Walburg De Jong - Associazione olandese per l’eutanasia volontaria (Nvve),
Una legge in pratica
L’Olanda è stato il primo paese in Europa a legalizzare l’eutanasia. Può spiegarci come funziona e con quali risultati?
La legge è entrata in vigore nell’aprile 2001 e stabilisce che il medico che compie un’eutanasia non sia penalmente perseguibile se rispetta scrupolosamente la procedura. Ora, i criteri per un trattamento medico adeguato prevedono che ci sia una richiesta consapevole e volontaria da parte del paziente, che sia stato riscontrato un livello di sofferenza intollerabile, senza speranze di miglioramento (per quanto sia difficile stabilire quale sia la “sofferenza intollerabile”), che non ci siano alternative, che il paziente sia accuratamente informato sulla sua malattia e infine che sia stato raccolto un parere favorevole di un altro medico.
Qualora il dottore rispetti l’intera procedura, ha la facoltà di ricorrere all’eutanasia.
Dopo che l’atto eutanasico è stato compiuto interviene il medico legale, proprio perché l’eutanasia non è morte naturale: se il procuratore non riscontra problemi procedurali, allora la famiglia può seppellire o cremare il corpo.
A quel punto, il rapporto del medico che ha compiuto l’eutanasia, del secondo medico che ha esaminato il paziente, quello del medico legale e, se c’è, il testamento biologico [vedi Testamento biologico] del paziente, arrivano in uno dei cinque comitati di revisione che abbiamo in Olanda, composti da un avvocato, un medico e un esperto di questioni etiche, che decidono se il medico ha agito con la dovuta cura oppure no.
Siete soddisfatti della legge?
Siamo piuttosto soddisfatti. Tanto che dopo la sua introduzione ci siamo rivolti ai nostri soci per valutare lo scioglimento: dopotutto, avevamo ottenuto ciò che volevamo. Sono stati proprio gli iscritti a dirci di no, che c’era ancora molto da fare. Per esempio: come si comportano i medici? Qui c’è ancora da lavorare. Poi, la legge non è molto precisa sulla “sofferenza”, non dice esplicitamente se si tratti di sofferenza fisica, o mentale. Crediamo che la procedura dettata dalla legge non sia adeguata ai pazienti con disturbi mentali cronici, ovviamente quelli in grado di intendere… Ci sono infatti persone che soffrono di malattie mentali croniche, per cui sono state tentate tutte le cure possibili, e che a un certo punto possono dire: “Ho provato ogni tipo di trattamento per anni e non sembro migliorare, basta”. Queste persone chiedono di poter morire, ma nella maggior parte dei casi, quasi sempre, non trovano psichiatri disposti a ricorrere all’eutanasia. Bene, per queste persone c’è ancora un problema. Bisogna permettere anche a loro di morire in un modo dignitoso.
Nella legge si dice: se qualcuno ha un testamento biologico in cui fa richiesta di eutanasia, il dottore deve valutarla come richiesta esplicita del paziente.
Il problema è che quando qualcuno soffre di forme particolarmente gravi di demenza, non viene considerato in grado di intendere e di volere; il dottore, allora, può dire di non essere in grado di stabilire il livello di sofferenza del paziente, perché non è più possibile comunicare. D’altro canto, c’è chi si appella al testamento biologico in cui c’è scritto: “Non voglio permanere in una grave condizione di demenza senile”. Ecco, le questioni inerenti il decorso della demenza restano un campo ancora poco chiaro.
Il fatto è che su questo spesso si fa confusione: non è il dottore che deve tirare fuori l’argomento, spetta al paziente. Negli ultimi anni alcuni medici si sono offerti di seguire queste tipologie di casi, abbiamo avuto circa 30, 40 episodi di eutanasia di questo tipo. In questi casi, però, i medici preferiscono affrontare l’argomento nelle prime fasi, quando il paziente è ancora padrone di sé e sa esattamente quello che sta richiedendo, cosa sta dicendo.
Poi c’è un altro aspetto che non viene nemmeno menzionato. Ci sono persone che, pur non soffrendo di alcuna malattia, magari hanno perso i figli, la moglie o il marito, insomma non hanno più alcuna ragione per vivere… una di queste persone ci ha detto: “A volte pensi che Dio si sia dimenticato di te”. Allora, è vero, a volte le persone in queste condizioni si suicidano. Alcuni però preferirebbero avere un aiuto che sia funzionale al loro desiderio di morire. Anche noi crediamo debba esistere un’altra strada rispetto al suicidio.
La vostra associazione fa parte della rete “Right to die”, ma l’eutanasia, anche in base alla legge, non è un diritto assoluto, si contempera con il diritto di rifiutare la richiesta da parte del medico…
La richiesta di eutanasia non può valere in assoluto, parlando di assistenza medica. Certo, ci sono persone che vorrebbero che il loro diritto a morire bastasse a costringere il medico all’eutanasia; solo che, se è vero che ognuno ha il diritto a chiedere, c’è anche il diritto per chi riceve la richiesta di rifiutarsi. Non si può mai arrivare all’obbligo, perché ciascuno, in autonomia, può dire di no. Questo è sicuramente un aspetto controverso: molti dei nostri iscritti vorrebbero fosse loro riconosciuto questo diritto, ma nel momento stesso in cui si chiede qualcosa a qualcuno, questo deve poter esercitare il suo diritto a rifiutarsi.
Ci sono comunque diverse tutele per chi esprime il proprio desiderio di morire: dal 1995 abbiamo una legge che dice che il paziente deve essere bene informato, e quando è bene informato può rifiutare ogni cura; se sono in grado di intendere, posso sempre rifiutare un trattamento. Se poi sono in coma, posso avere un testamento biologico in cui affermo di non volere alcun trattamento, una volta che sia accertato che non potrò mai tornare a una condizione di vita dignitosa.
Marco Cappato, Un diritto costituzionale
Perché una battaglia per l'eutanasia legale?
Da una parte l'obiettivo è quello di rispettare le volontà e le scelte delle persone anche alla fine della vita.
Dall'altra iniziamo adesso questa battaglia perché a fronte del divario fra un'opinione pubblica ampiamente pronta e favorevole a questo tema c'è una classe politica e partitica ostile e incapace di ascoltare, anche solo per un minimo, i cittadini.
Lei spiega che il testo della proposta di legge in questione «si fonda sulla semplicità e la forza della Costituzione: "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per predisposizione di legge.”» In pratica: si scrive eutanasia legale, si legge difesa della Costituzione?
Certo: il testo della Costituzione riguarda la sospensione delle terapie, di fatto. È chiaro che un atto medico finalizzato a terminare la vita di un paziente, che chiede di terminarla nelle piene condizioni e facoltà mentali, è un passo ulteriore. Nel senso: prosegue e trae la conseguenza dal principio costituzionale che il diritto a terminare le proprie sofferenze, e a rinunciare alle terapie, debba essere esteso anche all'assistenza medica. Sarebbe eccessivo dire che questo diritto discende immediatamente e direttamente dal dettato costituzionale e che, quindi, non consentirlo è già di per sé una violazione della Costituzione. Però, poiché il testo costituzionale assume significati diversi anche in funzione dell'evoluzione della società e della medicina, non si deve dimenticare che quando è stata scritta la costituzione quel diritto era soprattutto funzionale a difendersi dalle violenze dei regimi totalitari - penso ai trattamenti sanitari imposti dalle dittature naziste, fasciste, comuniste. Ora, però, siamo in una società molto diversa in cui la scelta della modalità del porre fine alla vita riguarda un numero sempre più esteso di cittadini e quindi, a mio avviso, quel principio costituzionale significa non solo diritto a interrompere un trattamento, ma anche diritto a farlo nelle condizioni di assistenza medica migliore.
Lei scrive: «La legalizzazione è anche un'alternativa all'esilio della morte, cioè a quella eutanasia di classe (costa fino a 10mila euro) che centinaia di persone ogni anno vanno a cercare all'estero». Quindi la battaglia per l'eutanasia legale è anche una lotta per lo stato di diritto?
È come per l'aborto o come noi vorremmo che fosse sulle droghe [vedi Dipendenze]: si tratta di scegliere il diritto (e quindi lo stato di diritto) e la legalità [vedi Legalità] come strumento migliore per governare dei problemi sociali in alternativa alla clandestinità dello stato etico. Dunque: stato di diritto contro stato etico. Lo stato etico pretende di imporre dei comportamenti, e pretende di farlo, senza curarsi delle conseguenze pratiche di proibizioni e divieti che sono da un lato quello dell'eutanasia clandestina, dell'esilio della morte, ma che sono anche quelli dell'eutanasia clandestina in Italia. Questi ultimi possono essere episodi particolarmente rischiosi per persone che forniscono compassione e aiuto a chi la chiede. Oppure c'è l'eutanasia clandestina che sconfina nella sopraffazione, nella violenza e, sostanzialmente, nell'omicidio. Favorita dal fatto che non esiste una vera e propria regolamentazione circa l'eutanasia.