![]() ![]() ![]() ![]() ![]() LO SVILUPPO DEL PENSIERO RAZIONALE La locandiera La commedia (del 1752) ha come protagonista il personaggio di Mirandolina, una donna intelligente e capace che, nei pressi di Firenze, gestisce la locanda ereditata dal padre. Nel lavoro è aiutata da Fabrizio, che era stato servitore del padre ed è innamorato di lei. Due clienti della locanda le fanno apertamente la corte: il Conte d’Albafiorita la lusinga con dispendiosi regali, il Marchese di Forlipopoli, ormai povero e spiantato, le promette invece la sua protezione. Alla locanda giunge anche il Cavaliere di Ripafratta che mostra di disprezzare le donne: Mirandolina, consapevole del fascino che esercita sugli uomini, decide di farlo innamorare di sé, ma solo per dargli una lezione. Siamo nell’atto terzo, scena XVIII, quasi alla fine della commedia. Mirandolina ha ormai raggiunto il suo scopo: il Cavaliere è innamorato di lei, anche se non lo ha ancora ammesso. Quando costui entra in scena, il Conte d’Albafiorita, rivolgendosi a tutti i presenti (il Marchese, Fabrizio e Mirandolina stessa), per provocarlo dice ad alta voce che il Cavaliere è innamorato della locandiera. CONTE: Eccolo lì il signor Cavaliere. È innamorato di voi. CAVALIERE: Io innamorato? Non è vero; mentite. MIRANDOLINA: Il signor Cavaliere innamorato di me? Oh no, signor Conte, ella s’inganna. Posso assicurarla, che certamente s’inganna. CONTE: Eh, che siete voi pur d’accordo... MIRANDOLINA: Sì, si vede... CAVALIERE: Che si sa? Che si vede? (Alterato, verso il Marchese.) MARCHESE: Dico, che quando è, si sa... Quando non è, non si vede. Mirandolina: Il signor cavaliere innamorato di me? Egli lo nega, e negandolo in presenza mia, mi mortifica, mi avvilisce, e mi fa conoscere la sua costanza e la mia debolezza. Confesso il vero, che se riuscito mi fosse d’innamorarlo, avrei creduto di fare la maggior prodezza del mondo. Un uomo che non può vedere le donne, che le disprezza, che le ha in mal concetto, non si può sperare d’innamorarlo. Signori miei, io sono una donna schietta e sincera: quando devo dir, dico, e non posso celare la verità. Ho tentato d’innamorare il signor CAVALIERE: ma non ho fatto niente. (Al Cavaliere.) CAVALIERE: (Ah! Non posso parlare). (Da sé.) CONTE: Lo vedete? Si confonde. (A Mirandolina.) MARCHESE: Non ha coraggio di dir di no. (A Mirandolina.) CAVALIERE: Voi non sapete quel che vi dite. (Al Marchese, irato.) […] MIRANDOLINA: Si fermi, signor Cavaliere, qui ci va della sua riputazione. Questi signori credono ch’ella sia innamorato; bisogna disingannarli. CAVALIERE: Non vi è questo bisogno. MIRANDOLINA: Oh sì, signore. Si trattenga un momento. CAVALIERE: (Che far intende costei?). (Da sé.) MIRANDOLINA: Signori, il più certo segno d’amore è quello della gelosia, e chi non sente la gelosia, certamente non ama. Se il signor Cavaliere mi amasse, non potrebbe soffrire1 ch’io fossi d’un altro, ma egli lo soffrirà, e vedranno... CAVALIERE : Di chi volete voi essere? MIRANDOLINA: Di quello a cui mi ha destinato mio padre. FABRIZIO: Parlate forse di me? (A Mirandolina.) MIRANDOLINA: Sì, caro Fabrizio, a voi in presenza di questi cavalieri vo’ dar la mano di sposa. CAVALIERE: (Oimè! Con colui? non ho cuor di soffrirlo). (Da sé, smaniando.) CONTE: (Se sposa Fabrizio, non ama il Cavaliere). (Da sé.) Sì, sposatevi, e vi prometto trecento scudi2. MARCHESE: Mirandolina, è meglio un uovo oggi, che una gallina domani. Sposatevi ora, e vi do subito dodici zecchini3. MIRANDOLINA: Grazie, signori, non ho bisogno di dote. Sono una povera donna senza grazia, senza brio, incapace d’innamorar persone di merito. Ma Fabrizio mi vuol bene, ed io in questo punto alla presenza loro lo sposo... CAVALIERE: Sì, maledetta, sposati a chi tu vuoi. So che tu m’ingannasti, so che trionfi dentro di te medesima d’avermi avvilito, e vedo sin dove vuoi cimentare la mia tolleranza. Meriteresti che io pagassi gli inganni tuoi con un pugnale nel seno; meriteresti ch’io ti strappassi il cuore, e lo recassi in mostra alle femmine lusinghiere, alle femmine ingannatrici. Ma ciò sarebbe un doppiamente avvilirmi. Fuggo dagli occhi tuoi: maledico le tue lusinghe, le tue lagrime, le tue finzioni; tu mi hai fatto conoscere qual infausto potere abbia sopra di noi il tuo sesso, e mi hai fatto a costo mio imparare, che per vincerlo non basta, no, disprezzarlo, ma ci conviene fuggirlo. (Parte.) (da La locandiera, Mondadori) 1 soffrire: sopportare 2 scudi: moneta dell’epoca. 3 zecchini: altra moneta dell’epoca. ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |