Flavia Amabile, I nativi digitali hanno bisogno di guida
Più si è connessi meno si studia. Sembra una banalità, uno di quei mantra ripetuti dalle madri ai figli, ma è anche un’affermazione supportata da un’indagine condotta sugli studenti lombardi risultati molto social, forse troppo. Trascorrono circa tre ore al giorno in rete, principalmente chattando sui social network (83%) e cercando informazioni e approfondimenti (53%).
Ma per ogni ora passata in più su Internet, l’apprendimento cala. Secondo quanto calcolato utilizzando i dati Invalsi la diminuzione di 0,8 punti in italiano e di 1,2 punti in matematica.
È il risultato a cui è giunta l’Indagine sull’uso dei nuovi media tra gli studenti delle scuole superiori lombarde condotta dal Gruppo di Ricerca sui Nuovi Media del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca, coordinata da Marco Gui, ricercatore in Sociologia dei media e con la supervisione scientifica di Giorgio Grossi, ordinario di Sociologia della comunicazione. Alla ricerca ha collaborato anche l’Osservatorio sulla Comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
La ricerca è stata svolta su un campione di 2327 studenti delle seconde superiori in Lombardia, e ha analizzato le dotazioni tecnologiche, l’uso dei nuovi media e le competenze digitali degli studenti. Per la prima volta in Italia, inoltre, ha associato l’utilizzo dei media digitali ai livelli di apprendimento, utilizzando i dati dei test Snv/Invalsi . Il campione è rappresentativo per tipo di scuola e area geografica.
E, quindi, c’è poco da fare, più si è connessi meno si riesce a studiare. Il calo nell’apprendimento è ancora più marcato se si considera solo la quota di tempo che gli studenti trascorrono online per motivi di studio: meno 2,2 punti in italiano e meno 3,2 punti in matematica. Inoltre, gli usi poco frequenti e molto frequenti della rete sono associati alle performance peggiori, mentre gli utilizzi moderati sono associati a quelle migliori.
La posizione sociale dei ragazzi non conta. I ragazzi dei centri di formazione professionale ormai superano quelli dei licei e dei tecnici nel tempo speso online. La permanenza online dello studente medio è infatti di circa 3 ore giornaliere, ma i ragazzi dei licei stanno online in media circa 2 ore e 48 minuti, quelli dei centri di formazione professionale circa 3 ore e un quarto.
Flavia Amabile, "I nativi digitali hanno bisogno di guida", La Stampa, 23/9/2013
Alfio Lucchini, Tossicodipendenza: la prevenzione e la cura
«Ci sono stati parecchi cambiamenti negli ultimi anni nel settore delle dipendenze patologiche: la comparsa di nuove sostanze, nuove modalità di assunzione per sostanze già note, nuove dipendenze legate ai comportamenti, come il gioco d’azzardo patologico o la dipendenza dalla rete web» dice Alfio Lucchini, Presidente nazionale FeDerSerD, la Federazione che in Italia riunisce gli operatori dei dipartimenti e dei servizi legati alle dipendenze. «Ogni anno 300mila persone varcano le soglie dei servizi pubblici per le dipendenze, i SerD, 550 presenti sul territorio, che lavorano in modo multidisciplinare con compiti di prevenzione, accoglienza, diagnosi e cura. Circa 115mila persone sono in carico per problemi di eroina, ma sono in aumento le persone con dipendenza da alcol (70mila), cocaina (30-40mila) o con più dipendenze contemporaneamente.
Negli ultimi anni è aumentata la presenza di pazienti – giovani e meno giovani – con problemi di gioco d’azzardo patologico o di dipendenza dal web.
Un altro cambiamento riguarda l’età dei pazienti dei servizi: se da un lato stiamo assistendo a un invecchiamento medio dei nostri pazienti, dall’altro abbiamo un picco di richieste in giovane età, dai 18 ai 24 anni».
«Non si può ignorare l’attuale necessità di risparmio del Servizio sanitario nazionale, ma le nuove dipendenze hanno fatto capire di più a tutti come sia importante saper costruire reti territoriali, che uniscano le strutture del Ssn, le istituzioni regionali e locali, i servizi sociali comunali, il tribunale dei minori. È importante specializzarsi sempre di più nel seguire giovani e meno giovani nelle loro dipendenze, ma anche nella capacità di comunicare efficacemente. Inoltre, c’è un interlocutore che deve diventare più importante: la rete di medici di Medicina generale e i Pediatri di libera scelta. Si tratta di 5Omila professionisti, una risorsa immane per il nostro Paese se riescono a entrare in modo proficuo in una rete di prevenzione, di diagnostica precoce, ma anche di cura insieme ai servizi specialistici. Stiamo lavorando su questo».
Secondo i dati FeDerSerD, le cure erogate attraverso i servizi pubblici per le dipendenze hanno prodotto 34 milioni di giorni liberi da droga e un miliardo e 700 milioni di euro sottratti alla criminalità organizzata. In altre parole, ogni euro investito in cure porta a sei euro di beneficio. È evidente, quindi, l’importanza dell’attività dei SerD e la necessità di potenziarli sempre più, di considerarli una risorsa per il nostro Paese.
Sapere e salute, 26/08/2013
Claudio Risé, Le droghe leggere non esistono
Claudio Risé, psicoanalista junghiano, è autore di Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita (San Paolo, 2007). A lui ci siamo rivolti per commentare la rinnovata penetrazione delle tendenze antiproibizioniste in Italia e negli Stati Uniti in relazione alle cosiddette “droghe leggere”.
Professore, stando al codice di comportamento dei suoi deputati, l’M5S dovrebbe presentare una proposta di legge dal titolo “Legalizziamo, tassiamo, e (con i suoi proventi) disincentiviamo l’uso e la vendita delle droghe!”, inteso da molti come un via libera alle droghe cosiddette “leggere”. Cosa ne pensa?
L’espressione “droghe leggere” non ha alcun significato scientifico da almeno dieci anni. La cannabis non lo è, lo ha spiegato a più riprese l’Istituto superiore di Sanità nei suoi documenti. Preoccupazione per la sua diffusione esprimono puntualmente l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, che a proposito dell’Italia propone dati allarmanti: il nostro paese fra il 2001 e il 2008 ha registrato il massimo incremento di consumatori in Europa, passando dal 9,2 al 20,3 per cento nelle persone fra i 15 e i 34 anni. I costi sociali di ciò sono altissimi e colpiscono le fasce più deboli della popolazione.
Negli Stati Uniti 19 stati hanno già legalizzato la cannabis per uso medico, due (Colorado e Washington) l’hanno legalizzata anche per uso ricreativo dopo referendum popolare e il Colorado ha iniziato la settimana scorsa l’iter legislativo che porterà alla prima legislazione antiproibizionista in piena regola. Cosa sta succedendo, secondo lei?
Gli Stati Uniti vengono da un lungo periodo di meticolosa lotta alla cannabis, considerata come la base su cui si innesta il consumo di altre droghe, comprese quelle legali come l’alcol. Durante la presidenza Bush il consumo è diminuito del 20 per cento e nei primi anni di amministrazione Obama il trend al ribasso è continuato. Ritengo inutile opporsi all’uso clinico della cannabis per certe malattie, fatto salvo che in alcuni casi ci si è trovati di fronte a strumentalizzazioni che miravano ad altro. Credo che dobbiamo preoccuparci più per l’Italia che per gli Stati Uniti. La comunità scientifica sa che la cannabis fa male, che ha conseguenze dannose sul cervello, alimenta disturbi psichici gravi e danneggia organi vitali. Ma la popolazione non è stata informata. L’Italia è l’unico grande paese europeo che non ha fatto campagne di informazione serie sulla cannabis, la droga più utilizzata. Penso che i divieti di legge relativi alle droghe aiutino a tenere bassa la percentuale dei consumatori, mentre l’assenza di divieti la farebbe aumentare. Ma i proibizionisti fanno troppo poco sul fronte dell’informazione.
Cosa muove il movimento antiproibizionista? L’ignoranza circa gli effetti della cannabis, una posizione ideologico-antropologica o altri interessi poco nobili?
Tutte e tre le cose, direi. Che però ritroviamo anche nel campo proibizionista. Ma credo che dei tre fattori quello più inquietante siano gli interessi poco nobili. Da una parte e dall’altra ci sono persone in buona fede e in malafede, persone che sostengono la loro posizione con motivazioni superficiali e persone mosse da interessi poco nobili che si approfittano di loro. La mancanza di informazione sulla dannosità delle droghe è funzionale sia a chi vorrebbe rincretinire la popolazione per controllarla meglio, sia a chi, in regime di proibizionismo, si arricchisce con attività criminali di narcotraffico.
Rodolfo Casadei, intervista a Claudio Risé, Tempi, 25/3/2013