Come fa a essere così sicura che il matrimonio sia la giusta scelta?
Intanto perché sono cattolica e la Chiesa ci indica alcune vie per la nostra felicità sulla Terra che sono la consacrazione e il matrimonio, non ce n’è un'altra. Credo che il matrimonio sia qualcosa che ci custodisce nella nostra incostanza, nei momenti in cui possiamo avere colpi di testa, distrazioni, andare dietro alle emozioni, alla stanchezza. Il matrimonio sembra da fuori, per chi non lo conosce o non lo accetta, una gabbia, in realtà è un sostegno, è una gabbia contenitiva, non una gabbia che impedisce la libertà. Qualcosa che dal nostro interno ci sostiene e ci permette di affrontare qualsiasi situazione nella libertà e nella gioia. Senza un minimo di contenimento, di regola, l’uomo non è capace di essere felice.
Ma qual è il segreto per un matrimonio felice? E come può la donna farlo funzionare?
Il segreto è la donna. In realtà la buona riuscita di un matrimonio sta soprattutto nella capacità della donna di essere accogliente, di smussare gli angoli, di non pretendere dall’altro la completa soddisfazione di tutte le proprie ansie. Per esempio a livello pratico se una è scontenta, è preoccupata, non deve subito chiamare il marito e sovraccaricarlo di lamentele, perché un uomo quando sente un problema cerca una soluzione pratica mentre magari invece noi vorremmo solo sfogarci e poi ci dimentichiamo. Invece l’uomo non si dimentica e il peso gli rimane tutto sulle spalle, quindi da un punto di vista pratico questo è il consiglio principale.
Cosa significa che la donna è stata creata per “accogliere” il prossimo?
Io penso che la spiegazione sia sotto gli occhi di tutti. È così, lo dice anche la nostra conformazione fisica, il fatto che accogliamo i bambini nella pancia e anche nella nostra mente. Una mamma è una mamma sempre, non si stacca mai dal pensiero del suo bambino, mentre il padre, che necessariamente a volte deve andare più dritto all’obiettivo anche lavorativo, ha un’altra mentalità. Un uomo fa una cosa per volta e la fa bene, la donna mantiene sempre il cuore aperto alle necessità dei suoi bambini, anche quando è lontana li porta con sé. La stessa attitudine materna la sappiamo esercitare con tutte le persone che prendiamo a cuore. E questa attitudine ce l’hanno anche quelle che non sono mamme fisicamente.
Tutto questo si scontra con uno dei cardini del femminismo, l’idea secondo cui l’istinto materno non esiste perché uomini e donne sono uguali. Che cosa si può dire in proposito?
Che la realtà è esattamente il contrario di quanto dice l’ideologia femminista. Penso che uomini e donne siano talmente diversi che, a volte, servirebbe un interprete per capirsi. Basta vedere i bambini, che sin da piccoli scelgono giochi da maschi o da femmine senza che nessuno glieli imponga. Io credo che dietro l’idea di eliminare le differenze ci sia l’idea di dire «io mi determino da solo, scelgo io chi essere». Ma questo, in ultima analisi, significa eliminare Dio, il creatore, colui che ci assegna un bagaglio di talenti, delle caratteristiche. La lotta contro la figura del padre in atto oggi, a ben vedere, è la lotta al Padre celeste. Quanto all’istinto nella donna, non lo si può negare. È un istinto potentissimo, quasi animale!
Lei mette il matrimonio in netta contrapposizione con la convivenza, concezione moderna dello “stare insieme”. Tenendo presente che quando parliamo di matrimonio intendiamo quello religioso, che differenza c’è tra questi due modelli di vita in comune?
Prima di tutto, il matrimonio è un sacramento, che trasfigura la realtà, la arricchisce della potenza e della Grazia rigenerante di Dio: nel matrimonio non sono più due persone che cercano di andare d'accordo, ma è Dio che con la sua onnipotenza ne fa una carne sola. Poi, se passiamo a un punto di vista psicologico, decidersi per il matrimonio significa non lasciarsi vincere dalla logica del «vediamo fino a quando si sta bene insieme», ma dire: «Io e te dobbiamo stare insieme per sempre, quindi vediamo di fare in modo che le cose vadano bene». In certi momenti potrà anche essere faticoso, ma avere superato l’ostacolo, la stanchezza, la noia, renderà marito e moglie ancora più profondamente uniti e davvero felici, perché l’amore eterno è quello che desidera ogni cuore umano.
Lavoro e maternità sono due condizioni conciliabili o contrastanti? In particolare, lei come riesce a essere moglie, madre e avere un lavoro così impegnativo come quello della giornalista?
Io credo sinceramente che le due condizioni siano contrastanti: è davvero disumano fare la mamma e anche lavorare, almeno fino che i bambini sono piccoli. Purtroppo, però, in molti casi non c’è possibilità di scegliere. Però deve essere chiaro che quella che le donne sbandierano come una conquista, in realtà, a volte finisce per essere una condanna. Nel mio caso, io ci riesco facendo tanta fatica, tollerando l’imperfezione su tutti i fronti e avendo deciso in modo ferreo che non farò carriera. Mi limito a fare il mio dovere al lavoro, e credo di farlo bene e con onestà, ma senza quell’intraprendenza e dedizione spasmodica che servirebbero per emergere. Pazienza, non si può avere tutto. Per me, la famiglia è al primissimo posto.
Molti giovani potrebbero chiederle cosa trova di speciale nello spendere tutta la vita accanto ad un solo uomo, senza voglia di cambiare, di sentirsi realizzata al di fuori della famiglia e dalle mura di casa…
A parte che io, per necessità, lavoro anche fuori di casa. Anzi, di lavori ne ho due, perché scrivo anche. Ma è chiaro che la mia realizzazione più vera e profonda la trovo in casa, con i bambini e mio marito. Cosa rispondere a chi pone queste domande? Non so, io penso che siamo talmente imbevuti di mentalità “del mondo” da voler negare anche l'evidenza, cioè che tutte noi donne desideriamo un solo uomo per sempre. Chi mai si mette con un fidanzato, anche solo per una settimana, pensando che finirà? Tutti, uomini e donne, vogliamo la storia capace di superare anche la morte. Il problema è che, imbevuti come siamo di idee strampalate sull’amore (farfalle nello stomaco, emozioni, brividi lungo la schiena), al primo problema mettiamo il freno a mano invece che lavorare con impegno e dedizione perché le cose funzionino.
Susanna Tamaro, Siamo in mille, ma siamo sole
Appartengo alla generazione che ha combattuto, negli anni della prima giovinezza, la battaglia per la libertà sessuale e per la legalizzazione dell’aborto [vedi Aborto]. Quella generazione che organizzava voli collettivi a Londra per accompagnare ad abortire donne in uno stato così avanzato di gravidanza da sfiorare il parto prematuro.
È difficile, per chi non li ha vissuti, capire l’eccitazione, l’esaltazione, la frenesia di quegli anni. La sensazione era quella di trovarsi sulla prua di una nave e guardare un orizzonte nuovo, aperto, illuminato dal sole di un progresso foriero di ogni felicità. Alle spalle avevamo l’oscurità, i tempi bui della repressione, della donna oggetto manipolata dai maschi e dai loro desideri, oppressa dal potere della Chiesa che, secondo gli slogan dell’epoca, vedeva in lei soltanto un docile strumento di riproduzione. Erano gli anni Settanta.
Sono più felici, mi chiedo, sono più libere le ragazze di adesso rispetto a quarant’anni fa? Non mi pare. Le grandi battaglie per la liberazione femminile sembrano purtroppo aver portato le donne a essere soltanto oggetti in modo diverso. Non occorre essere sociologi né fini pensatori per accorgersi che ai giorni nostri tutti i messaggi rivolti alle bambine si concentrano esclusivamente sul loro corpo, sul modo di offrirsi agli altri. Si vedono bambine di cinque anni vestite come dive del cinema e già a otto anni le ragazzine vivono in uno stato di semi anoressia, terrorizzate di mangiare qualsiasi cosa in grado di attentare alla loro linea. Bisogna essere magre, coscienti che la cosa che abbiamo da offrire, quella che ci renderà felici o infelici, è solo il nostro corpo. Il fiorire della chirurgia plastica non è che una tristissima conferma di questa realtà. Pare che molte ragazze, per i loro diciotto anni, chiedano dei ritocchi estetici in regalo. Un seno un po’ più voluminoso, un naso meno prominente, labbra più sensuali, orecchie meno a vela. Il risultato di questa chirurgia di massa è già sotto ai nostri occhi: siamo circondate da Barbie perfette, tutte uguali, tutte felicemente soddisfatte di questa uguaglianza, tutte apparentemente disponibili ai desideri maschili. Sembra che nessuno abbia mai detto a queste adolescenti che la cosa più importante non è visibile agli occhi e che l’amore non nasce dalle misure del corpo ma da qualcosa di inesprimibile che appartiene soprattutto allo sguardo.
Siamo passati così dalla falsa immagine della donna come angelo del focolare, che si realizza soltanto nella maternità, alla mistica della promiscuità, che spinge le ragazze a credere che la seduzione e l’offerta del proprio corpo siano l’unica via per la realizzazione. Più fai sesso, più sei in gamba, più sei ammirata dal gruppo. Nella latitanza della famiglia e della scuola, la realtà educativa è dominata dai media e i media hanno una sola legge. Omologare. Ma questo lato apparentemente così comprensibile, così frivolo — voler essere carine o anche voler mitigare i segni del tempo — che cosa nasconde? Il corpo è l’espressione della nostra unicità ed è la storia delle generazioni che ci hanno preceduti. Quel naso così importante, quei denti storti vengono da un bisnonno, da una trisavola, persone che avevano un’origine, una storia e che, con la loro origine e la loro storia, hanno contribuito a costruire la nostra. Rendere anonimo il volto vuol dire cancellare l’idea che l’essere umano è una creatura che si esprime nel tempo e che il senso della vita è essere consapevoli di questo. La persona è l’unicità del volto. L’omologazione imposta dalla società consumista (e purtroppo sempre più volgarmente maschilista) ha cancellato il patto tra le generazioni, quel legame che da sempre ha permesso alla società umana di definirsi tale. Noi siamo la somma di tutti i nostri antenati ma siamo, al tempo stesso, qualcosa di straordinariamente nuovo e irripetibile. Cancellare il volto vuol dire cancellare la memoria, e cancellare la memoria, vuol dire cancellare la complessità dell’essere umano. Consumare i corpi, umiliare la forza creativa della vita per superficialità e inesperienza, vuol dire essere estranei dall’idea dell’esistenza come percorso, vuol dire vivere in un eterno presente, costantemente intrattenuti, in balia dei propri capricci e degli altrui desideri. Senza il senso del tempo non abbiamo né passato né futuro, l’unico orizzonte che si pone davanti ai nostri occhi è quello di una specchio in cui ci riflettiamo infinite volte, come nei labirinti dei luna park. Procediamo senza senso da una parte, dall’altra, vedendo sempre e soltanto noi stessi, più magri, più grassi, più alti, più bassi. All’inizio quel girare in tondo ci fa ridere, poi col tempo, nasce l’angoscia. Dove sarà l’uscita, a chi chiedere aiuto? Battiamo su uno specchio e nessuno ci risponde. Siamo in mille, ma siamo sole.