersagli primari di Bin Laden è la famiglia reale che detiene il potere in Arabia Saudita.
Fin dal 1924, qui era nato il primo stato islamico, la cui legislazione era integralmente ispirata alla legge coranica: ancora oggi, ad esempio, le donne non possono neppure guidare l’automobile. Tuttavia, nel corso del tempo, per ragioni economiche e politiche, l’Arabia Saudita si è progressivamente legata agli Stati Uniti, al punto da permettere ai soldati statunitensi di organizzare sul suo territorio le basi logistiche da cui lanciare l’offensiva contro Saddam Hussein, nel 1991, per liberare il Kuwait. Per Bin Laden, questa concessione, il fatto di aver permesso agli empi occidentali di metter piede sul sacro suolo della penisola araba, è un delitto imperdonabile. Non a caso, ben 15 su 19 dei terroristi che parteciparono all’attentato dell’11 settembre erano cittadini sauditi: è il segno del fatto che l’islamismo radicale, in questo paese, è fortemente radicato e disponibile a tutto.
Attentato di Madrid: 11 marzo 2004, scoppiamo delle bombe sui treni dei pendolari che vanno a scuola e al lavoro a Madrid. I vagoni sono sventrati dalle esplosioni, sui binari ci sono morti, feriti sopravvissuti.
Secondo Bin Laden, gli attentati dell’11 settembre 2001 avrebbero dovuto dimostrare che l’America era vulnerabile e molto più debole di quanto gli arabi non pensassero; galvanizzati dalla grande vittoria dell’11 settembre, le masse arabe (primi fra tutti i sauditi) avrebbero dovuto (nelle intenzioni di Bin Laden) ribellarsi ai loro governanti corrotti e venduti agli occidentali, rovesciarli e insediare dei governi islamici. Allora, forti della presenza del petrolio nel loro sottosuolo, i popoli musulmani avrebbero riacquistato quella potenza che avevano avuto nei primi secoli dopo la rivelazione ricevuta dal Profeta. La storia, per così dire, avrebbe riacquistato la sua vera e corretta direzione, con i musulmani al vertice della gerarchia, e i nemici dell’islam (sprezzantemente chiamati, da Bin Laden «gli ebrei e i crociati») ridotti al rango di subordinati.
Perquisizione di un palestinese per verificare che non porti esplosivo.
Nella propaganda di Al Qaeda, la liberazione della Palestina occupa un posto molto maggiore a quello che occupava nel pensiero degli ideologi dell’islam radicale operanti negli anni Sessanta e Settanta. A quel tempo, la lotta contro Israele era lo strumento di propaganda privilegiato dei governi arabi nazionalisti; all’inizio del nuovo secolo, Bin Laden è riuscito ad impadronirsi di questo formidabile veicolo di mobilitazione delle masse: la distruzione dello stato di Israele sarà un altro inevitabile effetto del rinnovato trionfo dell’islam che (nelle intenzioni di Bin Laden) avrebbe dovuto iniziare grazie al sacrificio dei martiri dell’11 settembre.
Un gruppo di marinai della portaerei USA George Washington in navigazione nel Golfo Persico controllano i missili che armano i cacciabombardieri, 2003.
La nuova guerra al terrorismo, iniziata dopo l’11 settembre 2001, è completamente diversa rispetto ai conflitti del passato. Sebbene questa idea sia ampiamente condivisa, in Europa, a livello di giornalisti, studiosi e commentatori, negli Stati Uniti molti consiglieri del presidente americano George W. Bush (che vinse una prima volta le elezioni nel 2001, qualche mese prima del clamoroso attentato, e poi fu rieletto alla Casa Bianca nel 2004) mostrarono invece di avere un parere affatto diverso. Questi uomini erano stati fortemente influenzati dalla corrente intellettuale detta neoconservatrice, secondo cui la vittoria americana sul comunismo era il segnale evidente della superiorità morale degli Stati Uniti. Secondo il giudizio dei neoconservatori, il quadro strategico del Medio Oriente non era per nulla diverso da quello della guerra fredda: ancora una volta, infatti, da una parte stava il bene (gli Stati Uniti), dall’altra il male, che poteva sopravvivere solo se alimentato da uno o più stati canaglia, che proteggevano i terroristi. Sfruttando al massimo e al meglio il proprio grandioso potenziale militare, gli Stati Uniti avrebbero potuto abbattere tutti i regimi che sostenevano i terroristi. Secondo i neoconservatori, se l’attacco fosse stato portato fino in fondo, con quella radicalità e determinazione che invece, a loro giudizio, non era stata usata al tempo della guerra in Vietnam, il nuovo nemico dell’America avrebbe potuto essere sconfitto con relativa facilità.
Un militare inglese addetto al controllo dei missili che armano i Tornado in una base del Kuwait, 2003.
Nel 2003, i consiglieri neoconservatori di Bush lo persuasero che quello di Saddam Hussein era il principale stato canaglia del Medio Oriente. Eliminato Saddam, l’intera regione avrebbe accettato di collaborare con gli americani, garantendo soprattutto una regolare fornitura di petrolio alle potenze industrializzati, a prezzi ragionevoli. Per ottenere il consenso dell’opinione pubblica, il governo americano organizzò una forte campagna di informazione televisiva, finalizzata a dimostrare che Saddam Hussein possedeva (o era in procinto di fabbricare) numerose armi di distruzione di massa, non esclusi gli ordigni nucleari. In realtà, negli anni seguenti, è emerso con chiarezza sia che Saddam non aveva stretto legami con Bin Laden, sia che non possedeva alcuna delle terribili armi addotte dal governo americano a pretesto per l’invasione. L’attacco all’Iraq iniziò ufficialmente il 20 marzo 2003. La guerra vera e propria è stata vinta con estrema rapidità e facilità: il 1 maggio, il presidente americano dichiarò ufficialmente chiuse le operazioni militari.
Un armiere americano verifica i missili da caccia F-18, 2003.
Anche se gli americani, nel 2003, invasero con estrema facilità l’Iraq, entrarono a Baghdad e quindi vinsero la guerra (nel senso tradizionale del termine), non controllarono affatto l’il paese, che è divenuto teatro di una guerriglia sanguinosa quanto infinita. Per quanto la cosa riuscisse incomprensibile ai neoconservatori, gli iracheni non si comportarono affatto come gli italiani, i tedeschi o i giapponesi che, nel 1945, si diedero imimagestamente una costituzione democratica (nel caso di Tokio, di fatto, stesa dagli stessi americani). Al contrario, frange consistenti della società irachena iniziarono a combattere contro gli americani e i loro alleati, sia pure per ragioni diverse e spesso contrastanti. Tra i nemici degli occidentali impegnati in Iraq, al primo posto troviamo ovviamente i terroristi di al Qaeda, che approfittarono della confusione creata dalla guerra per infiltrarsi nel paese, mentre in precedenza i rapporti tra il laico Saddam Hussein e l’integralista Bin Laden erano stati praticamente nulli. Oltre ad attaccare le truppe americane, gli integralisti islamici hanno proceduto al rapimento e all’uccisione di numerosi europei presenti in Iraq per ragioni di lavoro o in qualità di giornalisti. Spesso, la vittima è stata sgozzata o decapitata, come un animale, in segno di disprezzo; l’esecuzione, poi, in molti casi è stata ripresa e il video è stato inviato a uno o più televisioni arabe. Inoltre, il 12 novembre 2003 fu portato un sanguinoso attacco alla base dei soldati italiani di stanza a Nassirya, provocando 28 morti (19 italiani e 9 iracheni).
Le truppe italiane erano state inviate in Iraq dal governo di centro-destra, presieduto da Silvio Berlusconi, convinto sostenitore della linea tenuta dal presidente americano Bush.
Alcune vittime dell'attentato avvenuto sabato 5 luglio 2003 a un concerto rock, Mosca.
Nel 1991, la Cecenia, una regione ricca di petrolio, tentò di rendersi indipendente dalla Russia. Dopo una dura repressione dell’esercito di Mosca, i ceceni più radicali assunsero posizioni simili a quelle dell’estremismo islamico mediorientale e iniziarono una spietata campagna di azioni terroristiche.
Il 23 ottobre 2002, ad esempio, un commando ceceno, del quale facevano parte anche varie donne, prese in ostaggio 800 spettatori in un grande teatro di Mosca; dopo 58 ore di assedio, la polizia riuscì a risolvere la situazione, ma il gas usato per neutralizzare i terroristi provocò la morte anche di 120 ostaggi. Ancora più odioso l’episodio verificatosi l’1 settembre 2004 a Beslam, nella regione russa della Ossezia del Nord, allorché 33 terroristi catturarono 1200 persone all’interno di una scuola. L’attacco delle forze speciali russe provocò la reazione dei terroristi, col risultato che sono morte varie centinaia di persone (tra cui, come minimo, 150 bambini).
Attentato alle Torri Gemelle
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Le guerre del dopoguerra, tra Novecento e Duemila
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