Ovviamente quello dei rifiuti rientra in un dibattito più ampio che riguarda il rapporto di coesistenza tra uomo e natura. Si è ormai arrivati in un momento in cui la pressione dell’attività dell’uomo sul Pianeta si sta facendo sentire sempre con più forza, in termini di cambiamento climatico [vedi Cambiamenti climatici] ed esaurimento di risorse alimentari e energetiche [vedi Energie]. Una gestione ecologica dei rifiuti prevede da un lato l’obiettivo di ridurre l’ammontare di rifiuti prodotti, dall’altro prevede di ridurre al minimo i rifiuti che finiscono in discarica o che subiscono un processo d’incenerimento senza il recupero di energia. In particolare, è possibile distinguere quattro tipologie di trattamento:
1) il riciclo (il rifiuto non finisce né in un inceneritore né in discarica, ma viene riutilizzato dai consumatori oppure nei processi industriali);
2) la termovalorizzazione (il rifiuto finisce in un termovalorizzatore, ossia viene utilizzato per creare energia);
3) l’incenerimento (il rifiuto viene incenerito senza recupero di energia);
4) lo smaltimento in discarica senza incenerimento.
Nell’Unione Europea il 52,8% dei rifiuti è riciclato (48,9%) o termo valorizzato (3,9%); il 45,4% dei rifiuti finisce in discarica e la restante parte negli impianti di incenerimento. Tra il 2004 e il 2010 la percentuale di rifiuti riciclata o termo-valorizzata è cresciuta dal 44,3% al 52,8%. Tra i Paesi dell’Unione Europea, la Danimarca è quello che ricicla o termo-valorizza la maggior percentuale dei propri rifiuti (83,9%); seguono Polonia, Germania, Repubblica Ceca e Italia, tutti con percentuali che superano il 75%. Nelle ultime posizioni ci sono la Svezia, la Grecia, Malta, la Romania e la Bulgaria, con percentuali inferiori al 25%. La Spagna, il Regno Unito, Cipro, l’Ungheria, e l’Italia sono i Paesi che hanno incrementato in modo maggiore la percentuale di rifiuti termo-valorizzati o riciclati tra il 2004 e il 2010.
Nell’Unione Europea nel 2011 sono state prodotte circa 253 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, il 10% dei rifiuti totali. Il 68,5% di tali rifiuti è attribuibile ai primi 5 Paesi: Germania (19,3%), Francia (13,6%), Italia (12,8%), Regno Unito (12,8%) e Spagna (9,7%). È evidente che, a differenza della produzione totale di rifiuti, i rifiuti urbani sono poco influenzati dalle attività di delocalizzazione industriale. Ne consegue che i Paesi più ricchi sono quelli che producono la maggior quantità di rifiuti urbani. Tra il 2001 e il 2011, l’ammontare di rifiuti urbani nell’Unione Europea è aumentato dello 0,4%; in Germania è calato del 6,3%; In Francia si è registrato un +6,6% e in Italia un + 10,5%; si è registrato un calo in Spagna e nel Regno Unito.
La produzione di rifiuti dipende da tre fattori principali:
1) la popolazione (più il mondo è popolato, più risorse sono consumate e più rifiuti vengono generati);
2) il Prodotto Interno Lordo, o PIL (più si produce per soddisfare i bisogni della popolazione e maggiore sarà la quantità di rifiuti che verrà prodotta);
3) l’efficienza nei processi industriali (in termini di spreco di risorse) e i modelli di comportamento dei consumatori. Un ruolo rilevante in questo processo di crescita sarà rappresentato dai Paesi emergenti, il cui impatto ambientale potrebbe crescere in modo non più sostenibile: la Cina rimpiazzerà gli Stati Uniti come prima economia mondiale entro il 2017, mentre l’India nel 2050 sarà la terza economia mondiale. Pertanto, a meno che a livello mondiale non avvenga un ripensamento sul tema della crescita economica (e vengano prese seriamente in considerazione politiche di decrescita sostenibili), la lotta va fatta soprattutto in termini di efficienza nei processi industriali e nell’educazione dei consumatori in termini di prevenzione e gestione dei rifiuti.
Nel locale pattumiera appositamente adibito nel condominio dove abito mi capita di cogliere commenti del tipo: «tanto poi quando raccolgono, caricano su un unico automezzo e mischiano di nuovo tutto…». Vogliamo sfatare una volta per tutte la (falsa) credenza popolare riguardo la raccolta differenziata?
È una domanda che ci si pone in tutta Italia. A volte questa domanda ha un fondamento: soprattutto dove le raccolte sono ancora fatte con un sistema stradale e il materiale che dovrebbe essere differenziato è così sporcato da altri materiali che è controproducente inviarlo alle filiere del riciclo; l’addetto alle raccolte differenziate chiama così il collega che carica il contenitore con il camion del rifiuto residuo, ciò induce a pensare che davvero vada tutto insieme.
Accanto a questo aneddoto che è sempre meno frequente, registriamo invece in Italia un’industria del riciclo sempre più moderna, efficiente, all’avanguardia, tanto da essere uno dei pochissimi comparti che non solo ha resistito alla crisi, ma ha creato occupazione e reddito.
La raccolta dell’umido grava in particolar modo sull’utenza domestica, mi riferisco ai disagi nel posizionamento del bidoncino e al costo dei sacchetti adatti al compost, la speranza dei cittadini è che questa operazione abbia, oltre al beneficio ambientale, anche un ritorno economico a livello comunale. È così?
La raccolta dell’umido, come altre raccolte, ha visto nel corso degli ultimi anni alcune migliorie tecniche da un lato e la crescita della filiera nel suo complesso dall’altro. Ciò ha fatto sì che alcuni dei disagi iniziali stiano diminuendo. Pensiamo a due esempi su tutti: la raccolta con mastelli aerati e sacchetti biodegradabili-compostabili, e l’introduzione del compostaggio collettivo condominiale.
Nel primo caso si tratta di invenzioni tutte italiane, a tal proposito è importante sottolineare come l’Italia sia leader mondiale nella gestione dei rifiuti organici domestici e il loro recupero attraverso compostaggio di qualità. Le biopattumiere aerate e i sacchetti biodegradabili compostabili consentono una diminuzione delle frequenze con un contenimento dei costi da un lato e una diminuzione degli odori grazie a una preliminare disidratazione evitando le condense.
Il compostaggio collettivo, introdotto recentemente dal Nord Europa, permette di gestire in prossimità gli scarti umidi con una diminuzione dei costi per mancata raccolta e mancato trattamento.
Infine, l’aumento della raccolta differenziata nel corso degli ultimi anni ha portato a una sensibile riduzione dei costi di trattamento. Purtroppo l’aumento di altri costi non sempre ha portato queste evidenze nelle tasche dei cittadini, ma molti comuni, grazie a queste pratiche virtuose, non hanno aumentato il prelievo fiscale.
In ogni caso ogni chilo di rifiuto umido recuperato con il compostaggio comporta enormi benefici ambientali che purtroppo non si vedono direttamente nei bilanci famigliari, ma hanno uno straordinario valore che solo le prossime generazioni vedranno in tutta la loro evidenza.
Un lato positivo dell’attuale crisi economica sembra essere la spinta verso un cambiamento culturale, mi riferisco, per esempio, alla tendenza al riuso, allo scambio, a riparare oggetti, agli acquisti di seconda mano. Cosa pensi di questi nuovi modelli di consumo?
Penso che è vera questa constatazione! La crisi ci ha portato verso comportamenti che ambientalisti, economisti, amministratori sensibili in qualche modo avevano preconizzato e sperato si intraprendessero come soluzioni virtuose.
La crisi ha fatto in pochi anni quanto per decenni si era in qualche modo sperato.
Ora abbiamo davanti una grande sfida: quella di non disperdere comportamenti “costretti” dalla crisi, facendoli diventare un cambio di mentalità, di abitudini quotidiane, facendo sì che l’auspicata uscita dalla crisi coincida con una nuova modalità di gestione dei nostri scarti avendo come obiettivo di ridurli a zero.
Duccio Bianchi, Riciclare produce benessere
Uno dei pochi settori usciti indenni dalla crisi degli ultimi anni è quello del riciclo dei materiali che, anzi, si riconferma uno dei comparti trainanti dell’economia del nostro paese. Oltre all’aspetto puramente economico, il riciclo ha una serie di ricadute positive per la qualità dell’ambiente in cui viviamo.
Quali sono i benefici ambientali del riciclo, sia in termini di riduzione degli inquinanti sia dei consumi di energia?
Il riciclo consente – direttamente e indirettamente – di ridurre i consumi energetici e le emissioni di gas serra, così come i prelievi idrici e l’inquinamento delle acque o il consumo di risorse naturali, nelle fasi di estrazione e produzione delle materie prime. I benefici sono più o meno marcati a seconda dei materiali e degli impieghi, ma il riciclo è – ormai secondo tutti gli studi – la soluzione che nella quasi totalità dei casi consente di massimizzare i benefici ambientali della gestione dei rifiuti. Per l’Italia questi benefici sono più alti che in altri Paesi. Per l’economia italiana, il riciclo – a quantità 2010 – ha significato evitare emissioni che alterano il clima [ vedi Cambiamenti climatici] a scala locale e a scala globale per circa 53 milioni di tonnellate, un po’ più del 10% del totale delle emissioni di gas serra nazionali.
Lei ha da sempre dedicato attenzione al tema del “riciclo a km 0”, cioè del riciclaggio che avviene vicino al luogo di generazione del rifiuto. Davvero il riciclo deve essere a km 0 per essere ecoefficiente? E la globalizzazione [vedi Globalizzazione] dei mercati del riciclo, con merci che attraversano gli oceani e vengono riciclate in Paesi lontani (prima fra tutti la Cina), è compatibile con i criteri di efficienza e sostenibilità?
Riciclare localmente è – ovviamente – sempre preferibile. Ed è un bene rafforzare l’economia locale basata sul riciclo, in primo luogo perché i Paesi emergenti che oggi richiedono enormi quantità di materie seconde all’estero, nel prossimo futuro cominceranno a soddisfare internamente una crescente parte del loro fabbisogno. Ma, nel caso del riciclo, il “km 0” non ha un grande senso. Riciclare la plastica o la carta – per non parlare dei metalli – in Cina resta una soluzione ambientalmente conveniente rispetto non solo allo smaltimento in discarica, ma anche alla combustione. I maggiori costi ambientali del trasporto – principalmente su nave – sono talora quasi ininfluenti. Il trasporto [vedi Trasporti] via nave dall’Italia alla Cina, infatti, ha consumi energetici ed emissioni inferiori a quelle del trasporto su gomma dalle regioni meridionali a quelle settentrionali del Paese. Non bisogna però dimenticare che i sistemi di protezione dall’inquinamento, oltre che le condizioni del lavoro, nell’industria cinese sono, per il momento, sicuramente inferiori a quelle europee.
Meglio i cassonetti in strada o il porta a porta?
Dal punto di vista del riciclo meglio il porta a porta, meglio sistemi che consentano di massimizzare la raccolta e di ottenere buona qualità dei materiali. E, anche qui, l’idea che le raccolte differenziate “consumino più energia di quella che recuperano” non ha il minimo fondamento. La buona qualità è oggi centrale. L’affluenza di grandi quantità di macerie e rottami impone un miglioramento della qualità delle materie seconde per garantirne un maggiore riciclo.