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Il welfare: garantire a tutti l'accesso ai servizi indispensabili
Farsi carico delle persone a rischio
Un welfare o tanti welfare?
Il welfare e le nuove povertà
La crisi del welfare, fra economia ed etica
Riformare il welfare: nuove idee per la società globale

Il welfare

Il welfare: garantire a tutti l'accesso ai servizi indispensabili

Farsi carico delle persone a rischio

Un welfare o tanti welfare?

Il welfare e le nuove povertà

La crisi del welfare, fra economia ed etica

Riformare il welfare: nuove idee per la società globale

Che cos'è il welfare?

Che cos'è il welfare?

Il welfare è il sistema sociale che vuole garantire a tutti i cittadini la disponibilità dei servizi sociali ritenuti indispensabili. In italiano è detto “Stato sociale”.

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Nella storia, le forme di assistenza da parte dello Stato sono molto antiche, ma lo Stato sociale incomincia a svilupparsi a partire dal XVII secolo in ambito europeo, per consolidarsi nel XIX e XX secolo, di pari passo con l'evoluzione della civiltà industriale.
Ad esempio, fu la Svezia nel 1948 a introdurre per prima la pensione sociale fondata sul diritto di nascita: il welfare diviene così universale ed eguaglia i diritti civili e politici acquisiti degli individui.

I sistemi di welfare entrano in crisi a partire all'incirca dal 1980: si tratta infatti di meccanismi assistenziali che accrescono molto la spesa pubblica, di conseguenza, nei periodi di espansione economica, il welfare ha minore incidenza sulle risorse dello Stato, ma diventa meno sostenibile nelle fasi di stagnazione e crisi dell'economia. Se si studiano i sistemi di welfare oggi utilizzati si possono osservare elementi di globalizzazione [vedi Globalizzazione] di alcuni modelli, ma anche una grande varietà nelle modalità nelle quali il welfare è interpretato e attuato dai diversi Stati.
Le differenze principali non sono solo quelle tra i Paesi sviluppati e i Paesi più poveri, ma anche quelle tra gli stessi Paesi sviluppati, e riguardano tanto l’entità della spesa per il welfare  quanto le modalità tramite le quali l'assistenza sociale viene garantita.

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WELFARE

dalla filantropia a diritto acquisito

AMBITI COINVOLTI

Le diverse forme del welfare

Welfare: diritti per tutti o solo per alcuni?

Welfare e dibattito politico

Welfare o "Stato minimo"?

LA POSTA IN GIOCO

La riforma del welfare fra crisi e globalizzazione

WELFARE dalla filantropia a diritto acquisito

Le diverse forme del welfare

Welfare: diritti per tutti o solo per alcuni?

Welfare e dibattito politico

Welfare o "Stato minimo"?

La riforma del welfare fra crisi e globalizzazione

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Il welfare

Perché è un problema etico

I sistemi di welfare, spesso ispirati dall'ambito religioso, sono sempre esistiti nella storia dell'uomo, ma si sono sviluppati soprattutto a partire dall'evoluzione della produzione industriale [vedi Lavoro] nel XIX secolo, quando l'accesso gratuito o agevolato ai servizi pubblici essenziali (ad es. l'istruzione, la sanità) diventa di fatto un diritto dei cittadini, simile in questo ai diritti politici e civili. 

Oggi il welfare è attuato con molta varietà di forme, spesso ispirate a concetti diversi.

In alcuni Stati i servizi sono forniti direttamente dalle autorità pubbliche, in altri invece vengono gestiti dal mercato privato. In alcuni casi, poi, l'accesso ai servizi pubblici gratuiti è più o meno limitato (ad esempio in base al reddito), mentre altrove esso è garantito a tutti senza esclusioni.

A prescindere dalle forme con cui esso è organizzato, tuttavia, il welfare è ormai considerato, almeno nei paesi più sviluppati, un diritto acquisito, nonostante in ambito politico la parte conservatrice sia solitamente meno favorevole all'estensione generalizzata dei servizi di welfare.

Le opinioni contrarie al welfare sono rappresentate in particolare dai sostenitori dello "Stato minimo" come Robert Nozick. Vi è poi chi sostiene che a lungo termine un "eccesso di welfare" possa abituare i cittadini ad atteggiamenti rinunciatari, con l'effetto negativo di renderli sempre più dipendenti dall'aiuto esterno e sempre meno in grado di far fronte da soli alle necessità vitali. 

Negli ultimi due decenni la grave situazione di crisi economica globale ha spinto numerosi Stati a rivedere, quando non a ridurre, i programmi di assistenza pubblica. La discussione in materia è tuttora molto viva e numerosi studiosi, politici ed esperti hanno proposto soluzioni diverse, tutte mirate a una riforma del welfare  in senso positivo: secondo molti, ad esempio, non è più possibile  trascurare le implicazioni globali del welfare, in un mondo in cui i fenomeni migratori [vedi Migrazioni] hanno crescente importanza.

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Full social jacket: il welfare raccontato dai cittadini

Un documentario del 2011 realizzato dal Servizio Pubblico Federale Belga per la Sicurezza Sociale racconta, attraverso nove storie di vita reale, quali servizi hanno i cittadini a livello di assistenza sociale, sanitaria, previdenziale e occupazionale nei diversi Paesi europei.

Dopo aver lavorato 35 anni come dipendente e altri 15 come libero professionista, Heinz era convinto di potersi finalmente godere la pensione.
Peccato che quando quel giorno è arrivato ha scoperto che l'assegno netto era di 384,74 euro. E con un'assicurazione sanitaria minima di 213,92 euro e un affitto mensile di 505 euro, anche solo sopravvivere è diventato impossibile.
Così Heinz, a 70 anni, ha ripreso a lavorare: curando la contabilità di alcuni amici guadagna circa 150 euro, che, aggiunti a qualche risparmio e al part-time della moglie, gli permettono di arrivare a fine mese.
Una storia tutta italiana, verrebbe da dire, ma che invece Heinz racconta seduto nella sua casa di Berlino. Perché la crisi economica non ha colpito solo i Paesi dell'Est o del Sud, ma anche la Germania, la cosiddetta locomotiva d'Europa. Che però, a guardarla bene, perde i pezzi come tutti.
Nell'Unione Europea il welfare  cambia volto costantemente, a causa delle riforme strutturali che ogni Stato membro mette in atto per difendersi dalla crisi. Ma, spesso, i cittadini non ne conoscono gli effetti reali sino a quando non vi si imbattono in prima persona.
A raccontarli per la prima volta in un documentario dal titolo Full social jacket [cappotto sociale] è stato il Servizio Pubblico Federale Belga per la Sicurezza Sociale (FPS), che, nel 2011, ha iniziato a lavorare attorno a un'idea: capire come funzionano e come stanno cambiando i servizi sociali nei vari Paesi dell'Unione Europea e quali sono le conseguenze dirette per i cittadini e il loro benessere.
L'obiettivo non è solo aprire un dibattito sul tema per responsabilizzare le istituzioni locali ed europee davanti alle proprie scelte, ma connettere i cittadini, informarli «e capire tutti insieme di quale Full social jacket abbiamo bisogno per difenderci dal freddo della crisi», spiegano a Lettera43.it con una metafora Manuel Paolillo e Julien Schreiber, funzionari responsabili delle questioni sociali per FPS.
Per due anni Paolillo e Schreiber, 35 e 32 anni, ideatori e curatori del progetto, hanno lavorato insieme con le amministrazioni locali, i sindacati, le associazioni no profit e i singoli cittadini per realizzare il documentario.
«Ci siamo accorti che le persone avevano molto da dire, ma spesso restavano inascoltate», dice Paolillo. «Per dare loro voce potevamo scrivere un bel rapporto documentato con tutti i dati su quello che stava succedendo, ma chi lo avrebbe letto?».
Come spiega nel video Frank Vandenbroucke, professore di Analisi Economica Sociale all'Università Cattolica di Leuven, nelle Fiandre, «il dibattito sul fatto che l'Unione Europea debba avere o no una politica sociale dura da 50 anni, ed è stato sempre ritenuto interessante, ma mai necessario».
Una disattenzione non più tollerabile, soprattutto adesso che – aggiunge il segretario generale della Confederazione Europea dei Sindacati (ETUC) Bernardette Sègol – «le riforme strutturali volute dalla Commissione Europea attaccano lo Stato sociale e distruggono ogni dialogo tra i cittadini».

Un dialogo che il progetto Full social jacket vuole invece ricreare, facendo emergere tutti i problemi sociali legati all'impatto della crisi, ma anche le buone pratiche e i servizi di eccellenza che alcuni Paesi ancora garantiscono.
C'è l'odissea di Gabrielle, che, ad Amsterdam, lotta per trovare un contratto di affitto decente in un mercato sempre più difficile per chi è un lavoratore precario e ha sempre più bisogno di politiche sociali per le abitazioni. Ci sono i racconti di Severine e Greg, che, a Lione, dopo aver accompagnato migliaia di disoccupati alla ricerca di un lavoro, si sono trovati essi stessi a doversene cercare uno e ad affrontare le difficoltà materiali e psichiche che ciò comporta.
Ma c'è anche la bella storia di Annelis, una madre cieca di due figli, che con coraggio vive e lavora a Gand. Grazie anche ai servizi che lo Stato belga le offre.
«Non ci sono solo storie drammatiche», spiega Paolillo. «E non volevamo neanche fare una classifica dei Paesi dove si vive meglio o peggio», aggiunge Schreiber.
Mancano, per esempio, testimonianze dai Paesi sottomessi al programma di risanamento stabilito dalle autorità finanziarie dell'Unione Europea o dai Paesi dell'Est, «ma nelle storie che abbiamo raccontato tutti si possono identificare o trovare le differenze, al di là della propria provenienza».
Ormai «l'Europa non ha davvero più confini e sempre più spesso i problemi e i cambiamenti sociali accomunano tutti».

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Copertina

La definizione

Il problema

Il fatto

Il welfare è:

  • un sistema di assistenza sociale diffuso esclusivamente in Europa

  • il sistema che gestisce ed eroga le pensioni

  • il sistema che garantisce a tutti i cittadini i servizi sociali ritenuti indispensabili

  • il sistema che gestisce la sanità e le scuole

3

Il welfare:

  • era più diffuso nell'antichità

  • nasce in Svezia nel 1948

  • entra in crisi alla fine del xx secolo

  • ha risolto quasi completamente il problema della povertà

3

Oggi il welfare:

  • esiste soltanto nei Paesi occidentali

  • deve fare i conti con la crisi economica globale

  • è ormai ampiamente diffuso anche nei Paesi più poveri

  • riguarda un numero sempre minore di persone

2

La Chiesa Cattolica sostiene che:

  • chi ha più mezzi deve porsi in atteggiamento di aiuto

  • il welfare va riservato solo ai cattolici

  • il welfare è esclusiva competenza delle autorità pubbliche

  • il welfare non deve essere esteso ai migranti stranieri

1

Domande per riflettere

  • Quali esempi di welfare vi vengono in mente se pensate alla vita di tutti i giorni?

  • Potete anche voi raccontare una storia legata al welfare?

  • Che servizi di assistenza offre il vostro Comune?

  • E la vostra Parrocchia ha dei programmi di assistenza gratuita rivolti ai più sfortunati?

  • Quali sono le principali cause di difficoltà che affrontano le persone che conoscete?
    Pensate alla vostra famiglia, al quartiere o alla città in cui vivete.

  • In un periodo in cui le risorse economiche per il welfare sono scarse, a causa della crisi, è possibile trovare soluzioni alternative per aiutare chi si trova in difficoltà?

Dilemmi per discutere

Il welfare:

“Non risolve i bisogni reali degli individui, poiché li abitua a dipendere dagli altri”

“Aiuta gli individui a superare momenti molto difficili e li spinge a migliorare”

Lo Stato:

“Deve impegnarsi direttamente nell'assistenza ai membri più svantaggiati della società”

"Deve lasciare maggior spazio al mercato privato, alle associazioni, al volontariato”

L'assistenza pubblica:

“Deve essere riservata soltanto ai cittadini italiani”

“Va garantita a chiunque si trovi in difficoltà, a prescindere dalla nazionalità o da altri caratteri di appartenenza”

Il ruolo dei soggetti privati nel welfare:

“Deve essere valorizzato e tutelato, perché ha un ruolo significativo”

“Deve essere molto limitato, perché rischia di dare origine a fenomeni di corruzione e di spreco delle risorse”

Fare il punto

Riflettere

Discutere

Il welfare | Per approfondire

Che cosa dice la Legge

In Italia il welfare è regolato in ambito legislativo da numerosi testi di legge nazionali e regionali, oltre che dai provvedimenti assunti dalle singole autorità municipali.
A livello europeo, la materia è affidata alla Direzione Generale Occupazione, Affari Sociali e Inclusione della Commissione Europea, che ha, per esempio, recentemente pubblicato il “2013 Employment and Social Developments in Europe Review”, un rapporto che ogni anno “fotografa” i cambiamenti socio-economici in Europa e monitora le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini nei diversi Stati membri, con l'obiettivo di informare i politici sulle necessità in termini di politiche sociali.

Commissariato agli affari sociali, UE

Le conseguenze sociali dell'attuale crisi finanziaria sono molto gravi, con alti livelli di sofferenze finanziarie, l'aumento della povertà e dell'esclusione sociale e con livelli record di disoccupazione, specialmente fra i giovani. Gli investimenti sociali sono la chiave per emergere da una crisi peggiore, più uniti e più competitivi.

Anche se i budget sono votati al risparmio, gli Stati membri devono concentrarsi sugli investimenti, sul capitale umano e sulla coesione sociale. Investire sul sociale oggi serve a prevenire domani costi finanziari e sociali più alti.

Laszlo Andor, Commissario agli Affari Sociali dell'Unione Europea, Presentazione delle linee guida UE sul welfare, 20 febbraio 2013

Il welfare | Per approfondire

Il parere della Chiesa Cattolica

La Chiesa Cattolica, attraverso la sua Dottrina Sociale, fornisce indirizzi che si applicano esplicitamente anche agli ambiti interessati dal welfare.
La Chiesa Cattolica non si limita, però, all'ambito dottrinario, ma opera direttamente nel settore del welfare attraverso la sua rete istituzionale e le diverse associazioni coinvolte nella prestazione di servizi ai più svantaggiati.

Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Il principio di sussidiarietà

All'attuazione del principio di sussidiarietà corrispondono: il rispetto e la promozione effettiva del primato della persona e della famiglia; la valorizzazione delle associazioni e delle organizzazioni intermedie, nelle proprie scelte fondamentali e in tutte quelle che non possono essere delegate o assunte da altri; l'incoraggiamento offerto all'iniziativa privata, in modo tale che ogni organismo sociale rimanga a servizio, con le proprie peculiarità, del bene comune; l'articolazione pluralistica della società e la rappresentanza delle sue forze vitali; la salvaguardia dei diritti umani e delle minoranze; il decentramento burocratico e amministrativo; l'equilibrio tra la sfera pubblica e quella privata, con il conseguente riconoscimento della funzione sociale del privato; un'adeguata responsabilizzazione del cittadino nel suo "essere parte" attiva della realtà politica e sociale del Paese.


Carlo Caffarra, Che cosa significa sussidiarietà

Sussidiarietà significa che «tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto […], quindi di sostegno, promozione e sviluppo rispetto alle minori» [Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 186]. Sussidiarietà significa corrispondentemente che il bene comune della nostra città è raggiunto solo se sui contenuti essenziali del medesimo bene c'è l'accordo e la condivisione delle municipalità, delle imprese e della società civile organizzata nel cosiddetto terzo settore.
Questa architettura sociale favorisce la responsabilità delle singole persone e dei gruppi sociali; impone ai tre soggetti suddetti di cooperare secondo la propria natura e la finalità propria.

Il welfare | Per approfondire

Il parere delle diverse religioni


Luigi Santovito, L'esempio del welfare prescritto da Allah

L’economia islamica si basa sul rispetto della proprietà privata, sull’uso che se ne fa, in modo che non siano prevaricati gli interessi della comunità, evitando così i monopoli, sul divieto degli interessi bancari, sulla garanzia di un salario minimo e su un’organizzazione fiscale tale da generare un gettito utilizzabile per le esigenze della comunità (la zakat).

La zakat è uno dei tre pilastri del modello islamico, insieme al concetto di riba e di halal, ed è la base dell’impianto di welfare islamico. Per zakat si intende un dovere prescritto da Allah e accettato dai musulmani nell’interesse della comunità nel suo complesso. La parola coranica non comprende solo i concetti di carità, elemosina, decima, cortesia, tassa ufficiale, contributo volontario, ma unisce tutto questo a elementi spirituali ed etici.


Paolo Borioni, Religione e Welfare State nei Paesi del Nord Europa

Le Chiese luterane nordiche concepiscono lo Stato, la politica democratica, come fattore indispensabile dell’autonomia individuale, realizzando con particolare coerenza (sebbene tutt’altro che alla perfezione) la modernità come democrazia sociale europea.
Viceversa la “dottrina economica liberale anglosassone”, come la chiamano i vescovi finlandesi, è frutto di una modernità fissatasi sul vecchio dualismo “liberalismo-monarchia”, anziché su quello drammaticamente attuale: “capitalismo-socialità”. Per i vescovi finlandesi la radice del modello socio-politico nordico è che con la Riforma luterana: «si cominciò a vedere che Dio stesso distribuiva i doni del creato all’umanità. Si pensò che la responsabilità sociale cristiana dovesse seguire lo stesso principio: distribuire i beni dall’alto verso il basso». Ciò è stato a volte denunciato come paternalismo. La realtà nordica smentisce completamente queste interpretazioni: sono inconciliabili col paternalismo i diritti sociali di cittadinanza (universalismo), l’auto-organizzazione operaia più massiccia in assoluto, attraverso il sistema Ghent e i più alti tassi di occupazione e di mobilità sociale del mondo.
Si tratta non di paternalismo, ma all’opposto di tendenziale eguaglianza. Ovvero, ci dicono i vescovi, la Riforma luterana è: «Comprendere, come società, che nessuno doveva necessariamente essere povero, e nessuno emarginato…». Ciò, tanto più, in una società capitalista, che produce molto più del necessario a questo fine. E che, se non riformata, impedisce la vera libertà individuale, ovvero una collettività esistenzialmente equilibrata e moralmente sensibile.


Harry Kaplan, Il servizio sociale ebraico negli Stati Uniti

Le origini del servizio sociale ebraico risalgono ai primi stanziamenti degli emigranti ebrei negli Stati Uniti. A seguito di ciò, gli stessi ebrei crearono degli uffici di assistenza con il compito di accogliere i nuovi giunti e di provvedere loro le prime necessità della vita. Lentamente i servizi aumentarono sino a prevedere ampi programmi di assistenza da parte anche del governo a partire dal 1929.
Il concetto di servizio sociale “ebraico” è basato sul principio talmudico di carità inteso come processo teso a determinare l'autonomia dell'utente. Il servizio sociale ebraico godeva anche di uno sperimentale e quanto mai efficiente sistema di assistenza sanitaria per un totale di 58 ospedali dislocati negli Stati Uniti. In seguito all'avvento del nazismo fu creato anche un “servizio rifugiati” che prevedeva l'assistenza a oltre 200 000 immigrati, specialmente tedeschi, sfuggiti alle persecuzioni.

Il welfare | Per approfondire

La parola agli esperti: "perché sì"

Le posizioni a favore del welfare sono espressione sia dei diversi ambiti religiosi (si pensi per esempio ai dettami del Vangelo o al concetto islamico di zakat) sia di ambiti filosofici e politici che si sono affermati soprattutto a seguito della Rivoluzione industriale.

Oggi il dibattito sul welfare è fortemente condizionato dalla crisi economica globale e impegna gli esperti nella ricerca di soluzioni positive che permettano di non ridurre l'offerta di servizi essenziali gratuiti e di rispondere alle sfide della globalizzazione [vedi Globalizzazione], della precarietà e delle nuove forme di povertà.

Laura Pennacchi, La moralità del welfare

Welfare State  è ormai diventata un’espressione sconveniente.
Da qualche tempo impera una sorta di tirannia degli stereotipi del neoliberismo, impostasi sia sul piano teorico sia su quello empirico. Va di moda predicare la destatalizzazione, il trionfo di un ordinamento privatistico su scala globale, l’integrazione pre-politica e pre-statale della società mondiale affidata all’automatico coordinamento del mercato, l’isolamento e la spoliticizzazione dei cittadini, che renderebbero superflua la creazione della cittadinanza e dell’identità civica.
Nonostante i ripetuti fenomeni di crisi (specie finanziaria) che attraversano le nostre economie e le nostre società, il neoliberismo non si mostra per niente in disarmo; l’ultima tendenza, che nella versione nostrana ha conosciuto recenti successi editoriali, sta nella sua aggressiva riproposizione “populista”, volta a criticare gli eccessi del “mercatismo”, e a rilanciare strategie – o tattiche? – di autodifesa protezionistica.

È necessario affrontare in modo ragionato questi influenti luoghi comuni, troppo spesso subiti acriticamente, e discuterli con rigore e competenza, senza rinunciare a quella vis polemica che sembra ormai smarrita. Ne scaturisce la necessità di difendere con convinzione non solo l’efficacia, ma anche la moralità delle politiche di redistribuzione, cui lo Stato non può rinunciare se vuole ancora perseguire il suo conclamato presupposto di equità.
È in gioco la democrazia stessa, al cui fondamento vi è un’idea di libertà intesa non come mero attributo individuale, ma come impegno sociale e tensione egualitaria.


Laura Puppato, Rafforzare gli strumenti del welfare

Una tendenza crescente, che si autolegittima anche in nome della crisi, vede nei servizi dovuti al cittadino l’ultima frontiera da cui spremere altri soldi ai contribuenti. I servizi perdono così la connotazione di strumenti con cui attuare principi e diritti sanciti dalla Costituzione e diventano merce. La strategia volta a privatizzare il cosiddetto welfare quale strumento per “uscire dalla crisi”, va respinta in quanto destinata a creare i presupposti per una crisi ancora peggiore.

Gli strumenti del welfare vanno invece consolidati e implementati per creare condizioni di piena cittadinanza a sostegno delle famiglie e delle loro parti più deboli.

Tra i Paesi europei l’Italia è al penultimo posto quanto a spesa per la famiglia, alla quale viene devoluto solo il 4,7% della spesa sociale (circa la metà di quanto avviene nel resto d’Europa). È necessario recuperare la soluzione proposta dal “forum delle famiglie” in Italia, considerando il costo economico di ogni nuovo nato in ogni famiglia e moltiplicandolo per il numero dei familiari a carico: la cifra così determinata andrà ad essere esente da imposte fino al raggiungimento del reddito lordo del soggetto titolare di reddito. Questa misura comporterebbe da subito incrementi di reddito variabili tra i 200 e gli oltre 1000 €/mese a famiglia.

La società di oggi è dinamica, si auto-organizza e il settore no profit risponde frequentemente alle domande che lo Stato lascia inevase, sostenendo una parte non solo sussidiaria del welfare. Questa società intelligente, che spinge le persone a mettersi insieme per dare risposte sociali, va valorizzata e queste risposte vanno verificate e sostenute. È giusto che chi opera in modo da essere utile alla società venga favorito da particolari sgravi fiscali: non solo lo Stato deve erogare e sostenere progetti, ma anche riconoscere il lavoro sociale e premiare fiscalmente quello che viene prodotto. Appare anche utile prendere in considerazione delle forme di credito scolastico che riconoscano agli studenti impegnati nel volontariato il valore formativo di queste esperienze di condivisione sociale.

La gente vive sempre più a lungo e la longevità implica problemi non marginali di assistenza e cura. Come i bambini sono affidati a personale appositamente preparato, altrettanto deve avvenire per gli anziani, perché non è pensabile di lasciarli alla buona volontà delle badanti, persone rispettabilissime ma il più delle volte prive dei requisiti necessari. L’assistente per l’anziano (nelle strutture pubbliche e private o a domicilio) e per il disabile di tutte le età deve avere un titolo di studio a livello universitario o una preparazione specifica e la sua professione va remunerata di conseguenza. Il bacino di domanda sarebbe sicuramente cospicuo e le opportunità di lavoro assai rilevanti e non più sottovalutate o sottopagate. L’assistenza a domicilio, che è più a misura d’uomo e meno onerosa, deve essere avvantaggiata rispetto a quella effettuata nelle strutture pubbliche.


Paul Krugman, Insegnanti e welfare contro la depressione economica

Il messaggio che Paul Krugman sottolinea con insistenza nel suo libro Fuori da questa crisi, adesso è che il male va combattuto, oggi come allora, con un deciso intervento statale. «Abbiamo bisogno che i nostri governi spendano di più, non di meno – sintetizza il cinquantanovenne docente alla Princeton University – perché quando la domanda privata è insufficiente, questa è l'unica soluzione. Assumere insegnanti. Costruire infrastrutture. Fare quello che fu fatto con la Seconda Guerra Mondiale, possibilmente scegliendo spese utili».

Quell'avverbio “adesso” che tuona nel titolo del suo libro, Krugman lo esplicita senza esitazioni: se l'Occidente applicasse la ricetta giusta, potremmo essere fuori da questa crisi in 18 mesi. Un anno e mezzo! Attenzione: questa non è una promessa da comizio elettorale. Il bello di Krugman, quello che ti affascina nel personaggio, è l'impegno con cui tiene insieme il suo “ruolo pubblico”, di opinionista schierato e aggressivo, con il rigore scientifico del teorico che macina grafici e statistiche come un computer. Capace di passare dall'uno all'altro in pochi istanti, per rispondere all'obiezione politica principale: la sua ricetta oggi appare inascoltata, inapplicabile, impraticabile, perché siamo terrorizzati dal livello del debito pubblico. 

Non è solo un problema europeo. Anche qui negli Stati Uniti 15 300 miliardi di dollari di debiti, quasi il 100% del Pil, sembrano un ostacolo insormontabile per la sua terapia keynesiana. «Falso, falso –  risponde secco –  anzitutto dal punto di vista storico. In passato gli Stati Uniti ebbero un debito ancora superiore, durante le Seconda Guerra Mondiale; la Gran Bretagna per quasi un secolo. Il Giappone ha tuttora un debito statale molto più elevato in percentuale del suo Pil eppure paga interessi dello 0,9% sui suoi buoni del Tesoro. Quindi non esistono soglie di insostenibilità come quelle che ci vengono propagandate. Inoltre è dimostrato, e lo vediamo accadere sotto i nostri occhi, che in tempi di depressione le politiche di austerity aggravano il problema: accentuano la recessione, di conseguenza cade il gettito fiscale, così in seguito ai tagli il debito aumenta anziché diminuire».

Resta però il problema politico, e non solo in Europa, dove c'è un ostacolo che si chiama Angela Merkel. Anche qui, Barack Obama non ha osato sfidare i repubblicani con una seconda manovra di spesa pubblica anti-crisi. «Anzitutto perché all'inizio Obama sottovalutò la gravità di questa crisi –  risponde Krugman –  mentre adesso sta cambiando posizione. Il fatto è che a lui conviene battersi fino in fondo per le sue idee, tenere duro, non cercare compromessi. Se Obama vince a novembre, io credo che governerà meglio nel suo secondo mandato».


Un'altra obiezione frequente alla sua ricetta keynesiana, riguarda la qualità, l'efficacia, la rapidità della spesa pubblica. La macchina burocratica è spesso inefficiente, non solo nell'Europa mediterranea ma anche qui negli Stati Uniti. Krugman ha una risposta anche a questo. «La prima cosa da fare  –  spiega –  è cancellare l'effetto distruttivo dei tagli di spesa. Per esempio, qui negli Stati Uniti, bisogna cominciare col ri-assumere le migliaia di insegnanti licenziati a livello locale. Queste sono manovre di spesa dagli effetti istantanei. In Europa, la manovra equivalente è restituire le prestazioni del Welfare State che sono state ingiustamente tagliate».

Veniamo dunque al malato più grave del momento: i Paesi dell'euro. A questo paziente in coma, Krugman sta dedicando un'attenzione smisurata. Spesso i suoi editoriali sul “New York Times”  sono duri attacchi all'austerity d'impronta germanica, appelli ai dirigenti europei perché rinsaviscano prima che sia troppo tardi. «Guardate cos'è accaduto all'Irlanda –  dice  –cioè a un Paese che si può considerare l'allievo modello, il più virtuoso nell'applicare le ricette dell'austerity volute dal governo tedesco. L'Irlanda ha avuto una finta ripresa e poi è ricaduta nella recessione. All'estremo opposto ci sono quei Paesi asiatici, dalla Cina alla Corea del Sud, che hanno manovrato con energia le leve della spesa pubblica, e così hanno evitato la crisi». 

Krugman considera probabile l'uscita della Grecia dall'euro, ma lo preoccupa di più il “dopo”. Denuncia il rischio di un «effetto-domino, se la Germania non cambia strada». Avverte che le conseguenze di una disintegrazione dell'Unione «sarebbero perfino più gravi sul piano politico che su quello economico». I suoi modelli, oltre ai Paesi asiatici, sono la Svezia e perfino la piccola Islanda: «Perché dopo la bancarotta ha avuto il coraggio di cancellare tutti i propri debiti con le banche, negare i rimborsi ed è ripartita dopo una svalutazione massiccia».

Il welfare | Per approfondire

La parola agli esperti: "perché no"

Le posizioni contrarie al welfare, almeno nella sua tradizionale accezione, provengono soprattutto dall'ambito conservatore e neoliberista, e hanno avuto impulso recente anche a causa della situazione di crisi economica globale.
Numerosi esperti sottolineano poi i rischi delle politiche di welfare, che tendono a far diminuire l'impegno per il miglioramento individuale, per esempio nella ricerca del posto di lavoro. Altri, infine, pur non essendo contrari all'erogazione di servizi gratuiti ai cittadini, sostengono che sia necessario limitarne l'accesso con regole severe, che impediscano sprechi e premino soltanto i meritevoli.

Robert Nozick, Lo “Stato minimo”

Lo Stato deve interferire il meno possibile nella vita individuale: lo Stato deve essere minimo e non intrusivo.
I suoi compiti sono quelli del “guardiano notturno” della concezione liberale classica, cioè di garantire nell'ambito del proprio territorio il rispetto della legge, attraverso la punizione (con l'uso della forza) per chi trasgredisce. Soltanto uno Stato minimo, ridotto strettamente alle funzioni di protezione contro la forza, il furto, la frode, di esecuzione dei contratti, e così via, è giustificato; qualsiasi Stato più esteso violerà i diritti delle persone di non essere costrette a compiere certe cose, ed è ingiustificato. 
Al di fuori di questi compiti lo Stato non può e non deve andare, altrimenti lede i diritti degli individui: lo Stato non può usare il suo apparato coercitivo allo scopo di far sì che alcuni cittadini ne aiutino altri, o per proibire alla gente attività per il suo proprio bene e per la sua propria protezione. 
Uno Stato che pensasse di provvedere a redistribuire il reddito e a riequilibrare le condizioni sociali, perseguendo politiche di “riparazione” nei confronti delle persone meno avvantaggiate, è uno Stato che non considera le singole persone come fini, ma semplicemente come mezzi, in vista del bene della società, intesa come la maggior parte degli uomini (alla maniera dell'utilitarismo) o la totalità.
Non si può estendere alla società il discorso che vale per gli individui: come individuo, ciascuno di noi a volte preferisce sottoporsi a dolori o sacrifici per ottenere un benessere maggiore o per evitare un danno maggiore [...]. Perché non sostenere, analogamente, che qualche persona deve fare sacrifici da cui altre persone trarranno vantaggi maggiori, per amore del bene sociale complessivo? Ma un'entità sociale, il cui bene sopporti qualche sacrificio per il proprio bene, non esiste. Ci sono solo individui, individui differenti, con le loro vite individuali. Usando uno di questi individui per il vantaggio di altri, si usa lui e si giova agli altri e basta. Che cosa succede? Che gli viene fatto qualcosa a profitto di altri. Ciò è nascosto sotto il discorso del bene sociale complessivo. 
Comportandosi in questo modo lo Stato non rispetta, e non considera sufficientemente, il fatto che ogni persona è una persona separata e che la sua è l'unica vita che possiede. 
Quella persona non riceve dal suo sacrificio un bene che ne superi il valore, e nessuno ha facoltà di imporglielo, e meno di tutti uno Stato o un governo che pretenda la sua fedeltà e che perciò deve essere scrupolosamente neutrale nei confronti dei propri cittadini. In definitiva, non sembra giustificato alcun sacrificio da parte di un individuo per solidarietà con gli altri. 


Carlo Carboni, La crisi del welfare 1.0

La doppia critica dei conservatori al paradigma dominante era semplice ed efficace.
In economia, l'aumento di spesa sociale statale danneggia la crescita economica per l'incremento della tassazione che essa comporta. Sul piano morale, il Welfare State perpetua la dipendenza di coloro che da esso dipendono, tende a creare una platea passiva di beneficiari. Soprattutto, non evidenzia mai doveri e responsabilità dei cittadini. Il Welfare State “all'italiana”, manovrato da partiti forti e da istituzioni deboli, aveva preso fin dalle origini una via assistenziale e clientelare, complici i corporativismi e i campanilismi. Proprio i corporativismi, i campanilismi, il mercato politico del consenso e una burocrazia statale autoreferenziale hanno impedito che la doppia critica dei conservatori facesse breccia anche nel nostro Paese. Così, mentre l'Europa continentale, spinta dalla parte “costruttiva” della critica neocon, iniziava nell'ultimo ventennio un percorso di ri-socializzazione a favore delle social obligations, con la crescita di politiche sociali attive e proattive e con l'incremento di servizi alle famiglie, in Italia il rinnovamento del welfare è andato a rilento e con rendimenti deludenti.

La crisi del Welfare State di prima generazione si è acuita non tanto per le critiche dei conservatori quanto per i mutamenti strutturali degli ultimi due decenni, forieri di dinamiche postmoderne associate a un futuro incerto e sfocato. Un imprevedibile cambiamento trainato da finanza, tecnologia, flessibilità e globalizzazione [vedi Globalizzazione] ha sollevato una complessità transnazionale e subnazionale potenzialmente disorientante, vaporizzando molte delle tradizionali assunzioni economiche e convenzioni sociali: le economie europee possono dirsi ancora nazionali? I loro mercati e il loro benessere sono ancora influenzati in via primaria dai governi nazionali?

Al tradizionale obiettivo della piena occupazione si sostituisce, in atmosfera postindustriale, una costosa gestione della flessibilità sul mercato del lavoro. In questi anni di crisi, nei Paesi che non si possono permettere la flexicurity, come in Italia (che aveva già un debito pubblico elevato per via dei costi dissipativi del Welfare State clientelare-assistenziale) si è formata una sorta di disoccupazione strutturale di giovani e donne.
Un punto di partenza per un welfare 2.0 è perciò l'idea, ormai diffusa, che il Welfare State, appesantito dal debito, non sia in grado di proteggere dai rischi dei mercati se non diventando esso stesso un fattore competitivo per i Paesi: meglio offrire ex-ante pari opportunità che intervenire ex-post sulle disuguaglianze. Il welfare deve trasformarsi da costo in un investimento che rende i Paesi competitivi: questo è solo il primo passo per raccogliere la sfida intellettuale.

Quella politica, nel momento in cui oggi s'intensificano i dilemmi decisionali che vedono impotenti gli Stati europei (sul lavoro, sulle disuguaglianze crescenti, sulla tassazione e le finanze pubbliche), dovrebbe definire cosa possa significare più Europa per un Welfare State e per un'economia mista di seconda generazione. Ce ne sono tracce nell'evoluzione dei welfare continentali: uno Stato asciugato da privilegi, clientelismi e sprechi; politiche sociali proattive; più mix di pubblico e privato perché lo Stato non basta, soprattutto ora che i sistemi familiari sono destabilizzati nei loro ruoli di ammortizzatore sociale e di regolatore delle relazioni di genere e intergenerazionali.


Cosimo Magazzino, Per una critica e una riforma del welfare

Bisognerebbe riscrivere la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del dicembre 1948: lì troviamo sanciti – accanto alla triade liberale vita-libertà-proprietà, anche i cosiddetti diritti di welfare, vale a dire a prestazioni da parte di altri uomini, garantite dallo Stato.

Ma il nodo sta nella scelta delle dimensioni dello Stato: esse, a nostro avviso, debbono essere minime. Ciò in virtù del fatto che lo Stato, per sua intrinseca natura, è spesso inefficiente e privo di sistemi di controlli, di incentivi e sanzioni. Le ricompense “a pioggia” dei sistemi universalistici costituiscono la regola piuttosto che l’eccezione. Gli sprechi sono pari alla spesa in  eccesso rispetto ai servizi forniti, e frequenti i nonsensi (si pensi al regime del tutto insoddisfacente vigente in Italia riguardo alle pensioni di reversibilità). Dinnanzi ad un Welfare State in crisi di legittimità teorica, non rimane forse che lasciar fare allo Stato poche cose, in quei campi in cui il meccanismo di free market avrebbe maggiori difficoltà ad operare.

Non vanno, peraltro, sottaciute le importanti riforme strutturali di cui il Paese ha evidente necessità, e che oltre a riqualificare la spesa pubblica condurrebbero anche a una maggiore crescita economica: dalla riforma del welfare alla revisione del sistema fiscale e tributario, dalla riduzione del cuneo fiscale alla riforma della giustizia, dalla revisione del sistema previdenziale alla riorganizzazione della Pubblica Amministrazione, dalla riforma del mercato del lavoro a quella del settore universitario e della ricerca scientifica, fino alle riforme istituzionali, con una semplificazione del quadro politico.

GlossarioBiografie

Cuneo fiscale

Nel mercato del lavoro, il termine indica il rapporto percentuale tra tutte le imposte sul lavoro (dirette, indirette e contributi previdenziali) e il costo del lavoro.


Economia keynesiana

Scuola di pensiero economico che sostiene la necessità, da parte dello Stato, di intervenire a sostegno della domanda di beni e servizi (per esempio aumentando la spesa pubblica), generando così un meccanismo benefico per l’intera economia.


Flexicurity

Strategia integrata finalizzata allo sviluppo contemporaneo della flessibilità e della sicurezza nel mercato del lavoro.


Neoconservatori

Denominazione assunta da alcuni intellettuali americani (il primo fu I. Kristol, n. 1920) che durante gli anni Settanta del XX secolo assunsero posizioni critiche verso la sinistra (da cui provenivano).
A differenza dei conservatori 'tradizionali', non sono isolazionisti in politica estera, né rigidamente liberisti in politica economica: sono favorevoli, per esempio, a usare il deficit del bilancio statale come mezzo per stimolare l'economia.


Neoliberismo

Indirizzo di pensiero economico che insiste sulla necessità di garantire la massima libertà di mercato, sottolineando gli inconvenienti dell’intervento dello Stato in materia economica, ritenuto spesso inefficace, sempre tardivo, pesante e potenziale fonte di ingiustizia.


Politiche sociali

Programmi e interventi coordinati, solitamente attuati e promossi dalle istituzioni pubbliche, che hanno lo scopo di affrontare problemi o di promuovere valori relativi alla società in genere o a settori di essa (per es., le persone svantaggiate, i disoccupati, le donne).


Principio di sussidiarietà

Principio e criterio di ripartizione delle funzioni e delle competenze amministrative all’interno dell’ordinamento giuridico, tra livelli equivalenti di governo (sussidiarietà orizzontale) o tra diversi livelli di governo territoriali (sussidiarietà verticale).


Riforma

Modificazione sostanziale e in base a un’azione legittima (per es. per opera del Parlamento) di un ordinamento, di una legge, di uno stato di cose.


Sistema Ghent

Denominazione che contraddistingue gli accordi vigenti in alcuni Paesi e in base ai quali la responsabilità della gestione dei sussidi sociali (per esempio le indennità di disoccupazione) è affidata ai sindacati anziché, come solitamente avviene, ad agenzie governative.


Talmud

Uno dei testi sacri dell’ebraismo: è una raccolta di discussioni avvenute tra i sapienti e i maestri sul significato e l’attuazione dei passi della Torah scritta.


Terzo Settore

L’insieme di istituzioni che, all'interno del sistema economico, si collocano tra lo Stato e il mercato, ma non sono riconducibili né all’uno né all’altro; si tratta infatti di  soggetti e organizzazioni di natura privata ma volti alla produzione di beni e servizi a destinazione pubblica o collettiva (cooperative sociali, associazioni di volontariato, organizzazioni non governative ecc.).


Utilitarismo

Concezione filosofica che indica nell’utilità il criterio dell’azione morale: può essere riassunta nell’affermazione di Bentham (considerato il fondatore dell’utilitarismo) secondo il quale è utile ciò che ha come conseguenza la più grande felicità del maggior numero di persone.


Borioni

Borioni, Paolo

Paolo Borioni è nato nel 1964, è uno storico che ha studiato in particolare i sistemi di welfare del Nord Europa.

Caffarra

Caffarra, Carlo

Carlo Caffarra è nato nel 1938: cardinale cattolico, è arcivescovo metropolita di Bologna.

Carboni

Carboni, Carlo

Carlo Carboni è docente di Sociologia del lavoro all'Università delle Marche e autore di numerosi saggi dedicati al welfare.

Kaplan

Kaplan, Harry

Harry Kaplan (1901-1969), originario di Minneapolis, negli Stati Uniti, è stato rabbino e docente universitario, nonché autore di numerosi saggi dedicati alla storia degli ebrei negli Stati Uniti.

Krugman

Krugman, Paul

Paul Krugman è nato negli Stati Uniti nel 1953: economista, docente universitario, ha vinto il premio Nobel per l'economia 2008 ed è autore di numerosi saggi di successo.

Magazzino

Magazzino, Cosimo

Cosimo Magazzino è nato nel 1980, svolge attività di ricerca in ambito di politiche sociali e dei servizi pubblici presso l'Università Roma Tre.

Nozick

Nozick, Robert

Robert Nozick (1938-2002), statunitense, è stato docente di filosofia all'Università di Harvard e ha sovente espresso idee innovative e controverse.

Pennacchi

Pennacchi, Laura

Laura Pennacchi è nata nel 1948: filosofa ed economista, è stata parlamentare e ha lavorato a lungo sulle tematiche del welfare.

Puppato

Puppato, Laura

Laura Puppato è nata nel 1957: imprenditrice, attivista per i diritti civili, è senatrice dal 2013.

Santovito

Santovito, Luigi

Luigi Santovito è nato nel 1980 ed è economista e analista finanziario: ha scritto numerosi saggi dedicati ai temi etico-filosofici della finanza.

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Glossario Biografie

Cuneo fiscale

Nel mercato del lavoro, il termine indica il rapporto percentuale tra tutte le imposte sul lavoro (dirette, indirette e contributi previdenziali) e il costo del lavoro.

Economia keynesiana

Scuola di pensiero economico che sostiene la necessità, da parte dello Stato, di intervenire a sostegno della domanda di beni e servizi (per esempio aumentando la spesa pubblica), generando così un meccanismo benefico per l’intera economia.

Flexicurity

Strategia integrata finalizzata allo sviluppo contemporaneo della flessibilità e della sicurezza nel mercato del lavoro.

Neoconservatori

Denominazione assunta da alcuni intellettuali americani (il primo fu I. Kristol, n. 1920) che durante gli anni Settanta del XX secolo assunsero posizioni critiche verso la sinistra (da cui provenivano).
A differenza dei conservatori 'tradizionali', non sono isolazionisti in politica estera, né rigidamente liberisti in politica economica: sono favorevoli, per esempio, a usare il deficit del bilancio statale come mezzo per stimolare l'economia.

Neoliberismo

Indirizzo di pensiero economico che insiste sulla necessità di garantire la massima libertà di mercato, sottolineando gli inconvenienti dell’intervento dello Stato in materia economica, ritenuto spesso inefficace, sempre tardivo, pesante e potenziale fonte di ingiustizia.

Politiche sociali

Programmi e interventi coordinati, solitamente attuati e promossi dalle istituzioni pubbliche, che hanno lo scopo di affrontare problemi o di promuovere valori relativi alla società in genere o a settori di essa (per es., le persone svantaggiate, i disoccupati, le donne).

Principio di sussidiarietà

Principio e criterio di ripartizione delle funzioni e delle competenze amministrative all’interno dell’ordinamento giuridico, tra livelli equivalenti di governo (sussidiarietà orizzontale) o tra diversi livelli di governo territoriali (sussidiarietà verticale).

Riforma

Modificazione sostanziale e in base a un’azione legittima (per es. per opera del Parlamento) di un ordinamento, di una legge, di uno stato di cose.

Sistema Ghent

Denominazione che contraddistingue gli accordi vigenti in alcuni Paesi e in base ai quali la responsabilità della gestione dei sussidi sociali (per esempio le indennità di disoccupazione) è affidata ai sindacati anziché, come solitamente avviene, ad agenzie governative.

Talmud

Uno dei testi sacri dell’ebraismo: è una raccolta di discussioni avvenute tra i sapienti e i maestri sul significato e l’attuazione dei passi della Torah scritta.

Terzo Settore

L’insieme di istituzioni che, all'interno del sistema economico, si collocano tra lo Stato e il mercato, ma non sono riconducibili né all’uno né all’altro; si tratta infatti di  soggetti e organizzazioni di natura privata ma volti alla produzione di beni e servizi a destinazione pubblica o collettiva (cooperative sociali, associazioni di volontariato, organizzazioni non governative ecc.).

Utilitarismo

Concezione filosofica che indica nell’utilità il criterio dell’azione morale: può essere riassunta nell’affermazione di Bentham (considerato il fondatore dell’utilitarismo) secondo il quale è utile ciò che ha come conseguenza la più grande felicità del maggior numero di persone.

Borioni

Paolo Borioni

Paolo Borioni è nato nel 1964, è uno storico che ha studiato in particolare i sistemi di welfare del Nord Europa.

Caffarra

Carlo Caffarra

Carlo Caffarra è nato nel 1938: cardinale cattolico, è arcivescovo metropolita di Bologna.

Carboni

Carlo Carboni

Carlo Carboni è docente di Sociologia del lavoro all'Università delle Marche e autore di numerosi saggi dedicati al welfare.

Kaplan

Harry Kaplan

Harry Kaplan (1901-1969), originario di Minneapolis, negli Stati Uniti, è stato rabbino e docente universitario, nonché autore di numerosi saggi dedicati alla storia degli ebrei negli Stati Uniti.

Krugman

Paul Krugman

Paul Krugman è nato negli Stati Uniti nel 1953: economista, docente universitario, ha vinto il premio Nobel per l'economia 2008 ed è autore di numerosi saggi di successo.

Magazzino

Cosimo Magazzino

Cosimo Magazzino è nato nel 1980, svolge attività di ricerca in ambito di politiche sociali e dei servizi pubblici presso l'Università Roma Tre.

Nozick

Robert Nozick

Robert Nozick (1938-2002), statunitense, è stato docente di filosofia all'Università di Harvard e ha sovente espresso idee innovative e controverse.

Pennacchi

Laura Pennacchi

Laura Pennacchi è nata nel 1948: filosofa ed economista, è stata parlamentare e ha lavorato a lungo sulle tematiche del welfare.

Puppato

Laura Puppato

Laura Puppato è nata nel 1957: imprenditrice, attivista per i diritti civili, è senatrice dal 2013.

Santovito

Luigi Santovito

Luigi Santovito è nato nel 1980 ed è economista e analista finanziario: ha scritto numerosi saggi dedicati ai temi etico-filosofici della finanza.

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