Ci si allena mentalmente per anni, pensando alle cose giuste, precise e rilassate da dire ai figli sul sesso, quando sarà il momento, anzi un attimo prima che il corpo di quella ragazzina con le lentiggini si trasformi in un corpo nuovo, prima che sbatta la porta, prima che racconti di andare a studiare dalla sua amica lasciando nella doccia mille rasoi, scie di profumo e lo scontrino di un reggiseno di cui non sapevate nulla. Per i padri, anche i più moderni ed entusiasti, in fondo è semplice, scrive Michael Chabon in “Uomini si diventa”, descrivendo però una sconfitta: «Ti schiarirai la gola e, accarezzandoti la barba, le dirai di andare a chiedere a sua madre. Sarà più forte di te: sei uno stereotipo ambulante». Chiedi a tua madre, e tua madre si è già preparata mille discorsi, sull’amore, sulla crescita, sul senso dell’attesa, ha letto libri, ha chiesto alle amiche con figlie un po’ più grandi: assapora il trionfo di quella chiacchierata intima, ma universale, che vi cambierà entrambe, che vi unirà di più. Ha immaginato il caffè che prenderete insieme in cucina, la zuccheriera della nonna, le risate, gli occhi un po’ lucidi (oppure il letto su cui guardate le serie americane e vi prendete a cuscinate). Quindi la mamma un giorno dice, emozionata ma ferma: beh, è ora che parliamo un po’ di sesso. E la figlia, nel cui orizzonte il sesso manda già lampi, risponde: non credo proprio, ed esce dalla stanza. Distruggendo l’ambizione di tutti quei mesi, sfracellando il sogno di essere una madre guida con cui si parla di tutto. Hanna Rosin, manager e scrittrice, ha affermato che tutti i suoi studiati tentativi di chiacchierare di sesso con la figlia quindicenne sono completamente falliti. Si era ripromessa di fare meglio di sua madre, grazie alla quale è cresciuta certa che i preservativi fossero di cuoio e che l’amore si facesse solo stando in piedi, e invece ha scoperto che non basta avere spiegato con sincerità come nascono i bambini per diventare la confidente non solo sentimentale di un’adolescente. Hanna Rosin ha provato a lasciarle manuali sul letto, con noncuranza: la figlia li ha calciati da qualche parte e si è messa a leggere un vero libro. Rosin ha provato a dire: guardiamo insieme Buffy l’Ammazzavampiri? (è un horror, ma un’amica sosteneva che parlava anche di questioni sessuali importanti ed era un aggancio utilissimo), e la figlia ha sbuffato: no, è troppo stupido. A un certo punto quel maledetto discorso sul sesso era diventato un’ossessione, e Hanna Rosin si commuoveva davanti a una serie tivù per liceali in cui la madre tra le lacrime dice alla figlia: «Volevo che tu aspettassi, ma solo perché voglio proteggerti perché ti amo, e non voglio che ti succeda mai niente di male. E voglio che tu riesca sempre a parlare con me». Ecco, alla fine è arrivata l’illuminazione: parlare sempre può non essere sempre una buona idea. Forse è giusto che la quindicenne esca dalla stanza mentre le parlo, di sicuro l’avrei fatto anch’io. Hanna Rosin si è consolata pensando che sua madre non ha avuto colpa di quell’idea assurda sui preservativi di cuoio: era lei che non la voleva ascoltare. Magari a un certo punto, invece, alla ragazza si accenderà la curiosità nello sguardo, e comincerà a fare domande. E ancora nessuna ha provato con il metodo: chiedi a tuo padre.
Parlare di sesso con gli adolescenti: da più parti affiora la domanda – che nasconde timori e forse qualche imbarazzo – è proprio necessario? E come, quando? Per cercare una risposta sensata e non banale ne abbiamo parlato con Rosangela Carù, Monica Pinciroli e Luisa Santoro. Da anni trascorrono gran parte del loro tempo con i ragazzi, nelle scuole e negli oratori, riflettendo sui temi dell’affettività e della sessualità con loro e con i loro genitori. Osservano gli adolescenti, parlano con loro, ne ascoltano le opinioni, le domande e i bisogni.
Dialogano anche con i genitori, constatando che il loro sguardo non sempre coglie il reale pensiero dei figli su questi temi: li ritengono abbastanza informati ma troppo piccoli e ancora lontani da certi bisogni, oppure già abbastanza maturi per saper scegliere da soli.
Ma come sono questi ragazzi e cosa pensano del sesso?
I ragazzi che incontriamo si mostrano disorientati e curiosi su tutto ciò che riguarda la sessualità… così come lo eravamo noi alla loro età. Il corpo che cambia, i primi innamoramenti, la voglia di crescere e di provare emozioni nuove li scombussola e li porta a porsi delle domande, come da sempre capita ai ragazzi che si affacciano all’età adulta. Oggi come un tempo, fanno fatica a rivolgersi ai genitori, perché sentono di invadere la propria e l’altrui intimità.
Come fanno, allora, ad avere delle risposte?
È molto facile: televisione, riviste, internet sono un comodo supermercato dove recuperare tutto ciò che serve; non solo, riescono persino ad anticipare e indurre la domanda prima ancora che sorga spontaneamente nella mente del bambino.
Ma se sanno già tutto, è necessario educarli all’affettività e alla sessualità?
Crediamo di sì, per vari motivi. Innanzitutto, perché le informazioni dei media non sono calibrate sulle diverse età e non tengono conto dei valori che ogni famiglia vorrebbe trasmettere ai propri figli… senza contare che a volte sfociano nella pornografia. L’informazione infatti non è neutra, ma propone una certa visione della sessualità, largamente condivisa oggi, per cui il valore di riferimento è il proprio piacere che deve essere raggiunto “tutto e subito”. Il nostro intervento educativo è quindi necessario per offrire una visione alternativa che dia maggiore dignità alla sessualità umana. Le informazioni sono assolutamente necessarie, ma devono essere inserite in un’educazione alla relazione e ai sentimenti.
Che responsabilità hanno i media?
I contenuti dei media possono essere scientificamente corretti (anche se non sempre lo sono) e dare risposta alle domande “tecniche”, ma i ragazzi non hanno bisogno solo di questo. Piuttosto cercano delle indicazioni su come rapportarsi con gli altri e su come vivere la propria sessualità di adolescenti, non solo a livello gestuale, ma anche relazionale e affettivo. Questa meta però è raggiungibile solo attraverso un lavoro serio e lungo che ciascun individuo fa, riflettendo su sé e su ciò che gli accade.
I mezzi di informazione certo non invogliano a una riflessione, anzi! Tocca quindi agli educatori accompagnare i giovani a questo traguardo.
I media forniscono “istruzioni per l’uso” su come dichiararsi, come conquistare, come baciare… e questi consigli sono necessariamente uguali per tutti. Ma i ragazzi non sono tutti uguali! Compito dell’educatore è accompagnare l’adolescente nella costruzione della propria personalità, valorizzando l’unicità di ciascuno. Non serve un manuale di istruzioni: nelle relazioni ciascuno si deve giocare in prima persona, per quello che è.
Qualche consiglio utile?
Per i ragazzi, sembra esserci una netta separazione tra la gestualità e i sentimenti, tanto che considerano espressione d’amore i baci, gli abbracci, le carezze, persino gli sms, mentre ritengono il rapporto sessuale un gesto utile a soddisfare il proprio piacere, magari un po’ trasgressivo, ma non così strettamente legato alla sfera affettiva.
Noi crediamo che in ciascun essere umano ci sia una relazione molto stretta tra corpo, emozioni e sentimenti, solo che i nostri giovani vivono in un contesto che non li aiuta a far emergere questa unitarietà. È compito degli educatori farla affiorare.
Negli ultimi anni, molti più ragazzi pongono interrogativi su omosessualità e transessualismo, e a volte queste domande sembrano celare dei timori. Riteniamo che in un contesto culturale nel quale si tendono a confondere i sessi e ad annullare le differenze, possa essere più difficile raggiungere la definizione della propria identità sessuale.
Inoltre la spettacolarizzazione di queste situazioni riduce la questione a banali stereotipi, mentre nasconde la difficoltà e la sofferenza ad esse connesse.
Siamo convinte che sia bene parlarne e diffondere la cultura del rispetto e dell’accoglienza. È altrettanto importante però aiutare i ragazzi a guardare con senso critico ciò che i media propongono e offrire loro opportunità di confronto.