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Migrare alla ricerca della vita
Migrazioni e diritti civili: i rifugiati
I migranti e l'integrazione
Migrazioni e conflitto culturale
I migranti contribuiscono alla crescita della società

Le migrazioni

Migrare alla ricerca della vita

Migrazioni e diritti civili: i rifugiati

I migranti e l'integrazione

Migrazioni e conflitto culturale

I migranti contribuiscono alla crescita della società

Che cosa sono le migrazioni?

Che cosa sono le migrazioni?

Le migrazioni sono un fenomeno antichissimo e dipendono da una serie di fattori: ragioni economiche e/o politiche, ricongiungimento familiare, calamità naturali o il desiderio di cambiare volontariamente l'ambiente di vita.

Le migrazioni possono comprendere l'immigrazione, cioè il trasferimento delle persone in un altro paese o regione di cui non sono native al fine di stabilirvisi: all'opposto, si parla di emigrazione per chi lascia il paese d'origine.

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Oggi i fenomeni delle migrazioni sono legati soprattutto alla globalizzazione e all'offerta del lavoro, che consentono a molti, in tutto il mondo, di godere di maggiori opportunità di trasferimento, temporaneo o permanente. D'altro canto, l'aumento delle tensioni locali e dei conflitti armati spinge a emigrare anche chi prima godeva di condizioni economiche sufficienti.
Anche la situazione di crisi globale e in particolare l'elevata disoccupazione giovanile nei paesi spingono a emigrare molti  cittadini di paesi sviluppati: è il caso della “fuga dei cervelli" che caratterizza, ad esempio, la società italiana.

Il fenomeno delle migrazioni appare dunque sempre più complesso e si conferma come uno degli elementi di maggior dinamismo della storia dell'umanità: per fare un solo esempio, la ricerca di condizioni di vita migliori è stata all'origine della nascita di importanti civiltà (si pensi all'emigrazione europea in Nord America).
Il fenomeno delle migrazioni ha importanti risvolti dal punto di vista dei diritti umani e deve essere affrontato con attenzione alle diverse e complesse dimensioni messe in gioco. Dal punto di vista economico appare fondamentale la regolamentazione del mercato del lavoro, con l'eliminazione delle situazioni di sfruttamento e di concorrenza sleale, all'origine di conflitti e tensioni sociali.

Inoltre, il rispetto delle diversità culturali deve accompagnarsi a processi di riconoscimento dei diritti e dei doveri in un'ottica di reale cittadinanza, ispirata a principi di partecipazione e condivisione, tenendo inoltre conto di situazioni specifiche (è il caso dei figli dei migranti nati e da sempre residenti nei paesi di destinazione) che andrebbero affrontate in un'ottica di inclusione.

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LE MIGRAZIONI:

un fattore storico determinante

AMBITI COINVOLTI

Migrare oggi: la forza della speranza

Migrazioni e crisi globale: la fuga dei cervelli

Migranti, Chiesa e società

Un problema multidimensionale

LA POSTA IN GIOCO

Migranti e diritti: il lavoro, la cittandinanza

Accogliere, condividere, includere

Le migrazioni: un fattore storico determinante

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Migrazioni e crisi globale: la fuga dei cervelli

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Le migrazioni

Perché è un problema etico

I fenomeni legati alle migrazioni hanno avuto (e hanno tuttora) un'importanza fondamentale per la storia dell'umanità. La ricerca di condizioni di vita migliori è all'origine della nascita di importanti civiltà (si pensi all'emigrazione europea in Nord America).

Oggi i fenomeni delle migrazioni sono legati soprattutto alla globalizzazione [vedi Globalizzazione] e all'offerta del lavoro [vedi Lavoro], che consentono a molti, in tutto il mondo, di godere di maggiori opportunità di trasferimento, temporaneo o permanente.

Inoltre ai giorni nostri il fenomeno della migrazione tende a coinvolgere un numero sempre maggiore di persone in tutto il mondo: la situazione di crisi globale e in particolare l'elevata disoccupazione giovanile nei paesi spingono infatti a emigrare molti  cittadini di paesi sviluppati: è il caso della "fuga dei cervelli" che caratterizza, ad esempio, la società italiana.

Il fenomeno delle migrazioni ha importanti risvolti dal punto di vista dei diritti umani e deve essere affrontato con attenzione alle diverse e complesse dimensioni messe in gioco. La Chiesa cattolica sostiene con forza l'impegno pastorale per la cultura dell'accoglienza e opera a favore dei migranti attraverso la rete delle parrocchie e delle associazioni.

L'attenzione particolare alle dimensioni socio-economiche del problema è la chiave per il successo delle politiche di reale integrazione.

Dal punto di vista economico appare fondamentale la regolamentazione del mercato del lavoro, con l'eliminazione delle situazioni di sfruttamento e di concorrenza sleale, all'origine di conflitti e tensioni sociali. 

Inoltre, il rispetto delle diversità culturali deve accompagnarsi a processi di riconoscimento dei diritti e dei doveri in un'ottica di reale cittadinanza, ispirata a principi di partecipazione e condivisione, tenendo inoltre conto di situazioni specifiche (è il caso dei figli dei migranti nati e da sempre residenti nei paesi di destinazione) che andrebbero affrontate in un'ottica di inclusione.

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Migrare dall'Italia

Nicola Morelli è un docente universitario che ha deciso di lasciare l'Italia e si è stabilito in Danimarca. Nell'intervista racconta le motivazioni che lo hanno spinto a lasciare il suo paese.
Una testimonianza felice e fortunata, certo, ma che ci aiuta a riflettere su un caso preoccupante, quello della “fuga dei cervelli”, cioè l'emigrazione forzata all'estero di laureati e tecnici che non riescono a trovare lavoro in patria; un fenomeno particolarmente preoccupante in quanto priva il paese di risorse preziose sulle quali tanto si è investito in termini di formazione.

Aalborg, Danimarca. Parla Nicola Morelli, 51 anni: “Qui pago le tasse e sono contento di pagarle”. Perché? “Lo Stato in cambio mi garantisce servizi efficienti. E l’evasione fiscale è quasi nulla, c’è pochissimo nero, grazie a un sistema trasparente di controlli a catena”. Nicola, che insegna Design all’Università, lo spiega subito: “Lo stipendio finisce su un conto a cui accede anche l’Agenzia delle entrate. In più, se chiamo l’idraulico a casa mia, lui deve dichiarare per iscritto di aver eseguito un lavoro a regola d’arte, io invece devo allegare la sua dichiarazione ai documenti della casa, richiesti per eventuali controlli o in caso di vendita o affitto dell’immobile”. Non perde un attimo e fa l’elenco dei vantaggi: “Ho due figli, di 10 e 13 anni, ogni tre mesi lo Stato mi dà 1100 euro per loro a prescindere dal reddito. A scuola i libri sono gratuiti e il dentista non si paga fino alla maggiore età. Pure l’Università è gratis. Poi ci sono molti luoghi ricreativi per gli anziani, mentre chi è disoccupato riceve un sussidio di circa mille euro al mese se dimostra che sta cercando lavoro o seguendo un corso di formazione”.

In Danimarca il tasso di disoccupazione è del 6,9%. In Italia del 12,7. Nicola, origini baresi, lascia l’Italia nel 1996. La storia è questa. Il crollo dei posti di lavoro funziona come il gioco delle sedie: i concorrenti sono di più rispetto ai posti a sedere, perde chi rimane in piedi, vince chi per primo scansa il vicino. A Nicola tocca restare in piedi: una laurea in architettura a Napoli, un dottorato in design a Milano e un tentativo fallito di entrare nel mondo accademico. “Se non sai sgomitare, l’università non fa per te”: si è sentito dire così dal suo professore. La selezione darwiniana, per quello che ne sa lui, non avviene per curriculum e forza di volontà. In poche parole: sei escluso se pensi che la vita non possa ridursi a una lotta sul ring. Oppure ti accontenti e fai quello che non ti piace fare.

Nicola però non vuole buttare il suo sogno all’aria e vola nell’altro emisfero, a Melbourne, Australia. Ci rimane fino al 2002. Ottiene una borsa di studio di due anni per una ricerca in design e sostenibilità ambientale. Finito un capitolo, ne apre al volo un altro: “Ho proposto alle aziende progetti per il riciclo dei materiali, mi hanno dato fiducia e mi hanno finanziato. L’Università di Melbourne invece mi ha sponsorizzato un’altra idea: un centro temporaneo di lavoro, dove gli uffici si danno in affitto anche solo per due ore”. Scaduto il tempo crede per un attimo di ritornare vittorioso in patria. “Mi sono visto offrire un lavoro part-time per 900 euro in un’università italiana e uno full-time, a tempo indeterminato, per tre mila euro ad Aalborg, dove avrei potuto occuparmi di design di servizi, cioè il settore che mi interessa di più”. Quindi, non ci pensa su due volte e imbocca la seconda via. “Fino alla pensione”, giura.

Ci vuole più coraggio a restare in Italia o trasferirsi all’estero? Se per coraggio si intende la libertà di fare ciò per cui si è studiato con tanti sacrifici, Nicola non ha dubbi: “Oggi non farei mai cambio”. Un motivo è quello sopra. Ma ce ne sono altri tre. Primo: “Qui posso lavorare continuando a fare ricerca, senza patire la fame. Guadagno 3.800 euro al mese netti (lordi sono sei mila), me ne danno 1200 all’anno per pagarmi le trasferte per conferenze, libri, attrezzatura, anche l’iPad. Le ore di lezione sono 30 a semestre, conteggiate 500 perché includono preparazione del corso, supervisione dei lavori, esami”. Seconda ragione: la sinergia costante con le istituzioni, in primis Comune e Regione. “Qui non ti chiudono la porta in faccia, qui ti ascoltano – Nicola lo sottolinea più volte – Vado direttamente dall’assessore e gli presento il progetto. La prima volta me lo bocciò. Mi chiese: ‘Mi dia una buona ragione perché io debba spendere i soldi dei contribuenti per il suo lavoro’. Non seppi convincerlo. Ritornai con le idee più chiare e andò in porto”.

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Copertina

La definizione

Il problema

Il fatto

Le migrazioni sono:

  • pericolose per ogni società in quanto tendono a snaturarla

  • l'esclusivo risultato della globalizzazione

  • un fenomeno legato alla diffusione dell'informazione attraverso Internet e la TV

  • un fenomeno con complesse implicazioni economiche, sociali e politiche

4

La migrazione in Italia è:

  • vietata, i migranti sul nostro territorio sono tutti irregolari

  • possibile nel rispetto delle leggi dello Stato

  • incoraggiata con politiche di accoglienza e di sussidio

  • regolata dalle singole Regioni

2

La Chiesa Cattolica:

  • assiste attivamente i migranti

  • non approva le politiche a favore dei migranti

  • preferisce svolgere attività a favore dei migranti nei loro paesi d'origine, attraverso l'opera dei missionari

  • aiuta esclusivamente gli immigrati che si convertono

1

In Italia:

  • la maggior parte dei migranti proviene dall'Asia

  • il numero dei giovani che emigrano all'estero è crescente 

  • i figli degli immigrati diventano cittadini italiani al momento della nascita

  • gli imprenditori immigrati per legge devono pagare tasse meno elevate

2

Domande per riflettere

  • Al termine degli studi superiori quanti di voi pensano di andare a cercare un'opportunità di lavoro o di studio all'estero?

  • Quali sono le motivazioni alla base di una scelta del genere? 

  • Che cosa significa per voi, concretamente, integrazione, condivisione delle diverse culture?

  • All'interno della classe, trovate esempi reali e compilate un elenco degli spunti più interessanti.

  • Sintetizzate su un cartellone le affermazioni sulle migrazioni che sentite più di frequente: discutete poi, con l'aiuto dell'insegnante, se esse corrispondono alla realtà o se si tratta invece di stereotipi.

  • A partire, possibilmente, da un caso concreto, ricostruite la presenza di rifugiati politici sul vostro territorio e cercate di scoprire qualcuna delle loro storie.

Dilemmi per discutere

La presenza di migranti in Italia:

“Porta un contributo economico alla società, anche gli immigrati lavorano e pagano le tasse”

“Danneggia i lavoratori perché aumenta la concorrenza in un periodo di crisi”

È meglio:

“Aiutare direttamente i paesi poveri per evitare il fenomeno delle migrazioni”

“Accogliere i migranti in base alla disponibilità reale di ogni paese”

L'integrazione culturale:

“Deve portare tutti a condividere gli stessi valori”

“Deve portare al rispetto reciproco e alla condivisione”

Le migrazioni:

“Sono un fenomeno inevitabile che deve essere valorizzato nell'interesse comune”

“Vanno scoraggiate risolvendo all'origine le loro cause”

Fare il punto

Riflettere

Discutere

Le migrazioni | Per approfondire

Che cosa dice la Legge

Il fenomeno delle migrazioni è antico e complesso: i testi di legge che si dedicano a esso sono quindi numerosissimi e variano molto da Paese a Paese, adattandosi alle peculiarità nazionali e all'evoluzione della situazione economico-sociale.
Le tematiche della migrazione possono essere lette alla luce di documenti fondamentali come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e sono oggetto di numerosi importanti provvedimenti di diritto positivo, come la libertà di stabilimento prevista dall'Unione Europea per i cittadini dei suoi Paesi membri.

Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, Articolo 14

Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni.


ISTAT, Italia 2012: i dati sulle migrazioni

Nel 2012 gli immigrati in Italia sono 351 mila, 35 mila in meno rispetto all'anno precedente (-9,1%).

Il calo delle iscrizioni dall'estero è dovuto in larga parte al numero di ingressi dei cittadini stranieri, che scende da 354 mila nel 2011 a 321 mila nel 2012. Nello stesso anno, si osserva anche una contrazione delle iscrizioni dall'estero dei cittadini italiani (da 31 mila a 29 mila unità).

Tra gli immigrati la comunità più rappresentata è quella rumena che conta quasi 82 mila ingressi, seguita da quelle cinese (20 mila), marocchina (circa 20 mila) e albanese (14 mila).

Rispetto al 2011 calano le iscrizioni di cittadini moldavi (- 41%), ucraini (- 36%), peruviani (- 35%) ed ecuadoriani (-27%).

Crescono invece gli ingressi di cittadini africani (+1,2%), di alcune cittadinanze asiatiche e, soprattutto, di quelle comunità soggette a conflitti bellici nei Paesi di origine (Nigeria, Pakistan, Mali e Costa d'Avorio).

L'aumento delle emigrazioni è dovuto principalmente ai cittadini italiani, per i quali le cancellazioni passano da 50 mila nel 2011 a 68 mila unità nel 2012 (+36%). In aumento anche le cancellazioni di cittadini stranieri residenti, da 32 mila a 38 mila unità (+18%).

Il saldo migratorio netto con l'estero è pari a 245 mila unità nel 2012, in diminuzione rispetto all'anno precedente (-19,4%). Si tratta del valore più basso registrato dal 2007.

Le principali mete di destinazione per gli italiani sono la Germania, la Svizzera, il Regno Unito e la Francia che, nel loro insieme, accolgono quasi la metà dei flussi in uscita.

Le migrazioni da e per l'estero di cittadini italiani con più di 24 anni di età (pari a 21 mila iscrizioni e 53 mila cancellazioni) riguardano per oltre un quarto del totale individui in possesso di laurea. La meta preferita dei laureati è la Germania.

Le migrazioni | Per approfondire

Il parere della Chiesa Cattolica

La Chiesa Cattolica opera in tema di migrazione attraverso il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, «uno strumento nelle mani del Papa» (Pastor Bonus, Proemio, n. 7 ), che «rivolge la sollecitudine pastorale della Chiesa alle particolari necessità di coloro che sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o non ne hanno affatto; parimenti procura di seguire con la dovuta attenzione le questioni attinenti a questa materia» (Pastor Bonus, art. 149 ). 

Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato

Nel vasto campo delle migrazioni la materna sollecitudine della Chiesa si esplica su varie direttrici.
Da una parte, quella che vede le migrazioni sotto il profilo dominante della povertà e della sofferenza, che non di rado produce drammi e tragedie. Qui si concretizzano interventi di soccorso per risolvere le numerose emergenze, con generosa dedizione di singoli e di gruppi, associazioni di volontariato e movimenti, organismi parrocchiali e diocesani in collaborazione con tutte le persone di buona volontà.
Dall’altra parte, però, la Chiesa non trascura di evidenziare gli aspetti positivi, le buone potenzialità e le risorse di cui le migrazioni sono portatrici. In questa direttrice, allora, prendono corpo gli interventi di accoglienza che favoriscono e accompagnano un inserimento integrale di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nel nuovo contesto socio-culturale, senza trascurare la dimensione religiosa, essenziale per la vita di ogni persona.

Le migrazioni | Per approfondire

Il parere delle diverse religioni

 


Abraham Yehoshua, La Legge del Ritorno

Israele, lo Stato ebraico, è in fondo un Paese di immigrati, ed ha fra i suoi fondamenti la Legge del Ritorno! Vale a dire che lo Stato ebraico, oltre a essere controllato e governato mediante il Parlamento da tutti i suoi residenti in possesso di nazionalità israeliana, è ancora aperto a qualunque Ebreo che ne voglia richiedere la cittadinanza.
Quando nel 1947 le Nazioni Unite decisero di creare uno Stato ebraico non destinarono una parte della Palestina solamente ai seicentomila Ebrei che vi risiedevano al tempo.

Il presupposto morale era che tale Stato avrebbe dato rifugio a qualunque Ebreo lo richiedesse.
Tutti i temi importanti e fondamentali in corso di dibattito in Israele – l’annessione o la non annessione dei territori occupati, il rapporto tra la maggioranza ebraica e la minoranza araba, quello tra religione e Stato, il carattere e i valori della politica economica e sociale o persino l’interpretazione di eventi storici del passato – sono analoghi a quelli affrontati anche da altre nazioni in quanto toccano l’identità dinamica e in continua evoluzione di ogni popolo e Paese.

Le migrazioni | Per approfondire

La parola agli esperti: "perché sì"

Le posizioni a favore delle politiche di migrazione e di integrazione multiculturale sono ispirate da sempre a principi di ordine religioso e civile e privilegiano l'accoglienza e il riconoscimento del diritto individuale di ricercare condizioni di vita migliori. Oggi molti sottolineano l'importanza del contributo dei migranti alle nostre società, un apporto che deve essere valorizzato nell'interesse comune.

Giancarlo Perego e Franco Pittau, Immigrati, risorsa per il Paese

Monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes e Franco Pittau, coordinatore del Dossier statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, sono stati intervistati da “A conti fatti”, il programma di economia sociale trasmesso dal canale italiano della Radio Vaticana.

Monsignor Perego: In questi giorni state festeggiando un compleanno importante, 25 anni dalla fondazione della Migrantes: possiamo tirare le somme, cos’è cambiato in Italia  in termini di accoglienza e integrazione?
Quando nasceva la Migrantes, 25 anni fa, l’immigrazione era 10 volte inferiore rispetto ad oggi, l’Italia non raggiungeva il milione e mezzo di immigrati. In quel momento la Chiesa italiana aveva intuito l’importanza di far nascere una fondazione che potesse da subito considerare questo mondo come un mondo importante, non solo per le nostre città, per il nostro Paese, ma anche per la nostra Chiesa; in questi anni è cresciuto quest’incontro nuovo con persone di 198 nazionalità diverse e anche nelle nostre comunità è cresciuto un cammino di incontro e di accoglienza. Ci sarebbe voluto un cammino migliore anche sul piano politico sociale che invece ha visto reazioni diverse di fronte a questo fenomeno per cui l’Italia è sempre più non solo un Paese di emigranti, ma anche un Paese di immigrati.

Dottor Pittau, è stato presentato pochi giorni fa il Dossier Statistico sull’Immigrazione a cura di Caritas e Migrantes dal titolo “Non solo numeri”: sono 5 milioni gli immigrati regolari in Italia. Tralasciando per un momento il discorso dell’integrazione, del rispetto delle altre culture ecc., vogliamo spiegare perché questo Paese ha così bisogno di cittadini immigrati, soprattutto a supporto del sistema economico-produttivo?
L’Italia ne ha bisogno per due motivi fondamentali, uno è demografico, l’altro occupazionale.
Dal punto di vista demografico il tasso di natalità in Italia è molto basso, pur aiutato dagli immigrati rimane ancora molto basso e non abbiamo un ricambio sufficiente nella popolazione. La popolazione italiana comincia a diminuire e diminuirà ancora di più, ma quello che preoccupa maggiormente è che molti diventano vecchi e bisogna mantenerli e per questo servono nuove forze lavorative. Non bisogna considerare questa difficilissima fase di crisi, che speriamo passi presto, perché quando ci sarà la ripresa ci sarà bisogno di nuovi lavoratori sia a livelli bassi che a livelli medi e in futuro anche a livelli elevati perché la competizione internazionale si giocherà sulla qualità.
Questa necessità demografica si traduce quindi in necessità occupazionale e questo bisogna spiegare alla gente; noi siamo come una sedia che prima aveva quattro gambe e ora ne ha tre con la quarta che ci viene assicurata dagli immigrati.

Sono circa 250 000 i cittadini stranieri titolari di aziende, crescono anche i conti correnti (+25% in un anno), soprattutto quelli intestati ad imprenditrici donne. Questo significa che l’inserimento economico crea o agevola l’inserimento sociale?
L’inserimento economico facilita di per sé l’inserimento sociale tanto tra gli italiani quanto tra gli immigrati come del resto l’inserimento sociale facilità l’inserimento economico perché quando queste persone si sentono accolte e assistite nelle loro iniziative allora danno seguito alla loro capacità inventiva. Il dato sull’imprenditoria è sorprendente: nonostante le difficoltà e nonostante questo periodo di crisi nell’ultimo anno abbiamo avuto 20mila imprese straniere in più mentre le nostre diminuiscono o stanno stabili. Gli immigrati si sentono incoraggiati e creano lavoro, all’inizio siamo noi a dargli lavoro poi lo creano loro e certe volte lo danno anche agli italiani. C’è un’area lavorativa stimata in più di mezzo milione di persone che è stata creata dagli immigrati; bisogna iniziare a pensare a queste cose positive e connesse all’immigrazione.

Quando si passa in rassegna la situazione dei dipendenti stranieri si nota però che questi hanno in media una retribuzione inferiore rispetto ai colleghi italiani. Come si colma questo gap? È anche questo un problema di integrazione?
È un problema di cultura, di mentalità cui è molto sensibile la Chiesa perché le questioni come questa non si risolvono solo con le leggi, noi ne abbiamo tante in Italia e molte non vengono rispettate. È la mentalità che ci porta a cambiare i comportamenti e noi dovremo abituarci a considerare gli immigrati  una risorsa dell’Italia, una risorsa interna al Paese che dobbiamo trattare bene perché ne va del futuro del nostro Paese; questo non capita sempre e certe volte ci sentiamo autorizzati a pagarli di meno o a farli lavorare in nero. 

È un problema di cultura; ci sono le leggi, le organizzazioni a tutela degli immigrati, l’associazionismo, ma bisognerebbe fare di più. Non bastano le cose formali ci vuole un supplemento di cuore e sensibilità come del resto dice da sempre la Chiesa.

Si è appena concluso a Roma Il Festival del Cinema che ha assegnato il Premio speciale della giuria  ad “Alì ha gli occhi azzurri”, il  film di Giovannesi che racconta l’Italia dei figli degli immigrati, e lancia il tema della cittadinanza e del difficile processo di integrazione culturale. Come leggete questo premio? E, vi chiederei, cosa dobbiamo aspettarci a livello normativo e pastorale in questo anno europeo della cittadinanza (2013)? 
La storia di questi fidanzati è la storia di incontro, di meticciato che vede le coppie miste, i fidanzati, l’incontro nelle scuole di 800mila studenti stranieri, l’incontro che sta crescendo con il volontariato nel mondo delle nostre parrocchie e degli oratori. Tutti questi incontri chiedono un grosso impegno e un grosso sforzo sul piano dell’integrazione, soprattutto il riconoscimento di un’integrazione che sta già avvenendo dal basso e che ha bisogno di essere riconosciuta sul piano politico dando gambe a un piano integrazione che già nel 2009 Caritas e Migrantes  con il Dossier sollecitavano per non fermarsi semplicemente ad un contratto che riguarda semplicemente la conoscenza della lingua.
Credo che il tema della cittadinanza oggi sia un tema  di qualità della nostra democrazia e in questo senso questo film credo solleciti a continuare questo impegno che campagne come “l’Italia sono anch’io” e altre iniziative che in questi giorni stanno avvenendo sul piano della cittadinanza onoraria con l’approvazione di alcune delibere in centinaia di municipi d’Italia, stanno portando avanti. Purtroppo ci sono 26 proposte di legge profondamente contraddittorie in parlamento; mi augurerei che il 2013 sia un anno importante, un passo avanti sulla cittadinanza, ma questa divisione, questa grossa frammentazione, rende difficile arrivare il prossimo anno a una soluzione.
È bene il fatto che il 70% degli italiani, come dice l’istat, inviti i nostri politici a guardare in positivo quest’esperienza così come il tema del diritto di voto; mi auguro che il 2013 ci dia dei segnali importanti non solo dal basso, ma anche dall’alto e proprio in queste direzioni le comunità parrocchiali siano laboratori di cittadinanza e di incontro dove il rispetto diventi anche capacità di riconoscimento dell’altro, sue capacità e possibilità. Noi eravamo abituati alla dimensione solo italiana, ma se andiamo per strada può darsi che incontriamo dodici, quindici cittadini stranieri tra cento che passano. Ci dobbiamo abituare a quest’altra dimensione fatta da persone che vengono da altri Paesi e vogliono essere cittadini come noi, soprattutto chi è nato qui. E allora bisogna sperare che cambi la mentalità e, come dice Mons. Perego, sono state tante le proposte di legge e se ci fosse la buona volontà tra queste si potrebbe trovare una buona mediazione. È positivo che questo Parlamento abbia fatto un ordine del giorno che impegna il governo a risolvere i problemi della cittadinanza. Ripeto, i figli degli immigrati sono i nostri figli, sono una nostra risorsa; l’immigrazione non è un temporale che viene e passa, ma fa ormai parte del panorama italiano, l’immigrazione è Italia.

Monsignor Perego, in seno alle istituzioni scolastiche e ai consigli territoriali per l’immigrazione, cosa si fa per permettere e agevolare l’integrazione (a partire dalle agenzie educative) e cosa invece manca?
Vediamo nelle scuole un grande impegno da parte degli insegnanti e anche degli studenti per l’incontro scolastico con persone che sono di nazionalità diverse.
L’aspetto più debole riguarda certamente gli strumenti didattici nuovi che possono leggere questo incontro e aiutarlo, non riducendo le materie come la storia e la geografia a una storia o geografia italiana, ma leggendo la diversità dei Paesi, delle storie, delle lingue che oggi frequentano la nostra scuola. È stato molto bello che in alcune scuole come seconda lingua si sia scelto il cinese piuttosto che il rumeno, leggendo in prospettiva la storia di alcuni Paesi che potranno essere Paesi importanti  nel contesto europeo o nel contesto economico mondiale, oltre che leggere la situazione di città che stanno cambiando alla luce di presenze significative in questo senso.

Manca anche una mediazione scolastica che è un elemento importante. Tante volte per l’inserimento scolastico di bambini che arrivano in tempi diversi dentro la scuola, purtroppo anche per i tempi lunghi del ricongiungimento familiare, manca attenzione legislativa per permettere da subito questo tipo di inserimento scolastico che invece viene reso difficile perché occorre aspettare i tempi dell’arrivo di fatto del bambino o della bambina che arriva dopo la costituzione delle classi.

Il 31 dicembre 2012, è prevista la chiusura dell’emergenza nord Africana e delle relative strutture di accoglienza. Qual è il vostro appello come Migrantes?
Accelerare assolutamente un regolare permesso di soggiorno per tutti coloro che sono in attesa, e sono oltre il 60% delle persone che hanno avuto una protezione umanitaria in questi tempi di emergenza, in modo tale da permettere da subito una circolazione non solo in Italia, ma anche in Europa così da avviare un percorso di studio o di lavoro.
Allo stesso tempo continuare nella tutela dei soggetti più deboli, penso ai minori non accompagnati, alle madri incinta, alle madri con bambini dando quindi risorse strutturali a chi sta accogliendo queste persone che sono in fuga da 22 guerre in atto e da 44 Paesi nel mondo che sono fragili, penso in alla Siria, alla situazione del centro Africa, ma penso anche alle tante situazioni che  possono determinare un cammino e una fuga di tante popolazioni.


Giuliano Amato, Come e perché l'Europa deve valorizzare l'immigrazione e la sua diversità culturale

Quando definiamo il nostro atteggiamento nei confronti delle differenze etniche, noi europei tendiamo a fare nostra una di due note tesi. Qualcuno sposa la teoria del “contatto”, la quale sostiene che la convivenza di diverse comunità porta a un vicendevole arricchimento, in quanto favorisce la comprensione reciproca che alla fine produce una maggiore armonia tra i vari gruppi. Altri si schierano a favore della teoria del “conflitto”, che afferma l’esatto contrario.
È evidente che le due teorie hanno implicazioni opposte quando si discute di immigrazione. La teoria del contatto favorisce le politiche di apertura e il ricorso a tutti gli strumenti adatti a incoraggiare l’integrazione degli immigrati nelle nostre comunità, pur nel rispetto delle loro identità culturali. La teoria del conflitto è sostenuta da quanti cercano di limitare il più possibile l’immigrazione e che, pertanto, assecondano quelle norme e quelle pratiche che finiranno per produrre la massima ostilità nei confronti dei nuovi venuti. Inutile dire che l’opinione prevalente in Europa e, quindi, la correttezza politica propendono per la prima teoria, mentre la seconda rispecchia le visioni anti- antidiscriminatorie della destra estrema, ampiamente criticate.

Alcune recenti ricerche negli Stati Uniti ci dicono quanto sia scomoda la realtà e quanto sia importante per noi essere consapevoli delle sue sgradevoli verità. Tali ricerche, condotte in modo indipendente tra loro dal sociologo Robert Putnam, dal politologo Scott Page, dagli economisti Edward Glaeser e Alberto Alesina, e da un’altra coppia di esperti di economia, Matthew KahnDora Costa, hanno prodotto risultati che concordano in modo sorprendente. Secondo Putnam, in realtà nessuna delle due teorie è valida.
Ciò che si verifica nelle comunità più diversificate è un “generale malessere civile”: meno persone si dedicano al volontariato, si versa in beneficenza meno denaro e il grado di fiducia è minore non solo tra i diversi gruppi etnici, ma anche all’interno dei singoli gruppi. In altri termini, meno solidarietà e identità più ristrette.
Khan e Costa confermano le conclusioni della ricerca di Putnam, aggiungendo altre prove a supporto, relative ai finanziamenti scolastici e ad altri indicatori, mentre Glaeser e Alesina affermano che all’incirca metà della differenza tra la spesa sociale dell’Europa e quella degli Stati Uniti potrebbe dipendere dalla maggiore diversificazione etnica dell’America. Forse è un’interpretazione eccessiva, ma resta il fatto che anche in Europa si tende a contenere la spesa sociale per gli immigrati finché non sono loro garantiti tutti i diritti di cittadinanza.
Qualcuno potrebbe ribattere che i riscontri di Putnam, pur non rispecchiando la teoria del conflitto, sono più vicini a questa che alla teoria del contatto.
Putnam potrebbe replicare che questa è solo una faccia della medaglia. L’altra, evidenziata dallo stesso Putnam e da Page, è di natura economica e riguarda la maggiore produttività e i più alti tassi di innovazione che si riscontrano quando c’è interazione tra gruppi di lavoratori (per lo più specializzati) di diverse culture. Si scopre che invece di provocare divisione e diffidenza, i diversi modi di pensare favoriscono una dinamica innovativa e quindi aggiungono qualcosa in più, magari poco rilevante quantitativamente, ma significativo dal punto di vista qualitativo.

Che indicazioni è possibile trarre da questi dati? Se dovessero essere considerati incontrovertibili, sarebbe semplice inspirarsene per elaborare politiche non lontane da quelle sostenute dall’estrema destra: in altre parole dovremmo aprire la porta solo agli immigrati molto qualificati e chiuderla in faccia al numero molto più grande di persone che vogliono emigrare dal proprio Paese in Europa per sfuggire alla miseria, ma la cui integrazione nelle nostre comunità è molto difficile, soprattutto se si tratta di musulmani senza istruzione e arretrati.

Ma si tratta davvero di dati incontrovertibili? Non dipendono da noi, dalla nostra cultura, dai nostri obiettivi, dalla nostra età e da altri fattori soggetti al cambiamento? Le ricerche citate forse sorprenderanno molti europei, poiché si pensa comunemente che gli americani siano più disposti degli europei ad accettare i rischi, l’incertezza e la diversità. Negli Stati Uniti la popolazione è più giovane e questo dovrebbe renderla più propensa ad affrontare mutamenti e differenze. Ma se gli americani sono così diffidenti nei confronti della diversità, che cosa possiamo aspettarci da noi stessi? La mia risposta non può che essere questa: da noi stessi possiamo aspettarci un franco riconoscimento del tipo di società che vogliamo essere e di che cosa siamo disposti a fare per realizzarla. L’invecchiamento della popolazione europea è accentuato dai bassi tassi di natalità che fanno prospettare una continua contrazione del numero di nativi europei, con una percentuale sempre più alta di ultrasessantacinquenni. Già oggi si lamentano carenze di manodopera e non sono soltanto i vuoti per mansioni molto qualificate che hanno bisogno di essere colmati a causa di risorse umane insufficienti. Il problema è destinato a peggiorare mettendo in gioco la nostra crescita economica e il futuro dell’Europa nel mondo. Per questo le alternative che ci si presentano sono chiare. Se preferiamo difendere le nostre identità europee, così come sono ora, ed evitare tensioni e conflitti nei nostri territori limitando il numero degli immigrati, dobbiamo anche accettare il nostro declino, perché l’Europa tramonterà irreversibilmente, proprio come è accaduto a molte società in passato. Ma se non vogliamo accettare questa cupa prospettiva, siamo ancora in grado di evitare che si verifichi. Dobbiamo essere consapevoli, però, che non ci basterà contare su quella che per il momento è considerata la correttezza politica prevalente. È questo che ci insegna la lezione americana di cui sopra. In Europa continueremo ad avere opinioni diverse su questo tema delicato e cruciale, ma sarebbe un grave errore avere divergenze tra noi sui fatti di fondo. È un fatto che la teoria del contatto non rispecchia necessariamente la realtà. Il contatto tra diversi gruppi etnici e religiosi può provocare conflitti (e in molti casi lo fa), può incoraggiare la diffidenza e provocare tutte quelle conseguenze negative descritte da Putnam. Il quale tuttavia scrive: «Sarebbe altrettanto grave se un conservatorismo antistorico ed etnocentrico finisse per negare che affrontare quella sfida sia fattibile e auspicabile».

Affrontare quella sfida è possibile, ma richiederà un forte impegno su vari fronti. Dobbiamo concordare le nostre azioni con i Paesi di provenienza dei futuri immigrati, dobbiamo puntare a garantire il loro afflusso in modo pianificato e a gestirlo senza intralci, in relazione alle esigenze del nostro mercato del lavoro. Avremo anche bisogno di dotarci di tutti i servizi necessari per fare fronte ai bisogni dei nuovi residenti, che contribuiranno alla nostra crescita economica con il proprio lavoro e con le imposte che verseranno. Dovremo assicurare che ai nostri concittadini non vengano a mancare questi stessi servizi e dovremo stare attenti ad adottare politiche locali che promuovano la formazione (e non solo la scolarizzazione) e la comunicazione. Dovremo agire in modo particolarmente efficace nella lotta alla criminalità, perché non c’è niente di più devastante dell’equazione “immigrato uguale delinquente”. Questo significa anche lottare contro l’immigrazione illegale, che è nello stesso tempo un’attività illecita e un incubo per gli emigranti che rischiano la propria vita, come per i nostri concittadini che la percepiscono come una marea umana inarrestabile.

Ciò che occorre, pertanto, è un progetto. Questa è una missione che va perseguita in modo convincente, portando avanti azioni diverse in modo efficace. Significa fare molto di più che predicare la correttezza politica. Tuttavia, anche se riusciremo a fare tutto questo, resterà irrisolta la questione più spinosa: come faremo a colmare la distanza che esiste tra le nostre comunità e una popolazione musulmana in continua crescita? I timori del terrorismo hanno reso più che mai ardua la questione e non è solo la destra conservatrice che ha opinioni negative a riguardo. È comunque una sfida che dipende da noi: sta a noi capire che non abbiamo davanti il problema di un’unica diversità islamica, ma che nell’Islam esistono molte diversità le quali, se ben gestite, possono favorire la crescita del pluralismo nelle nostre società, anche affrontando differenze inaccettabili, come le disparità di genere, che sono prodotte più dall’arretratezza che dalla religione. Dipenderà da noi accettare o rifiutare gli insegnamenti che ci vengono dalla nostra stessa storia, soprattutto nei Paesi del Mediterraneo, dove nei secoli passati si sviluppò un melting pot di popoli che contribuì alla loro prosperità.

Le tendenze di oggi e di domani renderanno le nostre società sempre più multietniche, multiculturali, multireligiose. Ma non basterà attribuire loro i valori che noi privilegiamo. Dobbiamo essere consapevoli che tutte possono tradursi in incubi se lasciamo che si sviluppino secondo proprie dinamiche naturali. Jacques Barzun, l’eminente studioso – naturalizzato americano – di storia moderna, ha scritto qualche anno fa che la decadenza dell’Europa è cominciata quando abbiamo lasciato spegnere quello straordinario motore che aveva forgiato la nostra identità partendo da tante società differenti. Io sono convinto che quel motore esista ancora e che la questione sia sapere come si fa a riavviarlo.


Alvaro Vargas Llosa, Immigrazione ed economia

Poche questioni sono così politicamente “divísive” come l'immigrazione. Sono tante le parole che si prestano a diventare bandiere al vento: dalla A di accoglienza alla T di tradizione. «Governi, attivisti politici e critici dell'immigrazione di ogni risma non si vergognano minimamente di giustificare le barriere contro l'immigrazione col linguaggio tipico degli Stati di polizia», scrive Alvaro Vargas Llosa nelle conclusioni del suo Global Crossings: Immigration, Civilization, and America. Come sempre innanzi alle cose che spaventano, si fa in fretta a perdere di vista il dato umano (la libertà di movimento delle persone) e assieme la razionalità del fenomeno, i cui effetti restano incompresi. Per Vargas Llosa, saggista e Senior Fellow dell'Independent Institute «non c'è nulla di nuovo e nulla da temere», se non i luoghi comuni. L'area del mondo nella quale la percentuale di immigrati è più rilevante sono i Paesi arabi attorno al golfo persico, non è vero che si emigra solo dalle nazioni più povere (Paesi che si arricchiscono continuano a "esportare" individui), non è vero neppure che il più alto tasso di incarcerazione negli Usa si riscontra fra i “latinos”. Global Crossing è una risposta razionale e ponderata ai timori dei molti elettori che, nel segreto dell'urna, votano contro l'immigrazione. Aiuta anche a correggere l'impressione di una contrapposizione netta fra destra e sinistra. Negli Usa gli interessi organizzati più favorevoli ai migranti sono le lobby agricole, il conservatore “Wall Street Journal” ha una posizione tradizionalmente a favore dell'apertura delle frontiere, i più accaniti “chiusisti” sono i sindacati. Il vero nemico della libertà di movimento è il nazionalismo. La sacralizzazione dell'idea di nazione ci ha allontanati dalla saggezza di Montesquieu: «Se sapessi una cosa utile alla mia nazione ma che fosse dannosa per un'altra, non la proporrei al mio principe, poiché sono un uomo prima di essere un francese o, meglio, perché io sono necessariamente un uomo, mentre sono francese solo per combinazione». Lo Stato nazionale, ricorda Vargas Llosa, è una istituzione recente nella storia umana, e non è detto che abbia arrestato le lancette dell'innovazione politica. Un esempio. La doppia cittadinanza era “un concetto assurdo” ai tempi di Teddy Roosevelt, adesso è una realtà piuttosto comune. Le identità sono più porose di quanto si pensi. Oggi l'immigrazione internazionale pesa per il 3% della popolazione mondiale. Curiosamente, nell'Ue, che pure considera la libertà di movimento uno dei suoi pilastri, solo un europeo su dieci è nato da genitori stranieri. Quanti vorrebbero chiudere le frontiere hanno argomenti di diverso tipo. La questione islamica guarda in realtà una percentuale assai modesta dei migranti. Più che altro, i “chiusisti” giocano su un vecchio equivoco: l'idea che la ricchezza sia una torta da fare a fette, e così l'occupazione. “Il lavoro agli italiani”, perché ogni nuova bocca da sfamare sottrae pane a un lavoratore autoctono.

Costoro non comprendono che «il mercato del lavoro è una creatura flessibile, malleabile, in continuo cambiamento, i cui limiti, rispetto al numero di posti di lavoro disponibile, nessuno può stabilire a priori». Inoltre, e forse soprattutto, non considerano un fatto ovvio: al pari di tutti gli altri, gli immigrati sono assieme produttori e consumatori e influenzano l'andamento dell'economia nell'uno e nell'altro ruolo.

Provoca Vargas Llosa: «Se ulteriori incrementi della forza lavoro avessero un effetto negativo, come mai tra il 1950 e oggi (un periodo in cui la forza lavoro negli Stati Uniti è cresciuta da 6o a 150 milioni grazie alla massiccia entrata delle donne e dei baby boomers nell'economia) non si è registrato alcun aumento di lungo periodo nel tasso di disoccupazione?».
Si dirà che gli immigrati tendono a competere per lavori a bassa specializzazione, andando pertanto a danneggiare una categoria di lavoratori fra i più deboli. Di nuovo si postula che “consumatori” e “produttori” siano figure diverse, inconciliabili, probabilmente in conflitto. Ma la realtà economica non copia un modello statico, nuove persone corrispondono a nuovi bisogni e nuovi desideri, e nuovi bisogni e nuovi desideri alla possibilità di arricchirsi provando a soddisfarli. La libertà di migrare è uno strumento con il quale si dà risposta a quegli “squilibri” che caratterizzano la vita economica, perché caratterizzano la vita umana: avvicina chi offre lavoro a chi è in condizione di acquistarlo.

Le migrazioni | Per approfondire

La parola agli esperti: "perché no"

Oggi le posizioni contrarie alle migrazioni sono numerose e diverse: senza tenere conto di quelle ispirate più o meno esplicitamente da principi razzisti, si riportano di seguito alcuni esempi di critica alle politiche di immigrazione legati a considerazioni di ordine culturale (in particolare sul tema dell'integrazione) ed economico (anche in risposta alla situazione di crisi).
Nel caso di Scruton, il contesto è quello, estremizzato e provocatorio, della "guerra di civiltà", mentre Villani Lubelli riporta e discute le posizioni più scettiche nei confronti dell'integrazione, quelle di chi considera l'islamismo espressione di un'ideologia spesso incompatibile con altre visioni del mondo, spesso stabilendo però una troppo facile equazione Islam = islamismo.

Angelo Panebianco, Troppe ipocrisie sugli immigrati

Dobbiamo solo limitarci a tamponare e contenere i flussi migratori o abbiamo bisogno di interventi più attivi e, soprattutto, più selettivi? Una domanda che diventa possibile se ci si lascia alle spalle le ambiguità e le ipocrisie che hanno fin qui dominato il campo. Le ambiguità dipendono dal fatto che sembriamo incapaci, a causa di certe sovrastrutture ideologiche, di decidere una volta per tutte a quale criterio appendere la politica dell’immigrazione: la convenienza oppure l’accoglienza (il dovere di accogliere i meno fortunati di noi)? Troppo spesso i due criteri vengono mescolati, l’immigrazione viene giustificata alla luce di entrambi. Se non che, si tratta di criteri fra loro in contraddizione. Ne deriva l’impossibilità di formulare proposte coerenti.

Le ragioni della convenienza sono note: abbiamo bisogno di contrastare l’invecchiamento della popolazione, abbiamo bisogno   ̶  almeno se la ripresa economica, come si spera, prima o poi arriverà   ̶  di forza lavoro aggiuntiva e di nuovi consumatori. Ma a queste ragioni, ispirate alla convenienza, ne vengono sovente aggiunte altre di diversa natura, di ordine umanitario (le ragioni dell’accoglienza). I piani si confondono rendendo impossibile fare scelte razionali. L’appello all’accoglienza ha una chiara origine ideologica, nasce dalla confusione, propria di certi cattolici (ma non tutti), e anche di un bel po’ di laici, fra la missione della Chiesa e i compiti degli Stati. È la confusione fra il messaggio evangelico e la politica, fra l’universalismo della Chiesa, che parla a tutti gli uomini, e l’inevitabile particolarismo dello Stato che risponde a un insieme definito di contribuenti.

L’accoglienza non può essere il criterio ispiratore di una seria politica statale. Perché si scontra con l’ineludibile problema della “scarsità”: quanti se ne possono accogliere? Qual è il tetto massimo? Quante risorse possiamo mettere a disposizione dell’accoglienza se la vogliamo decente? A chi e a quali altri compiti toglieremo queste risorse? 
L’unico criterio su cui è possibile fondare una politica razionale dell’immigrazione, per quanto arido o “meschino” possa apparire a coloro che non apprezzano l’etica della responsabilità, è dunque quello della convenienza, della nostra convenienza. Una volta adottato con franchezza ci consente di porci il problema   ̶  che altri Stati si sono già posti   ̶  di come selezionare gli immigrati. È evidente che se usiamo il criterio dell’accoglienza non possiamo selezionare. Invece, possiamo, e dobbiamo, farlo alla luce delle convenienze. Di quali immigrati abbiamo bisogno? Con quali caratteristiche, con quali eventuali competenze? Oggi il problema forse non si pone data l’elevata disoccupazione intellettuale giovanile (che resta grave, anche facendo la tara alle statistiche ufficiali che, fraudolentemente, imbarcano fra i disoccupati anche gli studenti).
Però, domani potremmo avere bisogno di importare mano d’opera qualificata, per esempio in settori tecnici lasciati sguarniti dai nostri giovani. In quel caso, una politica dell’immigrazione lungimirante cercherebbe di attirare quel tipo di mano d’opera a scapito di altri tipi. Considerando inoltre che un Paese economicamente avanzato non può permettersi di importare troppa mano d’opera non qualificata. Oltre una certa soglia, non può assorbirla nei mercati legali, finendo così per favorire quelli illegali, gestiti dalla criminalità. Un effetto collaterale di una politica ispirata alla convenienza è che faremmo star bene anche gli immigrati che accogliamo. 
E poi ci sono altre considerazioni che dovrebbero entrare nelle valutazioni di chi decide la politica dell’immigrazione. Per esempio, certi gruppi, provenienti da certi Paesi dovrebbero essere privilegiati rispetto ad altri gruppi, provenienti da altri Paesi, se si constata che gli immigrati del primo tipo possono essere integrati più facilmente di quelli del secondo tipo. È possibile che convenga favorire l’immigrazione dal mondo cristiano-ortodosso a scapito, al di là di certe soglie, e tenuto conto del divario nei tassi di natalità, di quella proveniente dal mondo islamico. Quanto meno, questo dovrebbe essere un legittimo tema di discussione.

Una politica realistica, fondata sulla convenienza, si dovrebbe insomma porre problemi di scelta, di selezione (da monitorare e rivedere nel tempo, alla luce dell’esperienza). Non si tratta di inventare nulla. Altri Paesi hanno già imboccato questa strada.


Roger Scruton, Il falò delle vacuità multiculturali

Lo sapevamo che sarebbe successo, l’integrazione è stata una ideologia semi religiosa, ma non ha funzionato. I multiculturalisti hanno sempre negato la connotazione identitaria, perché avrebbe frammentato il multiculturalismo. Coloro che hanno difeso la prima persona plurale della nazione sono stati attaccati in quanto “fascisti”, “razzisti”, “xenofobi”, “nostalgici” o, nel migliore dei casi, “provinciali”. Lo avevamo già visto anche in Francia con il dominio delle gang nelle banlieue. Nelle nostre città i giovani crescono in ghetti isolati, in un ordine politico schizzato, vogliono affermarsi contro la società, mai per essa. In Italia non è ancora successo, ma potrebbe accadere se non avverrà una integrazione corretta. L’islamismo tende a infiammare questo scontro per costruire una retorica anti occidentale, ma in questo caso è stato soprattutto un fallimento interno alla nostra società. Provo orrore e tristezza per come abbiamo distrutto il vecchio curriculum, dicevano che era monoculturale, che perpetuava l’idea della civiltà occidentale come superiore, che era patriarcale, il prodotto del maschio bianco europeo che aveva perso autorità. Ci avevano insegnato a vivere in un ambiente amorfo, nella città postmoderna aperta a tutte le culture. Ogni cultura avrebbe dovuto crescere nel proprio spazio, per godere dei frutti della cooperazione sociale e di un sistema educativo in cui la cultura maggioritaria avrebbe dovuto essere marginalizzata. Tutto quello che invece il multiculturalismo ha sancito è stata la distruzione della cultura pubblica condivisa e il diritto al rispetto, creando un grande vuoto. Il risultato è stato il relativismo. La civiltà occidentale è sottoposta a una pressione tale per cui o ne esce vincendo, rinnovandosi, o soccombe.

L’islamismo, per esempio, è il suo peggiore nemico attuale. Prendiamo l’immigrazione indiscriminata, che vive di molte facili retoriche e di troppe politiche dello struzzo. Ora, l’immigrazione è un dato di fatto, e come tale va accettata; ma perché non cominciamo a chiederci come mai la maggior parte degli extracomunitari sono musulmani che vengono a noi fuggendo da Paesi islamici? Sicuramente perché a casa loro si sta malissimo. E questo è un primo punto, un punto che bisogna cominciare a tenere assolutamente presente nelle relazioni internazionali. In secondo luogo, bisogna – di nuovo – fare i conti soprattutto con la realtà. L’Europa non può accogliere tutto e tutti, e questo per motivi direi fisici. Rischia di scoppiare. Occorre quindi regolare oculatamente i flussi migratori verso di noi, stabilendo criteri di accoglienza anche culturali certi. Insomma, non è possibile accogliere da noi che ci ritiene poco più che spazzatura e chi già cova in animo proprio la sedizione e la disobbedienza alle regole della nostra civiltà. Solo che tutto questo è tabù, non si può dire…

 


Ubaldo Villani Lubelli, La fine del “multikulti” e il nuovo paradigma della cittadinanza

«Il multiculturalismo ha fallito, completamente fallito» è così che Angela Merkel, circa un mese fa, davanti ai giovani dell’Unione dei Cristiano Democratici (CDU), è entrata nel lungo e intenso dibattito sull’integrazione che da quest’estate tiene occupata e divide l’intera Germania. Difficile dare torto alla Cancelliera tedesca. Dall’attacco al World Trade Center  dell’11 settembre 2001, all’uccisione del leader olandese Pim Fortuyn del 2002 e del regista Theo van Gogh nel 2004, il fallimento del multiculturalismo è evidente a tutti. La confinante Olanda è il Paese in cui, in modo più evidente di altrove, il multiculturalismo da modello è diventato un “dramma”. Del resto già nel 2000 il sociologo olandese Paul Scheffer, in un articolo sulla questione dell’immigrazione nel proprio Paese, parlava esplicitamente di “Dramma multiculturale” e di “illusione cosmopolita”. Forse troppo a lungo si è voluto ignorare un problema esploso nei primi anni del 2000 e che oggi, in Olanda, è nelle mani di Geert Wilders.

«Non c’è alcuna differenza tra Islam ed Islamismo»; «l’Islam non ha alcuna possibilità di modernizzarsi»; «l’Islam è una ideologia che promuove la violenza così come in passato il Fascismo ed il Comunismo» – queste sono alcune delle espressioni di Geert Wilders, il politico che forse più di ogni altro si sta impegnando per fronteggiare ed ostacolare l’avanzamento dell’Islam in Occidente. Il leader olandese ha in mente, come ha detto a Berlino a fine settembre, un’Alleanza per la Libertà, della quale dovrebbero far parte la Germania, gli Usa, la Gran Bretagna, il Canada e la Francia e naturalmente l’Olanda. I toni usati sono forti («L’Islam è una malattia»; «L’Islam è dominato da fanatici») e le sue tesi radicali («Rifiuto dell’immigrazione dai Paesi abitati a maggioranza da musulmani»), ma Wilders si considera (forse anche sopravvalutandosi) il salvatore dell’Occidente. Ha però individuato il problema, vuole affrontarlo di petto e cerca di farsi interprete delle esigenze dei cittadini: o dobbiamo continuare a mentirci per altri decenni ed in venti o trent’anni anni affronteremo sempre lo stesso dibattito perché noi oggi abbiamo rifiutato di risolverlo?

Qualche giorno prima della visita di Geert Wilders in Germania ad aprire il dibattito su islam ed integrazione è stato però, e forse anche un po’ a sorpresa, Thilo Sarrazin, un economista “di sinistra”, già Ministro delle Finanze, iscritto ai Socialdemocratici tedeschi (SPD) e Consigliere della Banca di Germania in quota SPD. Il suo libro La Germania si autodistrugge (Deutschland schafft sich ab) ha creato un vero e proprio terremoto politico, con l’inizio di una discussione che è andata ben oltre le pur provocatorie tesi di Sarrazin. Il libro dell’economista tedesco è stato una sorta di allarme per la società e per la politica in Germania, o forse solo un grido di paura per una società, quella tedesca appunto, che sta lentamente ma inesorabilmente perdendo i suoi connotati tradizionali e si sta letteralmente de-germanizzando.

Sarrazin riporta una serie di dati dimostrando come la Germania, nonostante resti ancora oggi tra i Paesi più ricchi in Occidente, non occupa più i primi posti della classifica, superata, infatti (anche se i dati si riferiscono al 2008), da Stati Uniti, Svizzera, Olanda, Svezia e Gran Bretagna. La migliore università tedesca, la Ludwig-Maximilians-Universität (LMU) di Monaco, è al cinquantacinquesimo posto nella graduatoria internazionale. Le nascite in Germania erano 1.3 milioni negli anni sessanta, 650.000 nel 2009 e, di questo passo, fra novant’anni saranno tra 200 e 250.000. La popolazione tedesca è destinata a diminuire a 25 milioni fra cento anni, a 8 milioni tra duecento e 3 milioni fra trecento. Per descrivere questo processo inesorabile, Thilo Sarrazin, molto efficacemente, ricorda il celebre film del 1957 Radiazioni BX: distruzione uomo di Jack Arnold in cui il protagonista causa una nube radioattiva, subisce un processo di graduale, costante ed irreversibile rimpicciolimento che lo porterà, di fatto, alla sparizione.

Il problema, però, è che al contempo aumentano sempre di più gli immigrati (musulmani in particolare) che hanno oggettive difficoltà ad integrarsi: parlano a stento il tedesco, vivono di sussidi statali (problema grave e molto sentito in Germania) e l’orizzonte culturale di riferimento resta sempre e soltanto quello del proprio gruppo nazionale di appartenenza. In compenso sono particolarmente fertili, al contrario di gran parte dei tedeschi – e qui il discorso si potrebbe allargare anche al resto d’Europa. Thilo Sarrazin porta l’esempio del grosso quartiere Neukölln di Berlino, dove di 305.000 abitanti 120.000 sono turchi o arabi (ai quali vanno aggiunti circa 20 o 30.000 di altri immigrati illegali). Oramai il quartiere viene considerato la più grande città turca in Germania. Il problema, in questo caso, è che negli anni sessanta e settanta la Germania è stata terra di migrazione in particolare per italiani e turchi, ma mentre gli italiani sono tornati in Italia o sono rimasti cercando, con più o meno successo, di integrarsi, i circa 750.000 turchi degli anni settanta sono rimasti ed hanno anche fatto arrivare in Germania la propria famiglia con il risultato che oggi sono circa 3 milioni.

Sarrazin ritiene, in conclusione, che la politica di integrazione sia stata un sostanziale fallimento perché non ha voluto prendere atto che il 95 % degli immigrati vengono dalla Turchia, dall’Africa, dal Medio o Vicino Oriente e sono di religione musulmana. Considerato, poi, la scarso livello di formazione culturale e di partecipazione al mercato del lavoro degli immigrati turchi (o più in generale musulmani) l’allarme di Sarrazin è che tra qualche decennio la società tedesca non solo perderà ancora maggior competitività, in quanto le teste migliori e con una migliore formazione non fanno figli, ma soprattutto non esisterà la Germania così come la conosciamo oggi.

Ragionare e ripensare il rapporto tra identità, integrazione ed immigrazione è diventato, come è evidente, estremamente difficile. Gli attacchi terroristici, le guerre in Medio Oriente, il crescente aumento dell’influenza della religione islamica in Occidente, il nuovo equilibrio tra stati nazionali e grandi istituzioni sovranazionali, tutto questo ha reso ancor più complesso l’approccio a questo tema. Molto spesso si oscilla tra il multiculturalismo ed il nazionalismo (e/o localismo), tra l’apertura indiscriminata delle frontiere e la chiusura ad oltranza, ed inoltre le élite culturali e politiche di gran parte dei Paesi occidentali non hanno alcuna idea veramente convincente per considerare la migrazione come parte costante della società occidentale, manca una visione nella quale l’integrazione europea funzioni come riparo delle democrazie nazionali. Da una parte c’è, dunque, un’enorme richiesta di nuove misure di contrasto all’immigrazione, dall’altra, la politica ha spesso difficoltà a trattare in modo organico, senza ideologismi ed in maniera neutra un tema, che negli ultimi mesi è diventato di grande attualità in tutto il mondo Occidentale.

GlossarioBiografie

11 Settembre 2001

La data ricorda i quattro attentati compiuti contro gli Stati Uniti da terroristi del gruppo fondamentalista islamico al Qaida, attentati che hanno causato quasi 3000 vittime.


Diritti umani

I diritti umani (riassunti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, del 1948) sono i diritti che i trattati internazionali garantiscono in linea di principio a ogni persona, indipendentemente dalla cittadinanza, dal sesso, dalla religione, dalla condizione sociale e da altri fattori di discriminazione.
Essi vanno al di là dei diritti del cittadino in quanto sono universali, inoltre non coincidono con quelli dei popoli, poiché appartengono in primo luogo all'individuo, anche quando, per loro natura, sono diritti che devono essere esercitati in forma collettiva (si pensi, ad esempio, al diritto di sciopero).


Integrazione

L’insieme di processi sociali e culturali che rendono l'individuo membro di una società.


Alesina

Alesina, Alberto

Alberto Alesina, nato a Broni nel 1957, è un economista e docente all’Università di Harvard.

Amato

Amato, Giuliano

Giuliano Amato è nato nel 1938 ed è un politico, giurista e docente universitario.

Barzun

Barzun, Jacques

Jacques Barzun (1907-2012) è stato uno storico francese, poi naturalizzato statunitense: ha insegnato alla Columbia University ed ha pubblicato numerosi saggi sul Novecento.

Benedetto XVI

Benedetto XVI

Benedetto XVI, al secolo Joseph Aloisius Ratzinger, è nato a Marktl, in Germania, nel 1927. È stato il 265° papa della Chiesa Cattolica e, dalla sua rinuncia al ministero del 2013, ha il titolo di papa emerito.

Costa

Costa, Dora

Dora Costa, nata nel 1964, è un’economista e docente universitaria statunitense.

Fortuyn

Fortuyn, Pim

Pim Fortuyn (1948-2002), politico olandese di ispirazione liberale, fu ucciso da un estremista.

Glaeser

Glaeser, Edward

Edward Glaeser, nato nel 1957, è un economista e docente universitario statunitense.

ISTAT

L'ISTAT, fondato nel 1926, è l'Istituto Nazionale di Statistica. Dal 1989 l'Istat svolge un ruolo di indirizzo, coordinamento, assistenza tecnica e formazione all'interno del Sistema statistico nazionale (sistan).

Kahn

Kahn, Matthew

Matthew Kahn, nato nel 1966, è un esperto di tematiche formative legate all’ambiente: attualmente insegna in California, presso la UCLA.

Merkel

Merkel, Angela

Angela Merkel, nata nel 1954, è una politica tedesca, attualmente Cancelliera della Germania.

Montesquieu

Montesquieu, Charles-Louis de Secondat Baron de la Brède et de

Charles-Louis de Secondat Baron de la Brède et de Montesquieu (1689-1755) è stato un filosofo, giurista, storico e pensatore politico francese, considerato il fondatore della teoria politica della “separazione dei poteri”.

Page

Page, Scott

Scott Page è uno scienziato sociale statunitense e docente universitario esperto nello studio dei sistemi complessi.

Panebianco

Panebianco, Angelo

Angelo Panebianco è nato nel 1948. Politologo, saggista e docente universitario. Di impostazione liberale ha talvolta posizioni controverse ispirate a criteri di realismo politico.

Perego

Perego, Giancarlo

Giancarlo Perego, nato nel 1960, è docente universitario di Scienze umane e direttore della Fondazione Migrantes.

Pittau

Pittau, Franco

Franco Pittau è nato nel 1940: esperto di migrazioni ha diretto numerosi progetti di ricerca sul tema ed è referente scientifico di enti come Caritas.

Putnam

Putnam, Robert

Robert Putnam, nato nel 1941 negli Stati Uniti, è uno scienziato della politica particolarmente esperto di relazioni internazionali e negoziati diplomatici.

Roosevelt

Roosevelt, Teddy

Teddy Roosevelt (1856-1919) è stato un uomo politico, scrittore, naturalista e storico: dal 1901 al 1909 ha ricoperto la carica di Presidente degli Stati Uniti.

Sarrazin

Sarrazin, Thilo

Thilo Sarrazin, nato in Germania nel 1945, è un economista, saggista e uomo politico, noto per le sue controverse posizioni in materia di immigrazione.

Scheffer

Scheffer, Paul

Paul Scheffer, nato in Olanda nel 1954, è un docente universitario esperto di politica europea.

Scruton

Scruton, Roger

Roger Scruton è un filosofo inglese nato nel 1944. Nella sua poliedrica attività (è stato accademico, curatore, editore, avvocato, giornalista, romanziere e compositore) ha sempre tentato di comprendere e difendere le "conquiste della cultura occidentale".

van Gogh

van Gogh, Theo

Theo Van Gogh (1957-2004) è stato un regista e produttore olandese, assassinato da un estremista islamico.

Vargas Llosa

Vargas Llosa, Alvaro

Alvaro Vargas Llosa è nato a Lima, in Perù, nel 1966. Saggista e politologo di tendenza liberale, è però fortemente critico nei confronti del neoliberismo.

Villani Lubelli

Villani Lubelli, Ubaldo

Ubaldo Villani Lubelli è nato nel 1978. Ricercatore, filosofo, svolge anche l'attività giornalistica dedicandosi in particolare a temi di natura culturale.

Wilders

Wilders, Geert

Geert Wilders (1963) è un politico olandese di ispirazione liberale, fondatore e leader del Partito per la Libertà.

Yehoshua

Yehoshua, Abraham

Abraham Yehoshua è nato a Gerusalemme nel 1936. Romanziere, drammaturgo e saggista, ha sempre partecipato attivamente al dibattito su temi civili.

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Glossario Biografie

11 Settembre 2001

La data ricorda i quattro attentati compiuti contro gli Stati Uniti da terroristi del gruppo fondamentalista islamico al Qaida, attentati che hanno causato quasi 3000 vittime.

Diritti umani

I diritti umani (riassunti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, del 1948) sono i diritti che i trattati internazionali garantiscono in linea di principio a ogni persona, indipendentemente dalla cittadinanza, dal sesso, dalla religione, dalla condizione sociale e da altri fattori di discriminazione.
Essi vanno al di là dei diritti del cittadino in quanto sono universali, inoltre non coincidono con quelli dei popoli, poiché appartengono in primo luogo all'individuo, anche quando, per loro natura, sono diritti che devono essere esercitati in forma collettiva (si pensi, ad esempio, al diritto di sciopero).

Integrazione

L’insieme di processi sociali e culturali che rendono l'individuo membro di una società.

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Alberto Alesina

Alberto Alesina, nato a Broni nel 1957, è un economista e docente all’Università di Harvard.

Amato

Giuliano Amato

Giuliano Amato è nato nel 1938 ed è un politico, giurista e docente universitario.

Barzun

Jacques Barzun

Jacques Barzun (1907-2012) è stato uno storico francese, poi naturalizzato statunitense: ha insegnato alla Columbia University ed ha pubblicato numerosi saggi sul Novecento.

Benedetto XVI

Benedetto XVI

Benedetto XVI, al secolo Joseph Aloisius Ratzinger, è nato a Marktl, in Germania, nel 1927. È stato il 265° papa della Chiesa Cattolica e, dalla sua rinuncia al ministero del 2013, ha il titolo di papa emerito.

Costa

Dora Costa

Dora Costa, nata nel 1964, è un’economista e docente universitaria statunitense.

Fortuyn

Pim Fortuyn

Pim Fortuyn (1948-2002), politico olandese di ispirazione liberale, fu ucciso da un estremista.

Glaeser

Edward Glaeser

Edward Glaeser, nato nel 1957, è un economista e docente universitario statunitense.

ISTAT

L'ISTAT, fondato nel 1926, è l'Istituto Nazionale di Statistica. Dal 1989 l'Istat svolge un ruolo di indirizzo, coordinamento, assistenza tecnica e formazione all'interno del Sistema statistico nazionale (sistan).

Kahn

Matthew Kahn

Matthew Kahn, nato nel 1966, è un esperto di tematiche formative legate all’ambiente: attualmente insegna in California, presso la UCLA.

Merkel

Angela Merkel

Angela Merkel, nata nel 1954, è una politica tedesca, attualmente Cancelliera della Germania.

Montesquieu

Charles-Louis de Secondat Baron de la Brède et de Montesquieu

Charles-Louis de Secondat Baron de la Brède et de Montesquieu (1689-1755) è stato un filosofo, giurista, storico e pensatore politico francese, considerato il fondatore della teoria politica della “separazione dei poteri”.

Page

Scott Page

Scott Page è uno scienziato sociale statunitense e docente universitario esperto nello studio dei sistemi complessi.

Panebianco

Angelo Panebianco

Angelo Panebianco è nato nel 1948. Politologo, saggista e docente universitario. Di impostazione liberale ha talvolta posizioni controverse ispirate a criteri di realismo politico.

Perego

Giancarlo Perego

Giancarlo Perego, nato nel 1960, è docente universitario di Scienze umane e direttore della Fondazione Migrantes.

Pittau

Franco Pittau

Franco Pittau è nato nel 1940: esperto di migrazioni ha diretto numerosi progetti di ricerca sul tema ed è referente scientifico di enti come Caritas.

Putnam

Robert Putnam

Robert Putnam, nato nel 1941 negli Stati Uniti, è uno scienziato della politica particolarmente esperto di relazioni internazionali e negoziati diplomatici.

Roosevelt

Teddy Roosevelt

Teddy Roosevelt (1856-1919) è stato un uomo politico, scrittore, naturalista e storico: dal 1901 al 1909 ha ricoperto la carica di Presidente degli Stati Uniti.

Sarrazin

Thilo Sarrazin

Thilo Sarrazin, nato in Germania nel 1945, è un economista, saggista e uomo politico, noto per le sue controverse posizioni in materia di immigrazione.

Scheffer

Paul Scheffer

Paul Scheffer, nato in Olanda nel 1954, è un docente universitario esperto di politica europea.

Scruton

Roger Scruton

Roger Scruton è un filosofo inglese nato nel 1944. Nella sua poliedrica attività (è stato accademico, curatore, editore, avvocato, giornalista, romanziere e compositore) ha sempre tentato di comprendere e difendere le "conquiste della cultura occidentale".

van Gogh

Theo van Gogh

Theo Van Gogh (1957-2004) è stato un regista e produttore olandese, assassinato da un estremista islamico.

Vargas Llosa

Alvaro Vargas Llosa

Alvaro Vargas Llosa è nato a Lima, in Perù, nel 1966. Saggista e politologo di tendenza liberale, è però fortemente critico nei confronti del neoliberismo.

Villani Lubelli

Ubaldo Villani Lubelli

Ubaldo Villani Lubelli è nato nel 1978. Ricercatore, filosofo, svolge anche l'attività giornalistica dedicandosi in particolare a temi di natura culturale.

Wilders

Geert Wilders

Geert Wilders (1963) è un politico olandese di ispirazione liberale, fondatore e leader del Partito per la Libertà.

Yehoshua

Abraham Yehoshua

Abraham Yehoshua è nato a Gerusalemme nel 1936. Romanziere, drammaturgo e saggista, ha sempre partecipato attivamente al dibattito su temi civili.

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