STORIOGRAFIAIL RAZZISMO E L’IMPERO DEL BENE
Vignetta di Victor Gillam del 1899 che mostra il “fardello dell’uomo bianco”: la Gran Bretagna e gli Stati Uniti portano sulle proprie spalle i popoli sottomessi verso la civilizzazione.Il destino manifesto
è il titolo del saggio scritto da Anders Stephensons ed analizza l’idea che gli Stati Uniti hanno di essere una «nazione eletta», destinata a rigenerare il mondo. Un ruolo svolto dagli USA con grande impegno negli interventi politici, diplomatici, economici di altri paesi, giustificati con «l’avanzata della libertà e della civiltà», cioè, secondo il loro punto di vista, con l’affermazione dell’«impero del bene». Il «destino manifesto» dunque altro non è che il mito razzista e nazionalista degli Americani. Il concetto di razza pervadeva ogni ambito della società ed era avvalorato dall’affermazione del discorso scientifico (o pseudoscientifico). Poteva indicare qualsiasi cosa, da un particolare gruppo linguistico all’intera umanità; ma in generale si trattava di una categoria essenzialista, utilizzata per descrivere i caratteri intrinseci di un dato gruppo, in particolare degli “anglosassoni”, dai quali si riteneva emanasse la maggior parte delle cose buone: “In tutte le cose che rendono grande un popolo la supremazia degli angloamericani e l’elemento preminente della nostra epoca”. Lo stesso istinto razziale che aveva condotto gli ariani fuori dall’Asia centrale (oppure gli anglosassoni fuori dalle foreste tedesche) stava adesso portando i loro discendenti americani verso la costa del Pacifico: “L’aspirazione razziale a essere una grande nazione”. A questa aspirazione si doveva pertanto ubbidire. Intervenendo, per esempio, sull’annessione delle Hawaii nel 1898, il deputato del Missouri Charles F. Cochran la celebro come “semplicemente un altro passo nell’avanzata della libertà e della civiltà” e “nella conquista del mondo da parte delle razze ariane”. Con tono trionfante e suscitando l’applauso del Congresso, aggiunse che “il regno degli ariani, per mezzo della giustizia, della ragione e dell’instaurazione della libertà, penetrerà in ogni angolo abitabile del pianeta”, perché “l’avanzata della razza indomabile che ha fondato questa repubblica” non avrebbe potuto essere fermata; si trattava della ≪razza che prima o poi imprimerà l’impronta del suo genio e il marchio della sua coscienza su tutte le civiltà del mondo≫. Le altre razze, viceversa, erano o pericolose o non idonee. Alla prima categoria appartenevano i vigorosi Slavi, con i quali si prevedeva una futura resa dei conti. Alla seconda categoria, ritenuta in declino, appartenevano praticamente tutti i gruppi non europei (e spesso gli Europei di origine “latina”). I neri americani venivano generalmente classificati come stranieri. Il senatore della Virginia John Proctor, il cui discorso al Senato sulle tremende condizioni umane a Cuba aveva convinto molti a entrare in guerra, pronuncio questo eloquente avvertimento, una volta che le ostilità furono cessate: “Evitiamo l’errore criminale fatto in passato, quando con sconsiderata liberalità abbiamo concesso il supremo privilegio della libertà anglosassone a una razza analfabeta e straniera, che stava soltanto allora emergendo dalla schiavitù, un privilegio inestimabile che i nostri padri hanno raggiunto solamente dopo secoli di costante sviluppo delle proprie capacita, e abbiamo impedito, in questo modo, l’assegnazione dei diritti di voto alla base del criterio del livello di istruzione, applicabile in maniera uniforme ai bianchi e ai neri”.
Il presidente William McKinley. Cosi, dunque, la continua espansione delle leggi razziali istituite a livello statale contro i neri (gli “incapaci” interni) si saldava, dal punto di vista logico, con la necessita di tenere al loro posto gli stranieri assoggettati fuori dal paese. L’assunzione del controllo di territori extracontinentali era una novità, che sollevava inevitabilmente una serie di questioni spinose. Innanzitutto, essa appariva notevolmente simile al colonialismo ovvero all’imperialismo europeo: idea non facilmente digerita in una ex colonia. Come dichiarato solennemente da McKinley
1, l’imperialismo era “estraneo alla tempra e al popolo libero e magnanimo”, era, cioè, “opposto al sentimento, al pensiero e allo scopo dell’America”. Si tento, perciò, di dargli qualche altro nome: impero della pace, impero dell’amore, impero dell’intelletto, impero della libertà e altre formulazioni poetiche. Un’altra strategia, collegata alla prima, fu quella di istituire una distinzione fra il colonialismo illuminato britannico e tutte le altre forme di colonialismo fondate sulla forza. Come dimostrato in India e altrove, gli Inglesi avevano “già realizzato in maniera meravigliosamente perfetta” il tipo di “impero democratico” che gli Americani erano adesso “destinati a creare”. Perciò, in quanto appartenenti alla medesima stirpe anglosassone e futuri “collaboratori nell’opera di civilizzazione”, gli americani avrebbero cercato di emulare gli Inglesi, trasformando il colonialismo in una forma di tutela, in una preparazione all’auto-governo repubblicano da istituire, quando fosse arrivato il momento adatto in un futuro più o meno prossimo. Si poteva persino definirlo “nuovo imperialismo”, dal momento che era “destinato a diffondere in tutto il mondo i principi della pace e della giustizia, della libertà e della legge anglosassoni”.
Quando effettivamente inizio l’attività di amministrazione delle colonie, gli osservatori dovettero compiere notevoli sforzi per riuscire a distinguere la dominazione americana dalla precedente dominazione spagnola. Non fu sempre una cosa semplice. Nelle Filippine, per esempio, le forze statunitensi trovarono utile imitare la politica spagnola dei reconcentrados, deportando i contadini in “villaggi strategici” fortificati (per usare l’espressione usata in una guerra più recente), cioè proprio la politica adottata dagli Spagnoli a Cuba anni prima, che aveva causato scandalo umanitario negli Stati Uniti e che era stata un’importante ragione dell’entrata in guerra. Ma la somiglianza era solamente apparente: “Tanto gli Stati Uniti quanto la Spagna hanno chiuso i loro reconcentrados in riserve; ma l’analogia finisce qui. La Spagna li ha fatti morire di fame; gli Stati Uniti hanno speso milioni di dollari per nutrirli. La Spagna ha negato loro ogni accesso alla civiltà e ogni formazione alla libertà; gli Stati Uniti hanno speso ogni anno milioni di dollari nelle scuole per istruirli e per prepararli a diventare cittadini di una repubblica libera”.
In questo disegno del 1899 apparso sul giornale “Puck” di New York si vede lo Zio Sam, simbolo degli Stati Uniti, che civilizza i nuovi alunni chiamati con i nomi dei territori recentemente annessi: Filippine, Hawaii, Porto Rico e Cuba.C’erano anche quelli che non avevano remore ad abbracciare il colonialismo puro e semplice, ritenendolo una cosa buona e niente affatto incompatibile con la democrazia di casa propria. Che una nazione presumibilmente fondata sull’idea che “tutti gli uomini sono creati uguali” potesse ora dominare popolazioni assoggettate non costituiva una difficoltà concettuale. Una volta classificate come incapaci o infantili, queste popolazioni potevano venire inserite nella stessa categoria degli esclusi di casa propria, categoria che comprendeva le donne, i neri e gli indiani. A questo proposito, ci si poteva direttamente ispirare a una lunga esperienza interna, cioè alla gestione delle popolazioni indiane assoggettate. La domanda che attraversa tutto il XIX secolo era stata quella di come classificarle: erano dentro o fuori gli Stati Uniti? L’interessante risposta fu regolarmente: nessuna delle due cose, perché, nonostante il graduale ridimensionamento, il loro status di nazioni indipendenti non rese, comunque, mai possibile la loro inclusione e la concessione della cittadinanza. Una volta definite nel 1831 in termini di “nazioni interne dipendenti”, poterono essere governate come sudditi e non come cittadini. Alla fine del XIX secolo la loro posizione legale venne declassata a quella di comunità locali dipendenti, bisognose di un controllo protettivo, di una tutela e di una guida, che dovevano venire garantite dal Federal Bureau of Indian Affairs
2, il quale, in realtà, esercitava una sovranità assoluta. Questo edificante esempio fu, dunque, della massima utilità, perché rese più semplice la concettualizzazione tanto degli stranieri quanto dei territori, che venivano ritenuti sia interni sia esterni agli Stati Uniti. Sino ad allora, lo status di ≪territorio≫ aveva costituito una tappa preparatoria verso l’elevazione a Stato dell’Unione, per quanto in realtà, il New Mexico dovette attendere molto tempo per via della sua popolazione. Ma era difficile immaginare da un punto di vista spaziale e da un punto di vista culturale che le Filippine, lontane migliaia di miglia e con una popolazione di milioni di persone, potessero mai diventare uno stato dell’Unione; persino i più accesi teorici della supremazia razziale anglosassone non riuscivano proprio a prevedere quando questa popolazione meticcia si sarebbe ridotta o sarebbe scomparsa. Cosi, Puerto Rico e le Filippine finirono ingegnosamente per essere tanto dentro quanto fuori, Cuba divenne formalmente indipendente, mentre le Hawaii, nonostante la presenza maggioritaria di stranieri, vennero elevate a Stato quarant’anni dopo.
(Fonte: A. Stephanson,
Il destino manifesto. L’espansionismo americano e l’impero del bene, Feltrinelli)
1 William McKinley (1843-1901) fu governatore dell’Ohio e presidente degli Stati Uniti per il partito repubblicano nel 1897, fu riconfermato in carica nel 1901 ma venne ucciso da un anarchico subito dopo la sua elezione.
2 Il Bureau of Indian Affairs era un ente creato nel 1789 dal governo degli Stati Uniti per trattare con le tribù indiane.
Comprendere- Quali espressioni indicano l’idea di superiorità razziale che gli Americani avevano di loro stessi?
- In quali circostanze politiche le autorità statunitensi espressero il convincimento di essere superiori?
- Come risolsero gli Stati Uniti la contraddizione tra la loro politica (imperialista e nazionalista) e l’ideologia liberal-democratica di cui si facevano paladini?
- Che cosa intendevano costruire gli Americani nei territori in cui il paese ha optato per un intervento militare?
- Come venne gestito il rapporto con le comunità indiane, all’interno degli Stati Uniti?
- Come venne gestito il rapporto con Puerto Rico, Cuba, le Filippine e le Hawaii?
Contestualizzare- Qual è la contraddizione di fondo che e all’origine del razzismo americano?
- Dopo l’abolizione della schiavitù, sorse il Ku Klux Klan: che tipo di organizzazione era?
- Verso quali territori gli USA esercitarono una politica imperialista?
Rielaborare, discutere, reinterpretare
L’idea di fondare un “impero del bene” e ancora oggi uno dei fondamenti della politica estera americana? Pensi che nel concetto moderno di “esportazione della democrazia” ci sia la stessa idea del “destino manifesto”?