STORIOGRAFIAIL CONCETTO DELLA RIVOLUZIONEDal punto di vista lessicale il termine rivoluzione è definito in modo preciso come «movimento diretto a provocare mutamenti radicali dell’ordine», ed è dunque collocabile entro il paradigma del cambiamento e della rottura; dal punto di vista dell’analisi storica però il concetto di rivoluzione si colloca in modo problematico tra i paradigmi della rottura e della continuità. Lo storico Bruno Bongiovanni analizza il concetto di rivoluzione a partire da queste due diverse categorie. Continuità o rottura dunque? Se la rottura è indubbiamente il fenomeno più perspicuo e di macroscopica evidenza, il paradigma della continuità è tuttavia presente, con giudizi di valore e intenti diversi, in tutti i dispositivi teorici. […] Persino gli attori e i protagonisti hanno cercato nel passato prossimo – la rivoluzione americana – o remoto – la pólis greca o la repubblica romana – grandi esempi cui rifarsi. […] Se dunque a tutti, in un modo o nell’altro, e per tutte le rivoluzioni […] dietro alle quinte della magniloquente scenografia della rottura rivoluzionaria, appare il fantasma della continuità, un fantasma che inevitabilmente, tra l’altro, finisce con il rifornire di senso storico l’intera vicenda, una domanda in qualche maniera drammatica sorge spontanea. Se vi è continuità, se il senso complessivo è rintracciabile solo studiando il passato e vedendone gli intimi legami con il presente, perché c’è stata rivoluzione, perché la rottura rivoluzionaria si è verificata e si verifica? Le risposte sono naturalmente molte e variano in sintonia con l’opzione ideologica trasmessa da chi le fornisce: si va dalla ricerca di una nuova legittimità per il processo centralizzatore alla congiura di un manipolo di superbi intellettuali senza Dio e alla lotta di classe che oppone al privilegio […], il diritto e la libera proprietà scaturita dal lavoro. Ma un’altra dinamica, di natura più inquietante, meccanica e fisica, assai simile a un inesorabile piano inclinato, viene messa in luce praticamente da tutti. […]
Manifestanti davanti al Palazzo d’inverno a San Pietroburgo nel 1917, alla vigilia della rivoluzione.Ogni vera rivoluzione, infatti, qualunque ne sia la causa, è una rivoluzione permanente, non si arresta là dove la logica del processo potrebbe o dovrebbe arrestarla. Una volta innescata dalla continuità di un processo di lungo periodo, la rottura rivoluzionaria, scontrandosi con un potere che la rigidità rende inesorabilmente dispotico, […] tende cioè a correre con un’energia autonoma e a muoversi per proprio conto, investendo tutti gli ambienti sociali e tutte le classi. Non vi sono del resto mai state, questo è ormai acquisito sul piano storiografico, rivoluzioni monoclassistiche, e tanto meno rivoluzioni borghesi od operaie, ma sempre rivoluzioni policlassistiche, vale a dire borghesi, operaie e, soprattutto, contadine. La rivoluzione, infatti, sfugge di mano al percorso semplificatore che la logica della continuità potrebbe averle assegnato: essa ha una sua logica che la alimenta, che suscita resistenze disperate, che mette in campo interessi contrapposti e appetiti incontenibili, animando nel contempo tutto il corpo sociale e producendo immagini, sentimenti, risentimenti, paure, rancori, desideri di vendetta, passioni e anche fanatismi. In tutti gli interpreti del fenomeno rivoluzionario, la vera rottura, la discontinuità radicale, profonda e incancellabile, ha a che fare appunto con l’autonomia interna del processo rivoluzionario, con il rapido e tumultuoso protagonismo di tutti i soggetti sociali, sino a quelli che, senza mezzi e senza diritti, vivono nei gironi più bassi della stratificazione sociale e che nulla, o ben poco, hanno da perdere nelle società in cui la rivoluzione ha avuto luogo. Il senso complessivo della storia, invece, è ben più comprensibile con l’ausilio della categoria della continuità. La frattura rivoluzionaria, e ancor più le sue peripezie, talvolta, sembrano quasi interrompere il flusso del senso storico. Eppure, tutti avvertono – con preoccupazione i moderati, con entusiasmo i rivoluzionari – che il momento oscuro della rottura, l’emergere dirompente di forze troppo a lungo compresse, è complementare e addirittura consustanziale con il momento luminoso della continuità. Senza l’uno, probabilmente, l’altro non esisterebbe. Senza i dolori del parto il mondo moderno e contemporaneo non sarebbe cioè venuto alla luce.
(Fonte: B. Bongiovanni,
Rivoluzione, in
Alla ricerca della politica, a cura di A. D’Orsi, Bollati Boringhieri)
Comprendere- In che modo lo storico Bongiovanni presenta le categorie di continuità e rottura rispetto al concetto di rivoluzione?
- Perché non sono mai esistite rivoluzioni monoclassistiche?
- In che senso una rivoluzione ha una sua logica che la alimenta?
Contestualizzare- In che modo le categorie di continuità e rottura possono essere applicate alla rivoluzione sovietica?
- Quali sono stati i soggetti rivoluzionari della rivoluzione d’ottobre?
- Quali erano le forze conservatrici e avversarie della rivoluzione d’ottobre?
Rielaborare, discutere, reinterpretare- Secondo lo storico Bongiovanni è possibile riconoscere un senso complessivo della storia. Sei d’accordo con questa affermazione? Giustifica la tua risposta.
- Quali esempi di rivoluzioni politiche avvenute negli ultimi anni, in varie parti del mondo, conosci?