La casa di Fernando Savater, a Madrid, è un labirinto di libri e oggetti di ogni genere, pupazzi, chincaglieria, ninnoli. Molti quadri di cavalli, come è inevitabile per un uomo stregato dagli ippodromi fin da quando era bambino. Nulla invece di tori. Nessuno di quei segni che in Spagna si trovano ovunque nelle case degli aficionados, come qui vengono chiamati gli appassionati di corrida. Eppure il filosofo basco ha difeso le corse dei tori durante il dibattito che ha portato la Catalogna a vietarle.
Il rapporto fra uomini e animali è un rapporto compromesso?
Il problema dei nostri giorni è che, soprattutto in città, non si sviluppa più alcuna relazione con gli animali. Io ho conosciuto una Spagna rurale. Qui fuori, sulla Gran Via, passavano le pecore per la transumanza. Oggi si conoscono solo gli animali di Walt Disney e si stenta a vedere in cosa essi siano diversi dagli uomini. Ciò ha portato a una sorta di antropomorfizzazione degli animali. Una tendenza che spinge ad accreditare le forme più estreme di animalismo, come l'antispecismo di Peter Singer, ossia l' idea che tra le specie animali non ci siano distinzioni di sorta.
È una tesi pericolosa?
Non distinguere gli uomini dagli altri esseri viventi è nefasto. Perché la morale riguarda solo gli esseri umani. Purtroppo però ormai si tende a scambiare la morale con la compassione. Ora, la compassione è un sentimento buono, per carità, e tuttavia non è la morale. Vede, è molto più semplice di quanto si creda. Mettiamo che passeggiando trovo un passerotto caduto dal nido. So che è in pericolo e poiché sono persona compassionevole, lo raccolgo e lo metto in salvo. Questo è molto bello. Ma è ben diverso dal caso in cui io mi imbattessi in un neonato abbandonato per strada. Lì non si tratta di compassione. Io ho il dovere morale di occuparmene. Questa differenza gli antispecisti non la intendono.
Gli antispecisti sostengono che è l’interesse ciò che caratterizza senza distinzioni tutti gli esseri viventi e che dunque un toro non ha nessun interesse di entrare nell'arena, né il maiale di andare al macello. Guardi, la questione dell' interesse è il punto nodale. La parola già lo spiega. È latino: inter esse, ciò che unisce e separa due esseri. Ha a che fare con i rapporti fra esseri umani che si comprendono. L'interesse è la possibilità di scegliere diverse condotte anziché una sola. Gli animali sono mossi dall'istinto, laddove io, essere umano, nonostante abbia un istinto, posso anteporre un interesse diverso. Quando non si può che seguire una sola condotta, chiamarlo interesse mi pare completamente assurdo: è la solita proiezione antropomorfizzante. La dimensione in cui ha senso parlare di interessi è una dimensione di libertà dalle necessità della natura, il libero arbitrio insomma.
Che gli antispecisti contestano.
Sì. Salvo poi chiedere agli uomini di scegliere soluzioni diverse rispetto a quelle che magari preferiscono, come mangiare carni, usare pelle animale per le scarpe e così via. Con il risultato paradossale che gli uomini dovrebbero rifiutarsi di uccidere la tigre, ma certo la tigre non potrebbe che continuare a fare quello che fa secondo l'istinto, ossia anche divorare l'uomo. L'uomo sarebbe dunque l'unico tra gli animali a rispettare la nuova legge. Dimostrando quindi che qualche differenza tra lui e le altre specie in fondo c'è.
Ma come si è arrivati a queste posizioni estreme, spesso anche largamente condivise?
Per quel che riguarda la storia del pensiero, il percorso è evidente. Si tratta dell'evoluzione delle teorie utilitariste di Bentham che per primo parlò dei cosiddetti “diritti degli animali”. Credo però che sia più interessante considerare l'atteggiamento generale con cui si accolgono queste teorie. Un atteggiamento in cui predomina il sentimentalismo e in cui l'umanitarismo sta sostituendo l’umanismo. Stiamo attenti: chi è umanitario si preoccupa del benessere degli altri, ma non della loro umanità, che risiede in aspirazioni, desideri e così via. Io con un cane posso essere umanitario, ma non umanista. E qui si apre l'altro tema dei nostri giorni. È assai più semplice avere una relazione con un animale domestico piuttosto che con un essere umano.
Siamo in fuga dalla relazione?
Non c'è dubbio. Vede, con un animale domestico come il cane, per esempio, noi possiamo seguire i nostri due atteggiamenti più estranei alla relazionalità: il sergente ordinatore che è in noi e che al cane dà ordini; e il sensibile iperprotettivo che fa le manfrine. I cani del resto ci offrono un affetto che non esige nulla in cambio. Un affetto che non si può investire di carica morale.
Crede che in futuro agli animali sia destinata una vita diversa?
Se questo animalismo diventasse dominante, si realizzerebbe la forma perfetta di protezione degli animali: l'estinzione. E del resto, qual è oggi l'animale perfetto e più conosciuto e amato? Il dinosauro. Sta lì nel nulla. A Jurassic Park, vive una vita magnifica. I veri barbari sono coloro che non distinguono uomini e animali. Caligola che fece senatore un cavallo e uccise centinaia di persone che non apprezzava. Quello era un barbaro. Perché trattava gli uomini come gli animali e gli animali come gli uomini.
«Da qualche tempo non vado più a caccia, ma solo per motivi di età e di salute. Non certo perché abbia cambiato idea». Mario Rigoni Stern è un cacciatore non pentito. E non solo per amore della doppietta: ma anche, spiega, per amore della natura.
Rigoni Stern, la sua sembra una posizione, se ci passa il termine, non “politicamente corretta”. Come la spiega?
In un modo molto semplice. In natura si può raccogliere parte del capitale che la natura stessa produce. Questo vale per la flora e anche per la fauna. Voglio dire: così come si può raccogliere la legna, si può anche pescare, o cacciare. L'uomo si è sempre comportato così.
D'accordo. Ma è lecito comportarsi così?
Non solo è lecito: è doveroso. Si deve raccogliere quella parte di capitale naturale di cui parlavo. Si deve farlo per il bene della natura. I disboscamenti, o il taglio dell'erba, in certi casi sono indispensabili per tutelare l'equilibrio naturale.
E la stessa cosa vale, secondo lei, per gli animali?
Certo: a volte anche la selvaggina è, diciamo così, in esubero. E bisogna ridurla per ristabilire, appunto, l'equilibrio della natura. Guardi, le faccio degli esempi concreti, che riguardano noi, l'Italia. A San Rossore, in Toscana, i daini hanno rovinato bosco e sottobosco. E la stessa cosa è successa al Parco della Mandria, in provincia di Torino, dove i cervi hanno distrutto la flora. Ma posso farle infiniti altri esempi: la Val di Susa, e così via. Chi si intende di queste cose sa benissimo che la caccia è necessaria. Sono certi demagoghi che parlano senza sapere nulla. Poi c'è un altro tipo di caccia, quella nelle riserve, con animali di allevamento. È una caccia che non rovina né offende l'equilibrio naturale. Non fa male a nessuno.
Si contesta però anche un'altra cosa: il diritto dell'uomo di uccidere gli animali.
Benissimo. E allora io dico: mangiamo solo l'erba. Ma potrei obiettare che anche l'erba è viva, e non ne usciremmo più, da un discorso del genere. Ma poi, i contrari alla caccia le mangiano o no, le bistecche?
Lei dice: è un'ipocrisia piangere sulla sorte di un fagiano e poi mangiarselo al ristorante.
Di più: dico che mangiare una bistecca, dal punto di vista “ecologista”, è peggio che mangiare un animale ucciso con la caccia. Perché le bistecche vengono da allevamenti dove gli animali non solo vengono uccisi, ma vengono pure, prima, “pompati” artificialmente con varie sostanze chimiche. E allora io chiedo: chi è meno rispettoso della natura?
E se le dicessero: va bene, diventiamo tutti vegetariani?
Continuerei a dire che sono loro ad andare contro natura. Perché l'uomo è stato fatto anche per mangiare la carne. È onnivoro, non erbivoro.
Dario Padovan, L’informazione scientifica (specie quella via Internet) deve essere corretta
In Italia circa 24 milioni di persone possiedono un profilo Facebook. Un mezzo davvero potente dove poter esprimere la propria opinione. Sempre più sovente accade però che dalla discussione si passi a insulti e minacce. Abbiamo tutti ancora in mente la vicenda di Carolina Simonsen, la ragazza malata rea di essersi schierata a favore della ricerca. Sulla piazza virtuale del social network la sperimentazione animale sta tenendo banco da tempo. Immagini di animali torturati vengono postate in continuazione per aprire gli occhi su cosa accade nei laboratori di tutto il mondo. Siamo però proprio sicuri sia veramente ciò che accade nella quotidianità?
«In questi casi la disinformazione regna sovrana. Le immagini sono palesemente false. Ogni giorno riceviamo continue segnalazioni e richieste di chiarimento» spiega Dario Padovan, presidente dell’associazione Pro-Test Italia.
Uno degli esempi più famosi è quello relativo alle immagini provenienti da un presunto laboratorio in cui si vedono alcuni cani completamente squartati e una didascalia che associa l’orrenda visione alla sperimentazione animale. «Una vera e propria scena da film horror. Infatti - spiega Padovan - è proprio di questo che si tratta. L’immagine appartiene al film “Una lucertola nella pelle di donna”». I cani che compaiono non sono altro che pupazzi creati per l’occasione dal famoso artista Carlo Rambaldi, Oscar per gli effetti speciali e creatore di E.T, l’extraterrestre.
«Un altro problema legato alle immagini - continua Padovan - è quello relativo alla decontestualizzazione. Ad esempio su Facebook circola la foto di un coniglio con grosse perdite di pelo associate a presunti test di cosmetica. Un accostamento creato ad arte poiché le immagini provengono dal sito di una clinica veterinaria. L’animale in questione è affetto da scabbia ed è lì proprio per essere curato».
La disinformazione non si ferma alle sole immagini ma riguarda anche i dati: una delle frasi più comuni che è possibile trovare in rete è quella relativa alla presunta spaccatura del mondo scientifico sull’utilità o meno della sperimentazione animale. Una divisione che in realtà non esiste: un’indagine condotta dalla rivista Nature ha mostrato che gli scienziati che si dichiarano contrari sono poco più del 3%. «Un altro aspetto da non trascurare - commenta a tal proposito Padovan - riguarda la tendenza a travisare i dati. Di esempi ce ne sono molti. Penso ad esempio a chi afferma che il 51% dei farmaci commercializzati negli Stati Uniti viene ritirato dopo il commercio per gravi reazioni avverse. Non è proprio così: consultando i dati della FDA (Food and Drug Administration) dal 1975 al 1999 ne sono stati ritirati meno del 3%. Una bella differenza».
Come districarsi dunque in questa giungla di immagini e numeri? «La ricetta - conclude Padovan - è composta da tre ingredienti fondamentali: avere senso critico, diffidare dei dati privi di qualsiasi riferimento e controllare le fonti. In questo contesto è fondamentale per una corretta informazione il contributo responsabile e competente dei mass media».