![]() ![]() ![]() ![]() ![]() PER LEGGERE CON METODO Italo Svevo Una moderna terapia Il dottor S., cui Zeno Cosini si è rivolto perché non riesce a smettere di fumare, gli prescrive di ricordare e stendere sulla carta gli episodi della sua vita che gli sembrano più significativi. In questo modo il protagonista intraprende un percorso alla scoperta di sé e del suo passato che lo condurrà ad acquisire una nuova consapevolezza. Una delle figure1, dalla voce un po’ roca, era Giuseppe, un giovinetto della stessa mia età, e l’altra, mio fratello, di un anno di me più giovine e morto tanti anni or sono. Pare che Giuseppe ricevesse molto denaro dal padre suo e ci regalasse delle sigarette che venivano vendute in Austria in scatoline di cartone munite del simbolo dell’aquila bicipite2. Ma sono certo che ne offriva di più a mio fratello che a me. Donde3 la necessità in cui mi trovai di procurarmene da me delle altre. Così avvenne che rubai. D’estate mio padre abbandonava su una sedia nel tinello4 il suo panciotto, nel cui taschino si trovavano sempre degli spiccioli: mi procuravo i dieci soldi occorrenti per acquistare la preziosa scatoletta e fumavo una dopo l’altra le dieci sigarette che conteneva, per non conservare a lungo il compromettente frutto del furto. Tutto ciò giaceva nella mia coscienza a portata di mano. Risorge solo ora perché non sapevo prima che potesse avere importanza. Ecco che ho registrata l’origine della sozza abitudine e (chissà?) forse ne sono già guarito. Perciò, per provare, accendo un’ultima sigaretta e forse la getterò via subito, disgustato. Poi ricordo che un giorno mio padre mi sorprese con il suo panciotto in mano. Io, con una sfacciataggine che ora non avrei e che ancora adesso mi disgusta (chissà che tale disgusto non abbia una grande importanza nella mia cura) gli dissi che m’era venuta la curiosità di contarne i bottoni. Mio padre rise delle mie disposizioni alla matematica o alla sartoria e non s’avvide che avevo le dita nel taschino del suo panciotto. A mio onore posso dire che bastò quel riso rivolto alla mia innocenza quand’essa non esisteva più, per impedirmi per sempre di rubare. Cioè... rubai ancora, ma senza saperlo. Mio padre lasciava per la casa dei sigari Virginia5 fumati a mezzo, in bilico su tavoli e armadi. Io credevo fosse il suo modo di gettarli via e credevo anche di sapere che la nostra vecchia fantesca6, Catina, li buttasse via. Andavo a fumarli di nascosto. Già all’atto d’impadronirmene venivo pervaso da un brivido di ribrezzo sapendo quale malessere m’avrebbero procurato. Poi li fumavo finché la mia fronte non si fosse coperta di sudori freddi e il mio stomaco si contorcesse. Non si dirà che nella mia infanzia io mancassi di energia. So perfettamente come mio padre mi guarì anche di quest’abitudine. Un giorno d’estate ero ritornato a casa da un’escursione scolastica, stanco e bagnato di sudore. Mia madre m’aveva aiutato a spogliarmi e, avvoltomi in un accappatoio, m’aveva messo a dormire su un sofà sul quale essa stessa sedette occupata a certo lavoro di cucito. Ero prossimo al sonno, ma avevo gli occhi tuttavia pieni di sole e tardavo a perdere i sensi. La dolcezza che in quell’età s’accompagna al riposo dopo una grande stanchezza, m’è evidente come un’immagine a sé, tanto evidente come se fossi adesso là accanto a quel caro corpo che più non esiste. Ricordo la stanza fresca e grande ove noi bambini si giuocava e che ora, in questi tempi avari di spazio, è divisa in due parti. In quella scena mio fratello non appare, ciò che mi sorprende perché penso ch’egli pur deve aver preso parte a quell’escursione e avrebbe dovuto poi partecipare al riposo. Che abbia dormito anche lui all’altro capo del grande sofà? Io guardo quel posto, ma mi sembra vuoto. Non vedo che me, la dolcezza del riposo, mia madre, e poi mio padre di cui sento echeggiare le parole. Egli era entrato e non m’aveva subito visto perché ad alta voce chiamò: – Maria! La mamma con un gesto accompagnato da un lieve suono labbiale7 accennò a me, ch’essa credeva immerso nel sonno su cui invece nuotavo in piena coscienza. Mi piaceva tanto che il babbo dovesse imporsi un riguardo per me, che non mi mossi. Mio padre con voce bassa si lamentò: – Io credo di diventar matto. Sono quasi sicuro di aver lasciato mezz’ora fa su quell’armadio un mezzo sigaro e ora non lo trovo più. Sto peggio del solito. Le cose mi sfuggono. Pure a voce bassa, ma che tradiva un’ilarità trattenuta solo dalla paura di destarmi, mia madre rispose: – Eppure nessuno dopo il pranzo è stato in quella stanza. Mio padre mormorò: – È perché lo so anch’io, che mi pare di diventar matto! Si volse e uscì. Io apersi a mezzo gli occhi e guardai mia madre. Essa s’era rimessa al suo lavoro, ma continuava a sorridere. Certo non pensava che mio padre stesse per ammattire per sorridere così delle sue paure. (da Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Mondadori) 1 figure: si tratta delle immagini di persone che tornano alla mente del narratore, che ricorda il suo passato. 2 bicipite: a due teste (una rivolta a destra, una a sinistra). 3 Donde: da qui. 4 tinello: piccola stanza da pranzo che si trova vicino alla cucina. 5 sigari Virginia: sigari che prendono il nome dal tipo di tabacco che contengono, chiamato “Virginia” dal nome dello Stato degli USA che ne era grande produttore. 6 fantesca: domestica, aiutante di casa. 7 labbiale: labiale, delle labbra. l’autore Italo Svevo p. 345. ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |