Alain de Benoist, Il mito dello sviluppo sostenibile
Da tempo ormai e da più parti, il concetto di “sviluppo sostenibile”, definito da alcuni suoi detrattori come «l’ultimo gadget ideologico dell’Occidente» o «un imbroglio», è oggi fortemente criticato per via non solo dell’ambiguità della definizione stessa, diventata ormai parola d’ordine dei sostenitori dell’ecologia industriale o del capitalismo verde, vale a dire di coloro che si dichiarano a favore della riconciliazione della preoccupazione ecologista con l’industria o il mercato. Ma, soprattutto, il concetto è criticato per quel che ingannevolmente racchiude questa teoria, che, tenendo conto di dati quali l’esaurimento delle risorse e l’inquinamento risultante dalle attività industriali, cerca di racchiudere l’ambiente nella razionalità economica, ed è errata perché il patrimonio naturale e il capitale artificiale non sono in realtà sostituibili.
Considerare il primo come un “capitale” è peraltro un mero artificio linguistico, dal momento che il valore delle risorse naturali è inestimabile in termini economici; se esse sono una condizione per la sopravvivenza umana “il loro prezzo” non può essere che infinito… Provvedimenti di questo genere possono tutt’al più avere l’effetto di ritardare le scadenze. La loro moltiplicazione rafforza inoltre l’autorità delle burocrazie nazionali o internazionali e il controllo tecnocratico.
La teoria dello “sviluppo durevole” mira a correggere lo sviluppo classico, ma si guarda bene dal considerarlo per quello che è, cioè la causa profonda della crisi ecologica che conosciamo. Essa è, infine, particolarmente ingannevole nella misura in cui lascia credere che sia possibile rimediare a questa crisi senza mettere in discussione la logica mercantile, l’immaginario economico, il sistema monetario e l’espansione illimitata del capitalismo.
Maurizio Pallante, Lo sviluppo è sempre insostenibile
Lo sviluppo sostenibile è un ossimoro, perché lo sviluppo è di per sé insostenibile e la sostenibilità prevede l’abolizione dello sviluppo. Bisogna quindi, prima di tutto, decidere che cosa si intende per sviluppo. Quando noi utilizziamo il concetto di Paesi sottosviluppati ci riferiamo, per esempio, a dei Paesi che non hanno il nostro stile di vita, che viene da noi generalmente considerato come il metro di tutto ciò che si basa sulla crescita che, in quanto tale, comporterebbe un miglioramento. La parola “sviluppo” è un modo di edulcorare la parola “decrescita” perché nessuno di quelli che parla di sviluppo pensa che si possa ottenere uno sviluppo attraverso la decrescita. Lo sviluppo sostenibile è il concetto secondo il quale, siccome dobbiamo continuare a crescere e siccome la crescita comporta l’esaurimento delle risorse non rinnovabili, dobbiamo puntare a sviluppare quelle rinnovabili. È una maniera di continuare a fare quello che si è sempre fatto in un modo diverso da come si è fatto in passato (cosa non particolarmente rivoluzionaria, visto che ormai sarebbe impossibile continuare a farlo).
Anche nel caso di estrema povertà, il concetto da proporre non dovrebbe essere quello di sviluppo, perché sviluppo significa mercificazione. Bisognerebbe invece aiutare queste persone ad uscire dalla povertà, mettendole in grado di auto-prodursi i propri beni. Invece succede tutto l’opposto; per esempio la Tata, industria automobilistica indiana, d’accordo con la Fiat, ha espropriato i terreni di 30 000 contadini per costruire una fabbrica che occuperà solo 2 000 persone. C’è riuscita utilizzando la persuasione, la truffa, la menzogna. Ma i bisogni reali di queste persone non saranno appagati dallo sviluppo. Lo saranno se riusciranno a mantenere la loro condizione contadina. Lo sviluppo è un concetto indissolubilmente legato alla crescita del PIL. La crescita del PIL è la mercificazione, perché se non si mercifica tutto non cresce il PIL. Questo è un modello che bisogna abbattere. Tutti hanno diritto a una vita dignitosa e, di conseguenza, tutti hanno diritto di accedere alle risorse necessarie all’ottenimento di tale obiettivo.
Gianfranco Bologna, La sostenibilità è un'espressione abusata
Negli ultimi anni si è ormai diffusa una formula che, al solo utilizzarla verbalmente, sembra poter fornire la soluzione ai tanti e gravi problemi esistenti nel rapporto tra i sistemi naturali e la nostra specie: si tratta per l’appunto di “sviluppo sostenibile”. È una espressione ormai abbondantemente abusata in ogni contesto, soprattutto in ambito politico ed economico. A volte dichiaratamente con funzioni di copertura: come se, parlando di “sviluppo sostenibile” o citando il termine “sostenibilità”, fosse automaticamente possibile azzerare o assolvere gli impatti di qualunque attività contrassegnata da questo attributo. Mantenere nella vaghezza i pur difficilissimi contorni concettuali di questa formula e non confrontarsi con i problemi concreti che derivano dall’attuazione della sostenibilità nei nostri processi di sviluppo significa procedere a un’azione ingiustificata dal punto di vista scientifico e scorretta dal punto di vista sociale, economico e politico. Pertanto, diventa sempre più indispensabile un’azione profonda e critica di analisi del concetto di sostenibilità dello sviluppo, alla luce di tutti i limiti emersi nel dibattito degli anni più recenti. Innanzitutto, è evidente che i sistemi produttivi e di consumo di una società futura (la cui necessità e desiderabilità si impone alla luce dell’attuale situazione ambientale, economica e sociale) saranno diversi da quelli che sino a oggi abbiamo conosciuto.
La prospettiva della sostenibilità mette inevitabilmente in seria discussione il nostro attuale modello di sviluppo socio-economico. Nei prossimi decenni dovremo essere capaci di passare da una società in cui il benessere e la salute economica sono misurati in termini di crescita della produzione e dei consumi materiali a una società in cui si sia capaci di vivere meglio consumando molto meno, evitando la dilapidazione dei sistemi naturali, e quindi del capitale naturale, e sviluppando l’economia riducendo gli attuali input di energia e materie prime. […] Il termine “sostenibilità”, perlopiù riassunto impropriamente nella formula “sviluppo sostenibile”, si è andato diffondendo negli anni Ottanta perché nell’ambito della comunità internazionale, in particolare nelle Nazioni Unite, appariva sempre più evidente che il concetto di sviluppo, così strettamente legato a quello di crescita (soprattutto crescita economica, intesa come incremento del prodotto pro capite), aveva causato una situazione di profonda incompatibilità con gli equilibri dinamici dei sistemi naturali. Lo sviluppo economico non è sostenibile perché ha profondamente minato i processi ecologici di base, compromettendo, di fatto, la base essenziale per la sopravvivenza della popolazione umana.