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Alleviare la sofferenza nel rispetto della persona
L’accompagnamento nelle ultime ore
Progressi medici e limiti etici
La cura e la dignità del paziente

L'eutanasia

Alleviare la sofferenza nel rispetto della persona

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Che cos'è l'eutanasia?

Che cos'è l'eutanasia?

L'eutanasia (letteralmente, dal greco, “buona morte”) è l’azione o l’omissione di cure o soccorso che causa di proposito e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente e gravemente compromessa da una malattia o da una menomazione.

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L’eutanasia comprende diverse forme di intervento o di omissione che determinano la morte di un individuo consenziente o che abbia espresso in precedenza il proprio consenso inequivocabile [vedi Testamento biologico]. La pratica dell’eutanasia, rintracciabile anche in numerose civiltà antiche, è sempre più confinata, con il progresso scientifico e assistenziale, all’ambito della medicina. Di conseguenza, anche il dibattitto sulla liceità dell’eutanasia va oltre il semplice riconoscimento dell’ammissibilità morale di tale pratica, ma coinvolge ambiti di riflessione più vasti. Fra i diversi aspetti in discussione ci sono i limiti di decisione del medico, la sua possibilità di obiettare alle richieste del paziente che vuole ricorrere all’eutanasia e, più di recente, l’allargamento dei requisiti legali in materia, come nel caso del Belgio che ha approvato una legge che consente la pratica dell’eutanasia sui minori di età.

L’uccisione medicalizzata di una persona senza il suo consenso, ovviamente, non può essere definita eutanasia ma è, di fatto, omicidio, come nel caso di soggetti che non esprimono la propria volontà, la esprimono in senso contrario o non sono in grado di manifestarla.

Non va confusa poi con l’eutanasia la rinuncia all'accanimento terapeutico, cioè a interventi sproporzionati, gravosi e inutili rispetto alla possibilità di arrestare la morte del paziente, nel tentativo di prolungare la vita a ogni costo. In quest’ultimo caso la pratica dell’eutanasia è ritenuta illecita eticamente, deontologicamente e giuridicamente da gran parte degli esperti.

Diversa è l’eutanasia come abbandono terapeutico, ossia la sospensione di qualsiasi trattamento allo scopo di anticipare la morte. In questo caso, infatti, non è la condizione patologica a far morire: deve essere perciò considerata una forma di eutanasia passiva.

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L'EUTANASIA:

un fenomeno antico,
un dibattito attuale

AMBITI COINVOLTI

Il progresso e l'etica

La posizione della Chiesa Cattolica

Un terribile precedente storico

LA POSTA IN GIOCO

Accompagnare con dignità chi soffre

L'EUTANASIA: un fenomeno antico, un dibattito attuale

Il progresso e l'etica

La posizione della Chiesa Cattolica

Un terribile precedente storico

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L'eutanasia

Perché è un problema etico

Storicamente, forme di eutanasia sono rintracciabili anche nelle civiltà più antiche, le più note si riferiscono per esempio all’antica Grecia (Sparta) o a Roma. Il dibattito sull’eutanasia era già vivo nell’antichità: l’eutanasia passiva, in particolare, era esplicitamente approvata da eminenti filosofi come Platone; tuttavia Ippocrate, il padre della medicina, proibiva esplicitamente il ricorso all’eutanasia, anche nei casi in cui a richiederla fosse il paziente. 

Oggi la questione dell’eutanasia è di grande attualità, anche grazie all’enfatizzazione mediatica di alcuni casi particolari: il progresso della medicina, poi, ha portato anche a discutere alcune forme di sostegno (in particolare farmacologico) che possono essere definite “accanimento terapeutico” (quando cioè il paziente è mantenuto in vita ma la qualità della vita stessa non migliora o, addirittura, peggiora). 

L’avvento del cristianesimo segna anche la condanna, da parte della Chiesa cattolica, dell’eutanasia, assimilata al suicidio e dunque assolutamente inconciliabile con la morale cristiana.

Alcuni degli oppositori dell'eutanasia ricordano un terribile precedente, l’uso criminale dell’eutanasia da parte del regime nazista, che si serviva di tale pratica per realizzare il suo programma di selezione genetica.

La sfida per il futuro, come indicano molti, sembra essere quella di garantire condizioni adeguate per l’accompagnamento di chi soffre e dei suoi cari: un insieme di elementi di cura (per lenire il dolore), di assistenza psicologica e spirituale che non deve far venire meno, anche negli ultimi istanti, la dignità della persona.

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Un dilemma che divide le coscienze

Il recente dibattito in seno alla chiesa anglicana sulla proposta di legge inglese in materia di eutanasia dimostra la delicatezza di un tema che coinvolge aspetti profondi e sentiti, e va dunque affrontato con attenzione, senza mai perdere di vista i propri valori di riferimento.

L’ex-arcivescovo di Canterbury, leader spirituale di 80 milioni di anglicani nel mondo, si è pronunciato nel giugno 2014 a favore della legalizzazione del suicidio assistito, alla vigilia della discussione prevista alla Camera alta del Parlamento inglese.

Lord Carey, arcivescovo di Canterbury dal 1991 al 2002, ha spiegato di avere cambiato opinione sull’argomento, al cospetto delle «sofferenze inutili» patite dai malati in fin di vita. «Di fatto, ho cambiato idea. Le certezze filosofiche passate sono crollate di fronte alla realtà di inutili sofferenze», ha commentato. I progressi rapidi della medicina che permettono oggi di tenere in vita per tanti anni dei pazienti gravemente malati, anche in stato terminale, costituiscono una svolta etica, secondo l’ex capo della Chiesa anglicana. «Oggi siamo di fronte a un paradosso. Rispettando rigorosamente la sacralità della vita, la Chiesa rischia di promuovere l’agonia; e il dolore è l’esatto contrario del messaggio cristiano di speranza», ha aggiunto.

Una dichiarazione che ha preso in contropiede l’attuale capo della Chiesa anglicana, Justin Welby, che ha definito «errato e pericoloso» il progetto di legge che prevede di legalizzare in Inghilterra e Galles la morte assistita per tutti gli adulti a cui restano meno di sei mesi di vita, dopo avere avuto il parere positivo di almeno due medici.

Contrariamente all’eutanasia, il suicidio medicalmente assistito comporta che sia il paziente stesso, e non un medico specialista, a compiere l’atto che lo porterà alla morte. Fino a oggi, il suicidio assistito in Gran Bretagna è stato passibile di una condanna a 14 anni di prigione. Ma le ultime direttive dell’autorità giudiziaria britannica invitano alla clemenza nei casi in cui l’atto è compiuto per compassione.

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Copertina

La definizione

Il problema

Il fatto

L’eutanasia è:

  • diffusa a partire dall’epoca romana antica

  • diffusa a partire dal XVIII secolo

  • praticata già da molte civiltà antiche

  • un’invenzione del regime nazista

3

In Italia l’eutanasia è:

  • vietata 

  • ammessa in alcuni casi

  • ammessa

  • ammessa solo per i pazienti di età superiore a 75 anni

1

Nel 2014 in Europa l’eutanasia sui minori è:

  • vietata ovunque

  • ammessa in Germania, Svizzera e Svezia

  • ammessa solo in Belgio

  • ammessa solo in Grecia

3

La Chiesa Cattolica è:

  • favorevole all’eutanasia in casi speciali

  • contraria a ogni forma di eutanasia

  • contraria all’eutanasia sui minori

  • a favore della libertà individuale di coscienza

2

Domande per riflettere

  • Insieme all’insegnante, discutete le differenze esistenti fra “eutanasia” e “eugenetica”, e cercate di individuare degli esempi storici di queste due pratiche.

  • Nella letteratura, nel cinema, nei fumetti sono numerosi i personaggi che godono di immortalità.
    Si tratta, però, di personaggi felici di questa condizione?

  • Facendo uso della tecnica del brainstorming, individuate alcuni esempi e sintetizzateli in una scheda.

  • Con l’aiuto dell’insegnante, verificate se nella vostra area esiste un centro ospedaliero per le cure palliative e intervistate uno dei responsabili.

  • Sintetizzate poi sulla LIM o su un cartellone l’attività e la “filosofia” di questo servizio.

Dilemmi per discutere

L’eutanasia:

Non è mai accettabile perché è contraria alla creazione divina

Dipende da una decisione che spetta esclusivamente al singolo individuo

La medicina:

Deve avere come unico fine il mantenimento in vita delle persone

Deve puntare soprattutto alla qualità della vita

Le decisioni in materia di eutanasia:

Devono basarsi su principi morali condivisi dalla società

Devono dipendere esclusivamente dalla volontà del singolo individuo

Fare il punto

Riflettere

Discutere

L'eutanasia | Per approfondire

Che cosa dice la Legge

L’eutanasia è legale (in forme e con regole diverse) in alcuni Paesi (Belgio, Olanda, Cina, alcuni degli Stati Uniti d’America), mentre altri Paesi hanno presentato proposte di legge al riguardo. Altri Paesi, poi, ammettono o tollerano il suicidio assistito (Svizzera, Svezia, Germania).

Ha destato attenzione e preoccupazione la decisione del Belgio, nel 2014, di ammettere l’eutanasia anche per i minori d’età.

Italia

In Italia l’eutanasia non è ammessa dalla legge ed è punibile come omicidio: la legge italiana inoltre prevede esplicitamente il reato di omicidio di persona consenziente.

Un aspetto delicato riguarda il rifiuto delle terapie da parte di un individuo capace di intendere e di volere.
In proposito, la dottrina dominante ritiene che la rilevanza giuridica riconoscibile all’autodeterminazione del paziente incontri un preciso limite nel principio del rispetto della persona umana. La libertà di determinazione del soggetto rispetto alla propria salute (riconosciuta dalla Costituzione, artt. 3-13-32), infatti, va riconosciuta fintanto che non sia volta alla soppressione di sé o all’eliminazione di componenti essenziali della personalità. L’individuo perciò non può disporre della propria esistenza con forme di suicidio assistito e di eutanasia volontaria.

L'eutanasia | Per approfondire

Il parere della Chiesa Cattolica

La Chiesa Cattolica è nettamente contraria all’eutanasia, considerata moralmente inaccettabile, contraria alla dignità umana e irrispettosa della creazione divina, ma approva la rinuncia alle forme di accanimento terapeutico. La Chiesa Cattolica inoltre oggi esprime particolare preoccupazione riguardo ai provvedimenti proposti o approvati di recente in diversi Paesi, che introducono, per esempio, l’eutanasia per i minorenni.

Catechismo della Chiesa Cattolica

2277 - Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l'eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile. Così un'azione oppure un'omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L'errore di giudizio nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest'atto omicida, sempre da condannare e da escludere.

2278 - L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'“accanimento terapeutico”.


Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae

Anche se non motivata dal rifiuto egoistico di farsi carico dell'esistenza di chi soffre, l'eutanasia deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante "perversione" di essa: la vera "compassione", infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza. [...] La scelta dell'eutanasia diventa più grave quando si configura come un omicidio che gli altri praticano su una persona che non l'ha richiesta in nessun modo e che non ha mai dato ad essa alcun consenso. Si raggiunge poi il colmo dell'arbitrio e dell'ingiustizia quando alcuni, medici o legislatori, si arrogano il potere di decidere chi debba vivere e chi debba morire. [...] Così la vita del più debole è messa nelle mani del più forte; nella società si perde il senso della giustizia ed è minata alla radice la fiducia reciproca, fondamento di ogni autentico rapporto tra le persone.


Elio Sgreccia, L’utilitarismo è la cultura della morte

Con l’eutanasia si allevia solo il peso di chi sta bene. Diamo alle cose il loro nome: questo è utilitarismo, perché si toglie di mezzo il malato, è la cultura dello scarto di cui parla papa Francesco. Una persona è malata, mi pesa, è scomoda, non produce e quindi la butto. Chi sta bene per aiutare i sofferenti deve sacrificarsi, se uno non vuole sacrifici e non vuole soffrire deve eliminare il prossimo che gli sta vicino. Ma una persona così protegge solo se stesso finché ha piena validità e salute, perché poi finisce per buttare via anche la propria vita: eutanasia e suicidio assistito, infatti, vanno insieme. Dovremmo allarmarci tutti davanti a queste cose perché una legge del genere segnala un calo di umanità, di rispetto della vita umana, un abbassamento del livello di civiltà.

La cultura della morte nasce dal fatto che si vuole la vita solo quando è perfetta e capace di produrre denaro o vantaggi. È il principio del piacere che diventa principio di morte: quando la vita non ti dà più soddisfazione, non è più apprezzabile o degna. In ultima analisi, però, è il calo della fiducia nella vita ultraterrena, la mancanza di fede nella vita eterna, in Dio e nell’immortalità a portare al deprezzamento dell’uomo. Come dice il Concilio vaticano II, quando viene meno la fiducia in Dio anche l’uomo svanisce. La vita va verso la pienezza e merita di essere vissuta perché ha un valore eterno. La morte va accettata quando è naturale, quando la fisicità non regge più e per questo non bisogna neanche praticare l’accanimento terapeutico.

L'eutanasia | Per approfondire

Il parere delle diverse religioni

 


Riccardo Di Segni, No all'accanimento terapeutico

Chi si trovi davanti a un malato estremamente sofferente, sia per condizione professionale che per qualsiasi altro motivo, può essere indotto a reagire all’intenso stimolo emotivo e umanitario con risposte di tipo differente: dal rifiuto delle responsabilità a un forte impegno personale che, a sua volta, può realizzarsi in modi opposti, dal desiderio di affrettare la morte del malato per porre fine alle sue sofferenze (eutanasia), al tentativo esasperato di curarlo ad ogni costo (accanimento terapeutico).
 Non si tratta, evidentemente, di decisioni banali; in merito al problema che stiamo discutendo esistono nella tradizione ebraica orientamenti generali precisi da molti secoli; va tuttavia aggiunto che i progressi recenti della medicina hanno posto una serie molto complicata di problemi particolari, sui quali la discussione è viva e le risposte spesso discordanti.

I principi essenziali che regolano la materia sono essenzialmente due. In primo luogo è proibito ogni atto che possa accelerare la morte di un agonizzante: gli esempi citati nei testi tradizionali si riferiscono anche a mezzi indiretti di tipo magico, o a semplici azioni come movimenti del corpo, che in qualche modo turbano un equilibrio precario. Il concetto che ispira queste regole e che a nessuno è concesso il diritto di procurare la morte anche se si tratta di un processo irreversibile e imminente, anche se per i medici non c’è più alcuna speranza e anche se è il malato stesso a richiederlo. Chi procura direttamente la morte a un agonizzante è in pratica come se avesse compiuto un omicidio. In questo ambito rientra anche la propria morte, cioè il suicidio, anche se sono in molti a considerare con molta minore severità il suicidio messo in atto per risparmiarsi delle sofferenze.

Un secondo principio, che limita l’ambito del primo, stabilendo una sottile ma importante differenza, è che è permesso rimuovere le cause che indirettamente impediscono la morte di un agonizzante. Parallelamente non vanno messe in atto le misure che servono solo a prolungare le sofferenze del malato, anche perché nell’ebraismo la medicina è permessa nella misura in cui cura e guarisce.


Tahar Mahdi, Alleviare il dolore

L'eutanasia attiva è vietata giuridicamente poiché corrisponderebbe a un omicidio commesso dal medico, anche se agisce su richiesta del paziente e con l'intento di abbreviargli la sofferenza. In effetti, qualunque sia il metodo con cui si pone fine a una vita umana, l'atto non può essere descritto in altro modo che come omicidio. Secondo noi, la responsabilità del medico è evidente, tanto più perché va oltre le sue prerogative. Quale che sia l'intenzione che lo motiva, il medico non può essere più misericordioso nei confronti del paziente di quanto lo sia Dio, che gli ha dato la vita e che può riprendersela nelle condizioni che vuole lui. Secondo le nostre ricerche, l'Islam proibisce l'eutanasia attiva anche quando si sia di fronte a una situazione disperata. L'unica forma consentita in questi casi è di lasciar morire il paziente in modo naturale, senza somministrargli farmaci pretestuosi o attribuirgli una vita effimera, tranne, evidentemente, le medicine che alleviano il dolore o calmano la crisi.

In quanto all'eutanasia passiva, che consiste nel non tenere in vita il paziente con dei mezzi artificiali e vani, compresi i farmaci che non migliorano la situazione secondo la buona regola della casualità (la causa deve avere un effetto), non può essere proibita, in questi precisi casi, poiché la maggioranza dei giuristi musulmani non obbliga alle cure mediche nemmeno quando ci siano le condizioni per sperare in una guarigione. Solo una minoranza di giuristi è favorevole all'imposizione delle cure. Alcuni saggi considerano il curarsi gerarchicamente superiore alla resistenza che conduce all'incontro con Dio; altri sostengono esattamente il contrario.


Dalai Lama, Giudicare caso per caso

Penso sia meglio evitare l'eutanasia, ma allo stesso tempo penso che come per l'aborto [vedi Aborto], che è considerato dal buddismo come un atto di omicidio [...] il metodo buddista consista nel giudicare il giusto e l'errore o i vantaggi e gli svantaggi.

Ci sono casi di persone in coma senza possibilità di recupero e altri casi simili: questi sono, dal punto di vista buddista, casi eccezionali, dunque è meglio giudicare sulle basi di ogni caso, singolarmente.

Se veramente non c'è alcuna possibilità di guarigione, mantenere quello status è molto costoso e le famiglie soffrono, allora si potrebbe agire. In generale se pure una persona non cammina più, ma il suo corpo e il suo cervello sono ancora presenti, allora è meglio tenere una persona in vita, ma si possono fare eccezioni.

L'eutanasia | Per approfondire

La parola agli esperti: "perché sì"

Le posizioni a favore della legalizzazione dell’eutanasia fanno tutte riferimento al rispetto delle volontà dell’individuo, che devono sempre prevalere sulle considerazioni di ordine morale, poiché solo nella libera scelta sta la vera libertà.

Walburg De Jong - Associazione olandese per l’eutanasia volontaria (Nvve),
Una legge in pratica

L’Olanda è stato il primo paese in Europa a legalizzare l’eutanasia. Può spiegarci come funziona e con quali risultati?
La legge è entrata in vigore nell’aprile 2001 e stabilisce che il medico che compie un’eutanasia non sia penalmente perseguibile se rispetta scrupolosamente la procedura. Ora, i criteri per un trattamento medico adeguato prevedono che ci sia una richiesta consapevole e volontaria da parte del paziente, che sia stato riscontrato un livello di sofferenza intollerabile, senza speranze di miglioramento (per quanto sia difficile stabilire quale sia la “sofferenza intollerabile”), che non ci siano alternative, che il paziente sia accuratamente informato sulla sua malattia e infine che sia stato raccolto un parere favorevole di un altro medico.

Qualora il dottore rispetti l’intera procedura, ha la facoltà di ricorrere all’eutanasia.
Dopo che l’atto eutanasico è stato compiuto interviene il medico legale, proprio perché l’eutanasia non è morte naturale: se il procuratore non riscontra problemi procedurali, allora la famiglia può seppellire o cremare il corpo.

A quel punto, il rapporto del medico che ha compiuto l’eutanasia, del secondo medico che ha esaminato il paziente, quello del medico legale e, se c’è, il testamento biologico [vedi Testamento biologico] del paziente, arrivano in uno dei cinque comitati di revisione che abbiamo in Olanda, composti da un avvocato, un medico e un esperto di questioni etiche, che decidono se il medico ha agito con la dovuta cura oppure no.

Siete soddisfatti della legge?
Siamo piuttosto soddisfatti. Tanto che dopo la sua introduzione ci siamo rivolti ai nostri soci per valutare lo scioglimento: dopotutto, avevamo ottenuto ciò che volevamo. Sono stati proprio gli iscritti a dirci di no, che c’era ancora molto da fare. Per esempio: come si comportano i medici? Qui c’è ancora da lavorare. Poi, la legge non è molto precisa sulla “sofferenza”, non dice esplicitamente se si tratti di sofferenza fisica, o mentale. Crediamo che la procedura dettata dalla legge non sia adeguata ai pazienti con disturbi mentali cronici, ovviamente quelli in grado di intendere… Ci sono infatti persone che soffrono di malattie mentali croniche, per cui sono state tentate tutte le cure possibili, e che a un certo punto possono dire: “Ho provato ogni tipo di trattamento per anni e non sembro migliorare, basta”. Queste persone chiedono di poter morire, ma nella maggior parte dei casi, quasi sempre, non trovano psichiatri disposti a ricorrere all’eutanasia. Bene, per queste persone c’è ancora un problema. Bisogna permettere anche a loro di morire in un modo dignitoso.

Nella legge si dice: se qualcuno ha un testamento biologico in cui fa richiesta di eutanasia, il dottore deve valutarla come richiesta esplicita del paziente.

Il problema è che quando qualcuno soffre di forme particolarmente gravi di demenza, non viene considerato in grado di intendere e di volere; il dottore, allora, può dire di non essere in grado di stabilire il livello di sofferenza del paziente, perché non è più possibile comunicare. D’altro canto, c’è chi si appella al testamento biologico in cui c’è scritto: “Non voglio permanere in una grave condizione di demenza senile”. Ecco, le questioni inerenti il decorso della demenza restano un campo ancora poco chiaro.

Il fatto è che su questo spesso si fa confusione: non è il dottore che deve tirare fuori l’argomento, spetta al paziente. Negli ultimi anni alcuni medici si sono offerti di seguire queste tipologie di casi, abbiamo avuto circa 30, 40 episodi di eutanasia di questo tipo. In questi casi, però, i medici preferiscono affrontare l’argomento nelle prime fasi, quando il paziente è ancora padrone di sé e sa esattamente quello che sta richiedendo, cosa sta dicendo.

Poi c’è un altro aspetto che non viene nemmeno menzionato. Ci sono persone che, pur non soffrendo di alcuna malattia, magari hanno perso i figli, la moglie o il marito, insomma non hanno più alcuna ragione per vivere… una di queste persone ci ha detto: “A volte pensi che Dio si sia dimenticato di te”. Allora, è vero, a volte le persone in queste condizioni si suicidano. Alcuni però preferirebbero avere un aiuto che sia funzionale al loro desiderio di morire. Anche noi crediamo debba esistere un’altra strada rispetto al suicidio.

La vostra associazione fa parte della rete “Right to die”, ma l’eutanasia, anche in base alla legge, non è un diritto assoluto, si contempera con il diritto di rifiutare la richiesta da parte del medico…
La richiesta di eutanasia non può valere in assoluto, parlando di assistenza medica. Certo, ci sono persone che vorrebbero che il loro diritto a morire bastasse a costringere il medico all’eutanasia; solo che, se è vero che ognuno ha il diritto a chiedere, c’è anche il diritto per chi riceve la richiesta di rifiutarsi. Non si può mai arrivare all’obbligo, perché ciascuno, in autonomia, può dire di no. Questo è sicuramente un aspetto controverso: molti dei nostri iscritti vorrebbero fosse loro riconosciuto questo diritto, ma nel momento stesso in cui si chiede qualcosa a qualcuno, questo deve poter esercitare il suo diritto a rifiutarsi.

Ci sono comunque diverse tutele per chi esprime il proprio desiderio di morire: dal 1995 abbiamo una legge che dice che il paziente deve essere bene informato, e quando è bene informato può rifiutare ogni cura; se sono in grado di intendere, posso sempre rifiutare un trattamento. Se poi sono in coma, posso avere un testamento biologico in cui affermo di non volere alcun trattamento, una volta che sia accertato che non potrò mai tornare a una condizione di vita dignitosa.


Marco Cappato, Un diritto costituzionale

Perché una battaglia per l'eutanasia legale?
Da una parte l'obiettivo è quello di rispettare le volontà e le scelte delle persone anche alla fine della vita.
 Dall'altra iniziamo adesso questa battaglia perché a fronte del divario fra un'opinione pubblica ampiamente pronta e favorevole a questo tema c'è una classe politica e partitica ostile e incapace di ascoltare, anche solo per un minimo, i cittadini.

Lei spiega che il testo della proposta di legge in questione «si fonda sulla semplicità e la forza della Costituzione: "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per predisposizione di legge.”» In pratica: si scrive eutanasia legale, si legge difesa della Costituzione?

Certo: il testo della Costituzione riguarda la sospensione delle terapie, di fatto. È chiaro che un atto medico finalizzato a terminare la vita di un paziente, che chiede di terminarla nelle piene condizioni e facoltà mentali, è un passo ulteriore. Nel senso: prosegue e trae la conseguenza dal principio costituzionale che il diritto a terminare le proprie sofferenze, e a rinunciare alle terapie, debba essere esteso anche all'assistenza medica. Sarebbe eccessivo dire che questo diritto discende immediatamente e direttamente dal dettato costituzionale e che, quindi, non consentirlo è già di per sé una violazione della Costituzione. Però, poiché il testo costituzionale assume significati diversi anche in funzione dell'evoluzione della società e della medicina, non si deve dimenticare che quando è stata scritta la costituzione quel diritto era soprattutto funzionale a difendersi dalle violenze dei regimi totalitari - penso ai trattamenti sanitari imposti dalle dittature naziste, fasciste, comuniste. Ora, però, siamo in una società molto diversa in cui la scelta della modalità del porre fine alla vita riguarda un numero sempre più esteso di cittadini e quindi, a mio avviso, quel principio costituzionale significa non solo diritto a interrompere un trattamento, ma anche diritto a farlo nelle condizioni di assistenza medica migliore.

Lei scrive: «La legalizzazione è anche un'alternativa all'esilio della morte, cioè a quella eutanasia di classe (costa fino a 10mila euro) che centinaia di persone ogni anno vanno a cercare all'estero». Quindi la battaglia per l'eutanasia legale è anche una lotta per lo stato di diritto?
È come per l'aborto o come noi vorremmo che fosse sulle droghe [vedi Dipendenze]: si tratta di scegliere il diritto (e quindi lo stato di diritto) e la legalità [vedi Legalità] come strumento migliore per governare dei problemi sociali in alternativa alla clandestinità dello stato etico. Dunque: stato di diritto contro stato etico. Lo stato etico pretende di imporre dei comportamenti, e pretende di farlo, senza curarsi delle conseguenze pratiche di proibizioni e divieti che sono da un lato quello dell'eutanasia clandestina, dell'esilio della morte, ma che sono anche quelli dell'eutanasia clandestina in Italia. Questi ultimi possono essere episodi particolarmente rischiosi per persone che forniscono compassione e aiuto a chi la chiede. Oppure c'è l'eutanasia clandestina che sconfina nella sopraffazione, nella violenza e, sostanzialmente, nell'omicidio. Favorita dal fatto che non esiste una vera e propria regolamentazione circa l'eutanasia.

L'eutanasia | Per approfondire

La parola agli esperti: "perché no"

Le tesi contrarie all’eutanasia fanno appello, come nel testo di Adriano Pessina, a ragioni etiche e morali che devono spingere innanzitutto a interrogarsi sul reale significato della sofferenza, evitando soluzioni “comode” ma sostanzialmente contrarie alla dignità della persona, come quelle evidenziate dall’oncologo Lucien Israel, che rappresenta un punto di vista laico: anche in questo ambito di pensiero (Israel si autodefinisce agnostico), infatti, non sono rare le voci che invitano alla cautela.

Adriano Pessina, Una risposta errata

Per l'ennesima volta si torna a parlare di fine vita. E come sempre lo si fa in riferimento a casi particolari. In particolare oggi si parla di eutanasia e testamento biologico. Da dove partiamo?
La prima cosa che bisogna assolutamente fare è distinguere il fine vita da altri problemi. Si parla di fine vita quando il paziente ha un'aspettativa di vita molto breve dovuta alla patologia. Bisogna distinguere assolutamente questa situazione altrimenti si creano dei danni e non si può fare nessun ragionamento serio. Fatta questa distinzione possiamo dire che il problema è serio.

Come lo si affronta?
Bisogna introdurre un altro aspetto: esiste indubbiamente da parte di tutti i cittadini il diritto di segnalare le preferenze terapeutiche che si desiderano. E credo che sia importante che nel rapporto medico-paziente ci sia questo legame sulle decisione da prendere. E si possono anche prendere prima che si entri nel fine vita.

Quindi sta dicendo che il testamento biologico può essere una strada?
Il testamento biologico in linea di principio può anche essere uno strumento. Ma non è sufficiente e spesso non adeguato. Questo perché il cittadino deve essere garantito dal fatto che in qualunque ospedale entri, sia che abbia fatto sia che non abbia fatto una dichiarazione anticipata sul trattamento, sappia quali sono i criteri oggettivi con cui verrà trattato. Questo perché anche se qualcuno farà un testamento biologico dichiarando di non voler essere rianimato stiamo parlando di una prassi che riguarda un individuo. Noi abbiamo bisogno di regole che riguardano la medicina come prassi generale e che riguarda tutti. Anche quelli che non vogliono scrivere nessun testamento. Senza contare che si tratta di qualcosa di molto ideologico perché cosa posso stabilire a priori di cosa voglio e non voglio domani? Per carità, ci si può mettere d'accordo ma è un falso se si dice che il testamento biologico serva ad evitare l'accanimento terapeutico. L'accanimento infatti è qualcosa che deve essere vietata a prescindere. Aggiungo poi un'altra osservazione a mio avviso decisiva. Se non vogliamo trasformare l'arte medica semplicemente nella dimensione esecutiva del comando di un individuo deve avere dei criteri clinici oggettivi da proporre ai pazienti.

Ad esempio?
La prima regola è appunto che deve diventare prassi quotidiana il rifiuto dell'accanimento terapeutico. Anzi in alcuni casi diventa legittimo sospendere trattamenti che non sono più terapeutici. La terapia è qualcosa che porta beneficio. Ci sono situazione in cui il trattamento porta solo dati negativi e prolunga l'agonia più che la vita della persona. Oggi è chiaro che questo deve essere assolutamente vietato.

Dunque il problema è solo l'accanimento terapeutico?
No, c'è un'altra questione, sottesa ai disegni di legge in questione, su cui bisogna vigilare: l'abbandono terapeutico. L'idea, che si sta diffondendo nella società, è che non valga la pena, anche in presenza di trattamenti adeguati per un certa patologia, perseguire la cura. O per l'età del paziente, o per la qualità della vita senza determinati standard. Una civiltà democratica non può accettarlo. Quello della qualità della vita è un nodo fondamentale di tutta la discussione... Su questo la battaglia sull'eutanasia è vecchia, ottocentesca. Oggi tutta la medicina infatti lavora sulla palliazione del dolore. Il punto vero però, più che la qualità della vita è che le persone oggi non sopportano i tempi della malattia e del processo del morire. Tanto è vero che la questione che emerge, specialmente da parte dei sani, è farla finita in fretta. A questa logica risponde l'idea del suicidio assistito fatto quando ancora c'è la salute. Non c'è paura di morire ma paura dei tempi lunghi, e questa è una tragedia. La nostra società non accetta la dipendenza. Non vede il dipendere dagli altri come qualcosa di costitutivo dell'umano ma come qualcosa di negativo. Come rispondere però a questo grido di dolore. Alla richiesta di un'eutanasia legale? Che delle persone chiedano, nella disperazione e nella sofferenza, di morire lo sappiamo. Ma dobbiamo avere il coraggio di dire che non tutte le richieste siano accettabili. Non è un giudizio di valore sulla richiesta. Ma dobbiamo tenere conto che una volta che stabiliamo un diritto non stiamo facendo un'azione privatistica, stiamo anche stabilendo un dovere.

Due sono gli elementi fondamentali. Il primo è che la medicina rischia di misurare il suo successo più sul riuscire a recuperare e a guarire che sul prendersi cura. Il che genera grande attenzione su malattie in qualche modo recuperabili e meno per la cronicità. La seconda è che oggi abbiamo mezzi potenti per intervenire sulla vita. I medici devono essere educati alla proporzionalità dei trattamenti, che fa sì che gli interventi non siano esclusivamente vitalistici. L'importante non è la vita, ma la vita di un uomo.

Dunque l'importante è, in fin dei conti, l'uomo.
Non è facile e non si fa a tavolino. Ci vuole tempo ed esperienza. La scorciatoia del suicidio o dell'eutanasia però non funzionano né da un punto di vista etico né giuridico. Perché introdurrebbero, come dicevo prima, il diritto di morire insieme al dovere di uccidere. Sarebbe paradossale.    

Quindi sia l'eutanasia che il testamento biologico secondo lei sono proposte non centrate per risolvere i problemi...
Credo che l'errore di questi modelli sia quello di voler affidare alla burocrazia la relazione. Dimensione relazionale che invece andrebbe valorizzata e potenziata. Rimane il fatto però che il mondo politico non dà risposte. Aspetta sempre che passi la bufera. Possibile che non si possa quanto meno discutere? Questi argomenti sembrano interessare l'opinione pubblica solo quando sono legati a casi drammatici che diventano un grido d'allarme. Ma quando ci si concentra sui casi diventa tutto difficile e bisognerebbe ragionare a bocce ferme. Bisogna chiedersi: l'urgenza oggi è il testamento biologico, l'eutanasia o piuttosto le cure per lenire il dolore, l'assistenza ai familiari nel fine vita e la presenza capillare negli ospedali? Cioè il modello è di risparmio o di investimento?


Lucien Israel, Il no di un medico

Ho visto più volte arrivare in ospedale malati in condizioni talmente gravi da sprofondare in uno stato di semi-coma. E quando li tiravamo fuori da questo stato con una rianimazione adeguata mi dicevano: «Quando mi dimette? Vorrei andare qualche giorno in Costa Azzurra per riprendermi». Se fossi stato autorizzato da un “testamento” scritto ad abbreviare attivamente la loro vita mentre erano in semi-coma avrei commesso un vero e proprio crimine, anche se fossi stato incoraggiato dalla famiglia e dalla legge! I rarissimi malati che, spontaneamente, mi hanno chiesto di aiutarli a morire se le cose si fossero complicate non hanno rinnovato la loro richiesta nel momento in cui questa poteva essere soddisfatta. Altro che autodeterminazione: per me, l’eutanasia è una richiesta che proviene dalle persone sane che vogliono disfarsi di una malato grave o in fase terminale. Qualche anno fa: un paziente con cancro allo stomaco mi ha chiesto l’eutanasia. Gli ho risposto: «Ascolti, mi dispiace ma io non faccio assolutamente questo, noi siamo qui per curarvi». Ha replicato: «Lei è un vigliacco». «Forse è così», ho ribattuto, «ma qui l’eutanasia non è mai stata fatta, siamo a vostra disposizione per farvi vivere». A causa dell’insistenza del paziente, gli ho portato una boccetta con un liquido dicendogli: «Ecco, se proprio vuole prenda questa». Lui mi ha guardato con aria dubbiosa: «È soltanto dell’acqua, vero?». «Forse», gli ho risposto. «Per scoprirlo dovrà usarla». Pochi giorni dopo il malato è morto ma la boccetta contenente della semplice acqua era intatta sul comodino: si era convinto ad affrontare la malattia.

Ma il caso di malati che mi hanno chiesto di aiutarli a morire è rarissimo. Un medico non può uccidere un suo simile. Fa ciò che è necessario per dare sollievo ai suoi dolori fisici e alle sue difficoltà psicologiche attraverso le cure, la gentilezza e tutto ciò che gli fa percepire che c’è qualcuno intorno a lui che si occupa di lui. Quei medici che approvano l’eutanasia lo fanno perché non possono sopportare un essere che soffre e si dicono: «Che muoia domani o che muoia fra sei settimane non ha nessuna importanza, io preferisco finirla adesso». Non si può offrire questa immagine del medico agli studenti di medicina, o la medicina diventerà qualcosa di terribile. È assolutamente indispensabile manifestare il rispetto totale della vita umana, anche perché attualmente siamo in grado di placare tutte le manifestazioni dolorose, e di conseguenza gli esseri di cui ci occupiamo non soffrono insopportabilmente. Nella misura in cui ci occupiamo dei pazienti in questo modo, non ci chiedono l’eutanasia. Anche al di fuori di una qualunque ottica spirituale, un medico non è autorizzato a togliere la vita a qualcuno. Per quel che mi riguarda, la mia posizione non dipende da considerazioni religiose: un medico, chiunque egli sia, agnostico o credente, non deve riconoscersi il diritto di togliere la vita a qualcuno, quando in realtà è in grado di alleviare le sue sofferenze.

GlossarioBiografie

Autodeterminazione

In ambito giuridico, il termine indica la capacità dell’individuo di decidere in autonomia, di compiere scelte che riguardano la propria vita.


Cure palliative

Il termine indica i trattamenti medici destinati ad alleviare il dolore dei pazienti terminali.


Deontologia

Il termine definisce di solito l’insieme delle regole etiche che devono essere seguite nell’esercizio di una professione: si pensi ai medici, agli psicologi o agli avvocati, che devono rispettare un determinato codice comportamentale, il cui scopo è impedire di ledere la dignità o la salute di chi sia oggetto del loro operato.


Etica

L'etica è il ramo della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che consentono di distinguere i comportamenti umani buoni, giusti e moralmente leciti da quelli ritenuti cattivi, dannosi e moralmente inaccettabili.


Oncologia

Branca della medicina che si occupa dello studio e della cura dei tumori.


Psicologia

È la disciplina che studia i processi psichici e mentali sia nella loro dimensione individuale sia nella dimensione sociale. La psicologia dunque studia il comportamento umano individuale, di gruppo e in relazione all’ambiente. Nel corso degli ultimi due secoli si sono sviluppati diversi approcci a questa disciplina, che hanno prodotto diverse sottodiscipline psicologiche, con differenti matrici culturali di riferimento.


Stato etico

È la forma di Stato regolata in base a principi morali, che affermano ciò che è giusto a priori, a differenza dello Stato di diritto, dove la legge svolge una funzione di mediazione fra interessi diversi.


Cappato

Cappato, Marco

Marco Cappato, nato a Milano nel 1971, è un politico e attivista radicale. Si occupa in particolare di questioni bioetiche.

Dalai Lama

Dalai Lama

Il Dalai Lama è il titolo che indica la più alta carica spirituale del buddhismo tibetano: l'attuale è Tenzin Gyatso, nato nel 1935; nel 1989 ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Dal 1959 vive in esilio in India.

De Jong

De Jong, Walburg

Walburg De Jong è la portavoce delle associazioni olandesi a favore dell’eutanasia.

Di Segni

Di Segni, Riccardo

Riccardo Di Segni, nato a Roma nel 1949, è un medico e rabbino italiano: dal 2001 è capo della Comunità ebraica di Roma.

Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla (1920-2005) è stato il 264° papa della Chiesa cattolica. Eletto pontefice nel 1978, fu il primo pontefice polacco. È stato proclamato santo da papa Francesco il 27 aprile 2014.

Israel

Israel, Lucien

Lucien Israel è nato in Francia nel 1925 ed è considerato il più importante oncologo francese, oltre a essere uno specialista della neurologia.

Mahdi

Mahdi, Tahar

Tahar Mahdi è nato in Francia ed è uno studioso di teologia comparata, autore di numerosi saggi.

Pessina

Pessina, Adriano

Adriano Pessina, nato nel 1953, è docente di filosofia morale e direttore del Corso di Perfezionamento di Bioetica all’Università Cattolica di Milano.

Sgreccia

Sgreccia, Elio

Elio Sgreccia, nato nel 1928, è un cardinale, vescovo cattolico e teologo, considerato uno dei principali esperti di bioetica a livello internazionale.

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Glossario Biografie

Autodeterminazione

In ambito giuridico, il termine indica la capacità dell’individuo di decidere in autonomia, di compiere scelte che riguardano la propria vita.

Cure palliative

Il termine indica i trattamenti medici destinati ad alleviare il dolore dei pazienti terminali.

Deontologia

Il termine definisce di solito l’insieme delle regole etiche che devono essere seguite nell’esercizio di una professione: si pensi ai medici, agli psicologi o agli avvocati, che devono rispettare un determinato codice comportamentale, il cui scopo è impedire di ledere la dignità o la salute di chi sia oggetto del loro operato.

Etica

L'etica è il ramo della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che consentono di distinguere i comportamenti umani buoni, giusti e moralmente leciti da quelli ritenuti cattivi, dannosi e moralmente inaccettabili.

Oncologia

Branca della medicina che si occupa dello studio e della cura dei tumori.

Psicologia

È la disciplina che studia i processi psichici e mentali sia nella loro dimensione individuale sia nella dimensione sociale. La psicologia dunque studia il comportamento umano individuale, di gruppo e in relazione all’ambiente. Nel corso degli ultimi due secoli si sono sviluppati diversi approcci a questa disciplina, che hanno prodotto diverse sottodiscipline psicologiche, con differenti matrici culturali di riferimento.

Stato etico

È la forma di Stato regolata in base a principi morali, che affermano ciò che è giusto a priori, a differenza dello Stato di diritto, dove la legge svolge una funzione di mediazione fra interessi diversi.

Cappato

Marco Cappato

Marco Cappato, nato a Milano nel 1971, è un politico e attivista radicale. Si occupa in particolare di questioni bioetiche.

Dalai Lama

Dalai Lama

Il Dalai Lama è il titolo che indica la più alta carica spirituale del buddhismo tibetano: l'attuale è Tenzin Gyatso, nato nel 1935; nel 1989 ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Dal 1959 vive in esilio in India.

De Jong

Walburg De Jong

Walburg De Jong è la portavoce delle associazioni olandesi a favore dell’eutanasia.

Di Segni

Riccardo Di Segni

Riccardo Di Segni, nato a Roma nel 1949, è un medico e rabbino italiano: dal 2001 è capo della Comunità ebraica di Roma.

Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla (1920-2005) è stato il 264° papa della Chiesa cattolica. Eletto pontefice nel 1978, fu il primo pontefice polacco. È stato proclamato santo da papa Francesco il 27 aprile 2014.

Israel

Lucien Israel

Lucien Israel è nato in Francia nel 1925 ed è considerato il più importante oncologo francese, oltre a essere uno specialista della neurologia.

Mahdi

Tahar Mahdi

Tahar Mahdi è nato in Francia ed è uno studioso di teologia comparata, autore di numerosi saggi.

Pessina

Adriano Pessina

Adriano Pessina, nato nel 1953, è docente di filosofia morale e direttore del Corso di Perfezionamento di Bioetica all’Università Cattolica di Milano.

Sgreccia

Elio Sgreccia

Elio Sgreccia, nato nel 1928, è un cardinale, vescovo cattolico e teologo, considerato uno dei principali esperti di bioetica a livello internazionale.

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