Jonah Lynch, La tecnologia e le relazioni
Il profumo dei limoni. Tecnologia e rapporti umani nell’era di Facebook è il suo ultimo testo che invita a riflettere sui cambiamenti prodotti nella persona dalle nuove tecnologie. Ci può spiegare che cosa c'entrano i limoni con le tecnologie?
D'inverno, quando passeggio davanti alla mia camera, mi piace annusare il profumo dei limoni che si trovano su un albero nel giardino. Quando stavo scrivendo questo libro, una volta ero lì fuori a sentire il profumo e mi è venuta voglia di condividerlo con mia madre. In quel momento mi è venuta l'ispirazione per il titolo: ecco una cosa bellissima che però non può passare tramite e-mail. Mi è sembrata un'esperienza sintetica per indicare alcuni dei limiti della tecnologia.
La tecnologia ha invaso la nostra vita, rimodellando il nostro modo di leggere, scrivere, apprendere e comunicare.
I vantaggi sembrano evidenti, lei crede tuttavia che ci siano anche pericoli reali e concreti dietro alla rivoluzione digitale?
Non sono poche le persone che avvertono un oscuro disagio con il nostro mondo tecnologico. C'è chi, come Nicholas Carr, fa leva sugli ultimi studi di neuroscienza per far vedere che la tecnologia, lungi dall'essere neutrale, influisce profondamente sulle strutture neuronali. Ci sono sociologi che rilevano nella nostra società iperconnessa un’immensa solitudine. Anche nella scuola non è ancora chiaro il giudizio complessivo circa l'aiuto che le tecnologie digitali possono dare all'apprendimento. Un esempio su tutti è l'attenzione. Gli strumenti multimediali certamente possono essere più accattivanti delle lavagne di ardesia, ma forse finiscono per indebolire l'attenzione dello studente e, di conseguenza, anche la sua capacità di fare esperienza.
Lei ci invita a riflettere sulla mutazione dei rapporti interpersonali, influenzati dal modo di comunicare e di incontrarsi proposto dai social network, e all'inizio del libro spiega che tre dei cinque sensi non possono essere trasmessi attraverso la tecnologia. Verrebbe da aggiungere “per ora”...
Ma certo, è un po' una boutade... So bene che ci sono stati e che ci saranno ancora tentativi di creare "stampanti di profumi". L'anno scorso girava su YouTube un simpatico video che illustrava un fantomatico macchinario che permetteva di baciare attraverso una connessione internet...
La mia insistenza sui sensi è più che altro un invito a riflettere sulla ricchezza dell'esperienza "in tempo reale". Samuel Beckett, in Molloy, parla della «spray of phenomena», il getto dei fenomeni che continuamente ci raggiungono attraverso tutti i sensi.
Quell’eccedenza è innegabile: pensa alla differenza fra una dipinto e una foto dello stesso dipinto, o fra un film 3D e uno spettacolo teatrale. C'è una differenza importante fra la realtà fisica e ogni suo surrogato. La cosa è ancora più importante quando si tratta di rapporti umani. Pensa alla differenza tra un bacio telematico e uno in persona, oppure a una stretta di mano o a una risata insieme, piuttosto che «ahahahah» scritto nella chat....
Nel passaggio epocale che stiamo attraversando in ambito tecnologico, come ritiene possibile che coloro che hanno il compito di educare i “nativi digitali” riescano a introdurli nella realtà vera, non quella virtuale? Crede che sia necessario un po’ di digiuno tecnologico per raggiungere tale scopo?
Innanzitutto cambierei i termini della domanda. Anche Internet è realtà. Credo che il compito dell'educatore sia di introdurre alla totalità della realtà, senza sbilanciarsi troppo da una parte o da un altra. Per questo nel mio libro parlo di un digiuno tecnologico. Non è la proposta dell'astinenza, di non avere a che fare. Si tratta invece di avere un rapporto ragionevole con ogni aspetto della realtà. Ad esempio, mi sembra liberante spegnere il cellulare, quando parlo con gli amici più cari. In quel momento, non c'è nulla di più importante della persona che ho davanti. Altre volte è liberante poter essere raggiunto, e non dover stare sempre nel mio ufficio. Uno degli scopi dell'educazione è di imparare la libertà di usare gli strumenti in base a un ideale.
Cos'è che ci spinge a cercare sempre nuove storie?
Il bisogno di amare ed essere amati, in una continua ricerca di appagamento, senza essere mai sicuri di essere stati soddisfatti abbastanza. L’amore liquido è proprio questo: un amore diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame.
Dunque siamo condannati a vivere relazioni brevi o all’infedeltà...
Nessuno è "condannato". Di fronte a diverse possibilità sta a noi scegliere. Alcune scelte sono più facili e altre più rischiose. Quelle apparentemente meno impegnative sono più semplici rispetto a quelle che richiedono sforzo e sacrificio.
Eppure lei ha vissuto un amore duraturo, quello con sua moglie Janina, scomparsa due anni fa.
L’amore non è un oggetto preconfezionato e pronto per l'uso. È affidato alle nostre cure, ha bisogno di un impegno costante, di essere rigenerato, ricreato e resuscitato ogni giorno. Mi creda, l’amore ripaga quest'attenzione meravigliosamente. Per quanto mi riguarda (e spero sia stato così anche per Janina) posso dirle: come il vino, il sapore del nostro amore è migliorato negli anni.
Oggi viviamo più relazioni nell'arco di una vita. Siamo più liberi o solo più impauriti?
Libertà e sicurezza sono valori entrambi necessari, ma sono in conflitto tra loro. Il prezzo da pagare per una maggiore sicurezza è una minore libertà, il prezzo di una maggiore libertà è una minore sicurezza. La maggior parte delle persone cerca di trovare un equilibrio, quasi sempre invano.
Lei però è invecchiato insieme a sua moglie: come avete affrontato la noia della quotidianità? Invecchiare insieme è diventato fuori moda?
È la prospettiva dell’invecchiare a essere ormai fuori moda, identificata con una diminuzione delle possibilità di scelta e con l’assenza di "novità". Quella "novità" che in una società di consumatori è stata elevata al più alto grado della gerarchia dei valori e considerata la chiave della felicità. Tendiamo a non tollerare la routine, perché fin dall'infanzia siamo stati abituati a rincorrere oggetti "usa e getta", da rimpiazzare velocemente. Non conosciamo più la gioia delle cose durevoli, frutto dello sforzo e di un lavoro scrupoloso.
Abbiamo finito per trasformare i sentimenti in merci. Come possiamo ridare all'altro la sua unicità?
Il mercato ha fiutato nel nostro bisogno disperato di amore l'opportunità di enormi profitti. E ci alletta con la promessa di poter avere tutto senza fatica: soddisfazione senza lavoro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza un processo di apprendimento. L'amore richiede tempo ed energia. Ma oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l’altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia e attenzione. Ma possiamo comprare tutto, non l'amore. Non troveremo l'amore in un negozio. L'amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana.
Forse accumuliamo relazioni per evitare i rischi dell'amore, come se la "quantità" ci rendesse immuni dell'esclusività dolorosa dei rapporti.
È così. Quando ciò che ci circonda diventa incerto, l'illusione di avere tante "seconde scelte", che ci ricompensino dalla sofferenza della precarietà, è invitante. Muoversi da un luogo all'altro (più promettente perché non ancora sperimentato) sembra più facile e allettante che impegnarsi in un lungo sforzo di riparazione delle imperfezioni della dimora attuale, per trasformarla in una vera e propria casa e non solo in un posto in cui vivere. L’amore “esclusivo" non è quasi mai esente da dolori e problemi, ma la gioia è nello sforzo comune per superarli.
In un mondo pieno di tentazioni, possiamo resistere? E perché?
È richiesta una volontà molto forte per resistere. Emmanuel Lévinas ha parlato della «tentazione della tentazione». È lo stato dell’«essere tentati» ciò che in realtà desideriamo, non l'oggetto che la tentazione promette di consegnarci. Desideriamo quello stato, perché è un'apertura nella routine. Nel momento in cui siamo tentati ci sembra di essere liberi: stiamo già guardando oltre la routine, ma non abbiamo ancora ceduto alla tentazione, non abbiamo ancora raggiunto il punto di non ritorno. Un attimo più tardi, se cediamo, la libertà svanisce e viene sostituita da una nuova routine. La tentazione è un'imboscata nella quale tendiamo a cadere gioiosamente e volontariamente.
I "legami umani" in un mondo che consuma tutto sono un intralcio?
Sono stati sostituiti dalle "connessioni". Mentre i legami richiedono impegno, "connettere" e "disconnettere" è un gioco da bambini. Su Facebook si possono avere centinaia di amici muovendo un dito. Farsi degli amici offline è più complicato. Ciò che si guadagna in quantità si perde in qualità. Ciò che si guadagna in facilità (scambiata per libertà) si perde in sicurezza.
Flavio Pajer, L’etica della relazioni multiculturali
Se nelle società moderne - e persino all'interno delle istituzioni, dei partiti, delle chiese - coesiste di fatto la pluralità di valori, una delle capacità prioritarie della persona è di saper vivere e convivere nella pluralità, dando senso a questa pluralità.
Intanto, il fatto di vivere accanto a persone che pensano e vivono in modo diverso può indurre all'indifferenza o al relativismo morale, perché ciascuno si crede in diritto di "farsi la sua vita" come meglio crede, senza dover render conto ad altri. Ma proprio questa libera circolazione di idee e di modelli di vita potrebbe, al contrario, divenire una chance nuova per dimostrare la propria maturità e coerenza morale una volta che non si è più costretti dal conformismo ambientale.
Prima condizione per accedere a questa maturità è il riconoscimento del valore della diversità.
Riconoscere cioè che la differenza che sembra separarci dall'altro è di fatto un potenziale arricchimento per ambedue, purché si sappia entrare nel sistema culturale dell'altro senza per questo rinunciare alla propria identità.
La stessa natura insegna che è sempre la relazione col diverso da sé che diventa interessante e feconda, non la relazione con l'uguale a sé, che isterilisce perché ripetitiva. Il riconoscimento della diversità è indispensabile anche perché fa superare sia l'istintiva intolleranza sia l'accomodante disinnesco di ogni tensione, non meno pericoloso perché illusorio e ipocrita.
Entrare in relazione costruttiva con l'altro significa poi trovare un consenso almeno su una tavola minima di valori essenziali comuni. Ciò significa recuperare quel profondo humanum che sta alla radice di ogni pur differente cultura storica; significa svestirsi di tanti stereotipi culturali presi come assoluti e che invece sono semplicemente relativi a un gruppo o a un'epoca storica; significa conoscere le proprie radici, cioè sapere da dove sono venute le nostre idee e perché crediamo proprio in quelle; significa imparare a confrontarsi non partendo da presupposti indimostrati o da opinioni soggettive (si resta il più delle volte su un terreno di incompatibilità), ma in base a dati di fatto documentati ad argomenti ragionati, a ipotesi verificabili e verificate, a conclusioni accertate.
A livello propriamente etico il consenso va trovato intorno a quei valori e atteggiamenti universalmente riconosciuti come il rispetto della propria e altrui dignità personale, il rispetto delle proprie e altrui cose, l'accettazione del proprio e altrui limite, la compassione verso ogni sofferenza, la ricerca di ciò che è giusto per ognuno, la pratica della "regola aurea" «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te».
Il rapporto con il diverso da me non può solo basarsi sul principio della tolleranza, che resta ambiguo nel suo stampo arcaico e illuministico in quanto lascia presupporre che la differenza tra i partner è incolmabile, e che la sola forma di convivenza è il separatismo. Occorre puntare invece sul principio della reciprocità, del confronto interattivo, fondato sulla fiducia che ciascuno ha qualcosa da dare e da ricevere.