La maggior parte dei contributi a favore della globalizzazione sottolinea, in contrapposizione esplicita con l'approccio no global, i vantaggi che i processi di globalizzazione recano a individui e popoli che vedono improvvisamente migliorare le proprie condizioni di vita e le proprie possibilità di costruirsi un futuro.
Per i sostenitori della globalizzazione, un approccio regolato, che preveda tutele per i più deboli, a un fenomeno inevitabile e inarrestabile è la migliore ricetta per il successo.
Ulli Kulke, La globalizzazione e i paesi in via di sviluppo
Alcuni economisti asiatici come Jagdisch Bhagwati o Surjit Bhalla hanno evidenziato quanto positivo sia il commercio con l’estero per lo sviluppo dei paesi, anche quelli più poveri. Oggi questo si riscontra non solo nel diverso sviluppo del “fu” Terzo Mondo, con l’Asia in forte crescita e l’Africa invece che ancora soffre per le sue ataviche difficoltà.
Anche all’interno dei paesi emergenti dove maggiore è l’incremento del reddito e del benessere si osserva che lo sviluppo è favorito dalla presenza dei porti e delle infrastrutture per il commercio.
La Cina è in questo senso paradigmatica: forte miglioramento sulla costa dove fiorisce l’interscambio economico con il resto del mondo, povertà ancora molto diffusa nelle campagne. L’Onu aveva indicato nel 2015 l’anno per il raggiungimento dei suoi “obiettivi del millennio” stabilendo diversi indicatori di benessere: il dimezzamento della povertà, della fame nel mondo, del mancato accesso all’acqua potabile... La chance di raggiungere questi obiettivi è forte là dove i paesi si sono specializzati nell’export. Dove invece i governi negano i benefici dell’apertura del commercio e della globalizzazione, crescono i rischi legati alle fabbriche pericolose per l’ambiente e per la salute di chi ci lavora. La globalizzazione offre anche agli importatori dell’Occidente la possibilità di procedere contro chi non rispetta standard minimi di dignità del lavoro. È un obbligo sfruttare questa possibilità.
Ulli Kulke, "Warum die Globalisierung den armen Ländern nutzt", Die Welt, 8/12/2012
Paolo Del Debbio, Global: perché la globalizzazione ci fa bene
In Asia nel 1980 solo 5 persone su 10 guadagnavano più di 2 dollari al giorno; la quota è aumentata a 8 persone dieci anni più tardi. Nel frattempo, tra il 1978 e il 1997, l'espansione delle libertà politiche e civili è stata del 10% nelle società più esposte alla globalizzazione, mentre la libertà si è ristretta dell'11-17% negli stati meno esposti all'integrazione economica internazionale.
Sui temi della globalizzazione la comunicazione è stata sostanzialmente monopolizzata dai no global, la cui ricetta si basa su un ethos mondiale costruito per combattere il mercato. Le risposte, invece, vanno cercate in un ethos di cui il mercato sia parte integrante e dove la partecipazione di un crescente numero di uomini e donne sia indicata come un obiettivo da perseguire.
L'etica è un po' come un aquilone: riesce a volare, a disegnare figure in cielo che possono servire da indicazioni di percorso sulla terra, perché il filo cui è unito sta saldamente legato alla terra stessa. Altrimenti non vola più e cade. Coerentemente con questa impostazione è necessario ridisegnare i contorni del welfare dei Paesi ricchi. La rete delle tutele sociali deve essere la più elastica possibile, deve servire a rilanciare le persone, fuori dalla rete stessa, nel mercato del lavoro.
Paolo Del Debbio, Global: perché la globalizzazione ci fa bene, Mondadori, 2002
Martin Wolf, Perché la globalizzazione funziona
Il primo argomento usato contro la globalizzazione è che essa ha aumentato la povertà e la disuguaglianza nel mondo. Ebbene, dagli anni Ottanta il numero di persone povere è diminuito in modo sensibile. La Banca mondiale ritiene che la povertà sia diminuita del 9,5% negli anni Novanta; per Sala i Martì e per Bhalla, invece, le cifre sono maggiori, dal 13,1% fino al 23,1% durante l’ultimo decennio del millennio scorso.
E la disuguaglianza? Un indicatore impressionante è la crescita della classe media. Bhalla include nella classe media gli individui che hanno redditi che vanno da 3650 a 14600 dollari all’anno, misurati secondo la parità di potere d’acquisto relativamente ai prezzi del 1993. Secondo i calcoli, nel 1960 il 60% della classe media abitava in Occidente. Nel 2000, il 51% abita in Asia, Medio Oriente e Nord Africa.
In merito al benessere umano che dire? Nei paesi in via di sviluppo la speranza di vita è aumentata da 55 anni nel 1970 a 64 anni nel 2000, un indicatore che è migliorato persino nell’Africa subsahariana. L’alfabetizzazione e il consumo di cibo, tra l’altro, sono aumentati ugualmente in maniera considerevole. L’interazione tra stato e mercato dà luogo alla democrazia liberale moderna, senza dubbio il sistema migliore per gestire una società, i cui benefici devono essere estesi al maggior numero possibile di persone. Il problema, attualmente, è il difetto di globalizzazione e non l’eccesso. Una giusta combinazione di mercati liberali e di cooperazione a livello internazionale potrebbe dare grandi risultati.
Martin Wolf, Perché la globalizzazione funziona, Il Mulino, 2006