La scuola siciliana

Nei primi decenni del Duecento, la Provenza è devastata da una terribile crociata scatenata contro i catari che abitano la città di Albi (e perciò detti “albigesi”). La fioritura culturale della regione viene bruscamente interrotta e la lingua d’oc perde rapidamente di importanza a favore di altri idiomi.

A lungo si è pensato che la scuola siciliana, fiorita tra il 1230 e il 1250 circa, fosse in qualche modo legata alla diaspora dei poeti provenzali. In realtà, essa si ispira alla lirica provenzale per quanto riguarda il tema dell’amore e la forma della canzone, ma nasce in un contesto completamente diverso.

La scuola siciliana fiorisce infatti in concomitanza con il regno di Federico II di Svevia, che fa di Palermo la propria capitale e che tenta di fondare uno Stato accentrato, in cui il potere si raccoglie nelle mani del sovrano e di un apparato amministrativo a lui fedele. Federico si circonda di intellettuali e favorisce la nascita di una vera e propria scuola poetica che lascerà frutti duraturi sul piano culturale, anche se si esaurirà insieme al progetto politico dell’imperatore dopo la sua morte, nel 1250.

I poeti siciliani ci hanno lasciato circa 250 testi. Gli esponenti più significativi della scuola, tra cui non si annoverano poetesse, sono il notaio Jacopo o Giacomo da Lentini; Rinaldo d’Aquino, Guido delle Colonne, Giacomino Pugliese, Pier della Vigna, Stefano Protonotaro, Jacopo Mostacci, Cielo d’Alcamo, lo stesso imperatore Federico II e suo figlio, re Enzo.

Nessuno di essi è un grande poeta, paragonabile ai maggiori esponenti della lirica provenzale. La scuola siciliana ha un’importanza decisamente più limitata all’ambito italiano, ma è ai siciliani che guarderanno i poeti nostrani delle generazioni successive, trovando in essi un modello sia sul piano delle forme, sia sul piano del linguaggio.

La base linguistica adottata dai poeti federiciani è infatti un siciliano illustre, cioè depurato dalle componenti popolari e plebee, e arricchito da vocaboli derivanti dal latino, dal francese e dal provenzale. La prima lingua poetica italiana è quindi una lingua colta, aulica, artificiosa, ben lontana da quella dell’uso pratico e quotidiano.

Il sonetto

L’arte poetica è debitrice verso la scuola siciliana dell’invenzione del sonetto, una delle forme metriche di maggior diffusione e fortuna non solo in Italia. La tradizione ne attribuisce la specifica ideazione al poeta Jacopo da Lentini, che avrebbe elaborato i primi sonetti partendo da precedenti forme e ritornelli popolari; il nome però è di origine provenzale: sonet, cioè “suono”, “melodia”, lasciando intendere che si trattava di una poesia accompagnata da musica. Dal punto di vista metrico è costituito da 14 versi endecasillabi divisi in due quartine e due terzine.

La Scuola siciliana, Federico II

Capolettera con ritratto di Federico Il di Svevia, miniatura dal codice Nuova Cronica di Giovanni Villani, 1350-1375. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana.

Audio

Jacopo Lentini, Io m’aggio posto in core a Dio servire